Quella “Commedia” illustrata di Sciascia
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  26 febbraio 2017
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Nel 1983, per l’edizione d’arte di “Una commedia siciliana”, racconto quasi inedito scritto 14 anni prima, Leonardo Sciascia consentì che alle illustrazioni provvedesse l’artista palermitano (e oggi milanese d’adozione) Antonio “Momò” Calascibetta, della cui pittura lo scrittore di Racalmuto dichiarava di apprezzare la singolare forza espressiva, come felice manifestazione di un “mestiere” esercitatosi a rappresentare, con polemico fervore, motivi e figure di una classe al potere, sia laica che religiosa, “imbestiata nella più lata rapacità”. Pubblicato in cento esemplari numerati dalla catanese O.B.I. (Orizzonti Bibliofilia Italiana), il libro è ancora ricercato dai collezionisti di quel pregevole ramo della bibliografia sciasciana che fu segnato dall’apporto figurativo di personalità come Clerici, Caruso, Sassu, Guccione, Piraino, Rognoni, Greco. Chiamato a quell’importante occasione editoriale (che prevedeva pure 16 testatine di Bartolo De Raffele), Calascibetta dimostrò di essere qualcosa di più che un semplice illustratore: le sue 7 acqueforti, animate da un’enfasi barocca che elabora in chiave mediterranea la lezione espressionista della grafica critica di Beckmann e Otto Dix, contribuiscono a far brillare la sostanza della metafora teatrale che il racconto conduce. Apparso per la prima volta nel maggio del 1969 sul settimanale Amica (a inaugurare una collaborazione con quella testata che poi non ebbe seguito), la “commedia” di Sciascia può magari sembrare un divertissement di stampo brancatiano o alla maniera di Pietro Germi, imperniata com’è sulla colorita vicenda provinciale di un giovane promesso sposo, in disperata fuga da un matrimonio riparatore, che viene spacciato per morto “agli occhi della gente” dal “forastico” padre della sposa fino a quando non decide di arrendersi all’altare favorendo così la propria “resurrezione”. E invece si tratta di un sofisticato omaggio che l’autore dedica all’amato/odiato maestro Pirandello, alla scoperta che egli fece del teatro “in un luogo dove non c’è idea del teatro ma dove puntualmente, continuamente, la vita è teatro”. La B. che, nell’incipit, indica l’ambientazione del racconto sta per Bagheria, paese “ben tagliato” che produce “limoni, maghi e uomini di genio”, assieme a “una mafia poco appariscente, e perciò molto seria”. È in quello spazio scenico generatore che si agitano i tragicomici personaggi del bestiario di Sciascia & Calascibetta. È lì che si svela la doppia anima, tanto brillantemente mistificatoria quanto oscuramente disperata, della Sicilia.
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