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Splendori e miserie di Madame Royale

Splendori e miserie di Madame Royale

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Tipologia:  Articolo

Testata:  Catalogo III ed. Sicilia Queer Filmfest

Data/e:  31 maggio - 6 giugno 2013

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

Capitò a Vittorio Caprioli d’imbattersi nel giudice solerte che aveva appena imposto il divieto ai minori al suo Madame Royale : “Ma che mi combina, Caprioli? Capirei se lo avesse preso in giro, se ne avesse fatto un personaggio divertente, una macchietta! E invece… lei mi prende sul serio un omosessuale! Si rende conto che io questo non lo posso permettere? Andiamo Caprioli, eh!”.

Era il 1970 e la nomenklatura dell’Italietta bacchettona e sessuofoba (la stessa che dieci anni prima, ai tempi dei “balletti verdi”, sfotteva Pasolini sul destrorso Borghese di Longanesi appiccicando la goliardica didascalia “il maestro della lingua” alla foto del poeta che ingurgitava un fallico cannolo) reagiva così all’uscita del primo queer movie nostrano.

Fu proprio questa spiazzante e coraggiosa serietà a provocare prima il parziale insuccesso e poi la meritata fama di questa eccentrica commedia (all’italiana?), crepuscolare e corrosivamente satirica, finalmente elevata a cult e riconosciuta come la prova migliore del regista di Parigi, o cara! e di Scusi, facciamo l’amore? (altre due affilate operine sugli slittamenti progressivi dell’eros). Il mondo di Caprioli (1921-1989) è quello, da rimpiangere, dei grandi e piccoli palcoscenici della nostrana cultura post bellica snob e animatamente engagé (negli anni Cinquanta si misurò in scena con Strehler e col kabarett del Teatro dei Gobbi fondato con la moglie di allora, Franca Valeri), della paleotelevisione colta che sfidava l’auditel, degli chansonniers dada-esistenzialisti e di quel cinema d’autore (da ricordare le sue performance con Fellini, Rossellini, Blasetti, Emmer, Malle) che attingeva senza ritegno al serbatoio delle pratiche basse. Ed è questo il mondo che ha ispirato la singolare fattura di Splendori e miserie di Madame Royale, storia di un Candide quarantenne, Alessio, di giorno corniciaio invischiato in un giro di trafficanti di opere d’arte, e di notte (ma solo il Sabato) drag queen per sontuosi festini domestici dove, tra checche e “quaglie” e marchettari, appare en travesti come Madame Royale. Al fine di proteggere le sorti dell’inquieta Mimì, adottata perché figlia di un suo defunto ex spasimante, Alessio diventa confidente di un ambiguo poliziotto degradandosi al punto di rimetterci le penne per una soffiata di troppo.

Coproduzione d’oltralpe, copione a firma del regista insieme a Medioli e Zapponi (sceneggiatore alla corte di Visconti il primo e di osservanza felliniana il secondo), fotografia di Rotunno che cita l’espressionismo sfocato di Mafai, scene e costumi screziati ad arte dal virtuoso Pier Luigi Pizzi. E poi, altrettanto rimarchevole, il cast attorale: Ugo Tognazzi formidabile gigione straniato per il ruolo protagonista, Maurice Ronet di Fuoco fatuo come fascinoso sbirro corruttore da Pasticciaccio gaddiano, Jenny Tamburi sfigata lolita yé yé, i gloriosi Musazzi e Barlocco della Compagnia dei Legnanesi come travestiti doc e, last but not least, Caprioli stesso nei panni di un attempato tranviere che, quando pratica il cross-dressing, diventa la “Bambola di Pekino” con tanto di parrucca alla Louise Brooks. Insomma, una squadra di serie A per un’ingegnosa tragicommedia noir dalle ombrate venature intimiste (alcune notazioni sulla desolante e marginalizzata condizione omosessuale risultano oggi assai efficaci e “politicamente corrette”), e che per di più fornisce ai cultori del social vintage la mappatura, antropologicamente esaustiva, dei clandestini e tenebrosi luoghi di battuage nella Roma di allora: cespugli del Colosseo, anfratti dell’Anfiteatro Flavio, cessi nei cinema di seconda visione, saune fatiscenti, studi fotografici a luci rosse, e via fornicando. Altre notazioni come quelle, delicatissime, che investono il rapporto tra Alessio e la figlia adottiva, vittima di un aborto clandestino, o il perverso duello psicologico con il viscido deus ex machina istituzionale (“cittadino al di sopra di ogni sospetto”) di Ronet, funzionano come un j’ accuse degno del miglior cinema civile.

Tutti puntuti riferimenti polemici che sembrarono allora “troppo seri” per un satirico queer movie qualsiasi. Ed erano invece troppo in anticipo sui tempi, troppo orgogliosamente fuori registro per certi canoni paludati e “digestivi”. Splendori e miserie di Madame Royale  si chiude sgradevolmente come si apre, con due loser omossesuali morti ammazzati: un incipit e un epilogo funereo simile a quello di certe black comedy anni Settanta/Ottanta made in Usa. Come in S.O.B. (Son of Bitch), caustico capolavoro di umorismo ammonitorio sull’insostenibile meaning of life che ci riguarda tutti, al di là del principio di ogni piacere (e di ogni legittima scelta sessuale). Una proposta: e se considerassimo Vittorio Caprioli il Blake Edwards de’ noantri?

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