The Annotated “Godfather”. The Complete Screenplay – Edizione in brossura 2013 (con la sceneggiatura integrale illustrata dai fotogrammi di tutte le scene del film)
Autore:  Jenny M. Jones (a cura di)
Tipologia:  Sceneggiatura cinematografica illustrata
Film di riferimento:  The Godfather (Stati Uniti, 1972) di Francis Ford Coppola. Sceneggiatura di Mario Puzo e Francis Ford Coppola, dal romanzo omonimo di Mario Puzo. Fotografia di Gordon Willis. Scenografia di Dean Tavoularis. Musica di Nino Rota. Con Marlon Brando, Al Pacino, James Caan, Richard Castellano, Robert Duvall, Sterling Hayden, John Marley, Richard Conte, Al Lettieri, Diane Keaton, Abe Vigoda, Talia Shire, Gianni Russo, John Cazale, Rudy Bond, Al Martino, Morgana King, Simonetta Stefanelli, Angelo Infanti, Saro Urzì, Corrado Gaipa, Franco Citti, Lenny Montana, John Martino, Salvatore Corsitto, Richard Bright, Alex Rocco, Tony Giorgio, Vito Scotti, Tere Livrano, Victor Rendina
Editore:  Black Dog & Leventhal Publishers, Inc.
Origine:  New York
Anno:  2013
Caratteristiche:  Brossura di cartone plastificato flessibile con illustrazione a colori (composizione fotografica ai due piatti: logo del film e primo piano di Marlon Brando/don Vito Corleone), titoli in bianco su fondo rosso. Con all'interno 200 illustrazioni fotografiche a colori e in bianco e nero nel testo
Edizione:  Ottava ristampa dell'edizione 2007
Pagine:  266
Dimensioni:  cm. 25 x 21,5
Note: 
Edizione in brossura di The Annotated “Godfather” – The Complete Screenplay with Commentary on every scene, interviews, and little-known facts, a cura di Jenny M. Jones, pubblicato per la prima volta nel 2007 da «Black Dog & Leventhal Publishers» di New York.
CONTENTS:
Introduction / Genesis of The Godfather / The Godfather: The Complete Annotated Screenplay / The Aftermath / Appendix: The Godfather credits; The Godfather timeline; Notable awards; Bibliography; Index of memorable lines
IN GALLERY: THE GODFATHER in immagini scena per scena con didascalie tratte dalla sceneggiatura originale del film
Sinossi: 
« Da un romanzo (1969) di Mario Puzo che l’ ha sceneggiato con il regista, Il padrino è la storia di un sistema familiare e di clan con sottofondo nostalgico per la forza di quei legami che nell’America di oggi sembrano svalutati (come fu letto dalla maggioranza del pubblico), ma possiede anche una profonda e fertile ambiguità. C’è il parallelismo mafia-politica che diventa equivalenza nel Padrino-Parte II; c’è la magistrale ricostruzione di un’epoca e di una morale del crimine, di una struttura patriarcale più italiana che americana. Coppola sa di che cosa parla e ne sa le ragioni anche quando non le condivide; il suo sguardo è più distaccato che affascinato. Spaccò la critica in due ed ebbe ovunque un gran successo. 7 nomine e 3 Oscar: film, sceneggiatura e Marlon Brando. »
Il Morandini, Dizionario dei Film
« In occasione del Padrino di Francis Ford Coppola, i giornali italiani hanno dedicato intere pagine al film. A prima vista sembrerebbe una resa di fronte all’offensiva pubblicitaria che ha accompagnato il lancio del “colosso”; ma poi, dopo riflessione, si deve ammettere che ci sono forse motivi più profondi. Secondo noi, l’interesse dei giornali rispecchia ed esprime l’ambigua sensibilità del nostro pubblico per l’argomento. Si tratta, prima di tutto, di roba nostra, stavamo per dire di “cosa nostra”; cioè di un film sulla minoranza italo-americana negli Stati Uniti. Non basta: per la prima volta, forse, il fenomeno della mafia è guardato dal punto di vista etnico; ma senza quelle caratterizzazioni comiche o sinistre di tipo folcloristico che si notano di solito nei film di ambiente italo-americano. Il padrino è dunque un film serio nel quale gli italo-americani sono presi sul serio. Qui comincia però l’ambiguità a cui abbiamo alluso più sopra. Perché tanta curiosità e sensibilità da parte dei giornali e del pubblico? Forse perché gli italiani si domandano, sconcertati e incomprensivi, come mai un paese come l’Italia, di così illustri tradizioni artistiche e culturali, non sia riuscito a distinguersi negli Stati Uniti che con la creazione di una cinica e spietata organizzazione criminale? Oppure perché fa piacere riconoscere sotto la grinta del mafioso alcuni tratti della grande Italia storica, cioè il machiavellismo razionale, l’individualismo strenuo, il realismo intrepido, vale a dire un ultimo riflesso dell’umanesimo rinascimentale nella sua accezione, diciamo così, elisabettiana? A queste domande il film dà anch’esso una risposta ambigua. Da una parte esso recupera una realtà finora ignorata, dall’altra, però, si deve proprio a questo recupero se il film, sul piano della documentario e sociologico è una completa e sfacciata falsificazione. Sia ben chiaro: nella grande macchina sociale americana tutte le minoranze hanno una loro funzione secondo il loro temperamento e la loro tradizione. Agli italo-americani o meglio alla parte più energica e intraprendente del loro gruppo, è toccata la funzione di provvedere la civiltà puritana di tutte le cose che il puritanesimo condanna e di cui, tuttavia, a quanto pare, non possiamo fare a meno. Intendiamo il gioco, la prostituzione e, da ultimo, la droga. “Cosa nostra”, dunque, esiste in quanto esiste il puritanesimo, come si è visto, del resto, tanto per fare un esempio, ai tempi del proibizionismo. Dunque niente qualità “umane”, niente virtù familiari, niente lati positivi. La mafia è pura e semplice criminalità che prende a modello il grande “business” statunitense. Alla fine la falsificazione di Coppola consiste prima di tutto nell’idealizzazione sentimentale di un ambiente sociale orrendo; e in secondo luogo nell’avere isolato la sottocultura italo-americana, senza mostrarcela nel più vasto contesto della cultura statunitense, di cui essa costituisce soltanto un ristretto e probabilmente effimero ibridismo. Verrà un giorno in cui non ci saranno più italo-americani ma soltanto americani di lontana origine italiana. Intanto, però, nel film di Coppola l’ibridismo è mascherato sia attenuandone i caratteri malsani e grotteschi, sia ricorrendo alla “copertura” cattolica senza dirci che anche la Chiesa, a Brooklyn, partecipa della stessa deformazione ambientale. Detto questo, bisogna aggiungere che Il padrino è un film perlomeno curioso e, certo, interessante. Oltre ad alcuni memorabili omicidi, colpisce il realismo della regia volutamente convenzionale in senso oleografico, il quale da una parte ricorda la pittura impassibile e alienata di un Hopper, e dall’altra, in maniera non contraddittoria, l’operazione nobilitante che va sotto il nome di realismo socialista. Inutile dire che l’interpretazione, anche sul piano di un inevitabile gigionismo, è ottima, specie da parte di Marlon Brando, un padrino misuratissimo, e di Al Pacino molto espressivo nella parte del figlio. »
Alberto Moravia, L’Espresso
« Dopo il flop di Sulle ali dell’arcobaleno (1968) della Warner, Coppola riceve una proposta che non può rifiutare dalla Paramount: la riduzione cinematografica del bestseller di Mario Puzo, Il Padrino. Accetta per soldi, poi si appassiona al progetto. Del romanzo viene falcidiata la figura del giovane crooner protetto da Vito Corleone, Johnny Fontane. Nel film ha un ruolo importante e rimane la leggendaria scena della testa di cavallo mozzata nel letto del produttore ebreo che non lo vuole far lavorare; ma lo spessore del personaggio nel libro è tutt’altra cosa. Il motivo del ridimensionamento è il timore della Paramount è che Frank Sinatra vi si riconosca un po’ troppo e non la prenda bene. Viceversa, Coppola approfitta della sceneggiatura, scritta insieme allo stesso Puzo, per raccontare le conseguenze di una diaspora, quella italiana verso le coste americane, non causata da persecuzioni ma dalla miseria. E quindi la nascita di una civiltà e di un immaginario italoamericani che vedono nell’accumulo della “roba”, verghianamente intesa, la versione mediterranea del mito del successo fondante l’American Dream. Sceglie la metafora criminale e non fa sconti né alla propria cultura d’origine (italiana), né a quella di appartenenza (americana). I Corleone, ancorati in modo stucchevole a uno schema patriarcale, scelgono la preservazione della famiglia come alibi delle loro turpitudini (per Michael sarà il chiodo fisso, quasi un mantra, fino al suo ultimo respiro in Il Padrino.Parte III); le istituzioni Usa corrotte, invece, non faranno altro che applicare, in senso distorto, le regole del profitto tipiche del sistema capitalistico. Due facce di una sola medaglia che si chiama America. Per arrivare a questo, il regista mette in scena un campionario retorico impressionante, sfruttando anche luoghi comuni sull'”italianità” (il folclore rituale, una certa idea di Sicilia tutta coppole e lupare, il melodramma…), sempre stigmatizzati dalle associazioni di italoamericani, convinte, non a torto, che una certa rappresentazione della mafia sia nata col Padrino. Rappresentazione, va detto, ambigua. Non solo girò voce di un certo interesse di Cosa Nostra anche nel finanziamento del film, ma la mitizzazione dei Corleone è innegabile e lo si è visto a livello di immaginario. Tony Soprano e i suoi amici giocano a imitare i modelli di Il Padrino mentre si guardano bene anche solo dall’ avvicinarsi a Quei bravi ragazzi di Scorsese, dove i loro pari sono spie, psicopatici, maniaci, bestie della peggior specie. Come spiegare l’ambiguità? Semplice: Coppola considera Il Padrino un film di genere (in virtù anche della commissione) e, seppure su scala gigantesca, non fa altro che applicare il metodo exploitation del suo maestro Roger Corman. Per cui tutti gli elementi, tra i quali appunto il fascino ambiguo e perverso dei cattivi, vanno estremizzati. Fino ad arrivare a una dimensione nella quale non esistono i buoni, come dimostra la figura magnifica del capo della polizia da Sterling Hayden. In realtà, però, la chiave di lettura ideologica di tutta l’operazione è nell’estetica stessa: la lugubre fotografia di Gordon Willis testimonia di un mondo rovesciato dove trionfa la morte persino nel momento di massima esaltazione della vita (il montaggio alternato finale tra le sanguinarie rese dei conti e il battesimo della bimba, che è poi Sofia Coppola). Impossibile sintetizzare oltre perché lo spazio è tiranno. Sfatiamo solo un ultimo mito: non è vero che Marlon Brando abbia recitato con il cotone in bocca. Aveva una protesi. »
Mauro Gervasini, Film Tv
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