Quel film non s’ha da fare. Nigro svela come fallì il piano “Promessi sposi”
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  14 febbraio 2015
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Per Giuseppe De Santis, ispirato artefice di cinema nazional-popolare, la “gente perduta sulla terra”, evocata da Alessandro Manzoni nel suo capolavoro, era siciliana per affinità di condizione e di classe. E così il regista di Riso amaro immaginò il bandito Salvatore Giuliano nei panni dell’Innominato per il suo film da fare sui Promessi sposi, un bis neorealista de La terra trema da ambientare nella Sicilia post-bellica del 1946, quando alle lotte contadine per l’occupazione delle terre si avvicendavano i sanguinosi tumulti contro il carovita. Il soggetto di De Santis fu cassato, nel 1950, dallo stesso ingegner Gatti che, quattro anni dopo, come amministratore della Lux Film, varò il progetto che è materia del nuovo volume di Sellerio editore, a cura di Salvatore Silvano Nigro e Silvia Moretti, Promessi sposi d’autore. Un cantiere letterario per Luchino Visconti. Nel 1955, dunque, lo scrittore Giorgio Bassani già lavorava al trattamento del romanzo, tradotto fino allora per lo schermo ben sei volte: cinque versioni mute (non quattro come annota Moretti, che omette quella del 1911 della Film d’Arte Italiana, la seconda dopo quella di Morais nel 1909, prima di Ridolfi e di del Colle nel ’13, e di Bonnard nel 1922-23) e una sonora di Mario Camerini (1941), dove Gino Cervi fa un coriaceo Renzo Tramaglino e Ruggero Ruggeri interpreta con enfasi solenne il ruolo del Cardinal Federigo. Smussare, in quelle pagine potenti, la “grandezza e la poesia religiose” a favore di una interpretazione che risultasse esemplarmente attuale, critica e realista: era questa l’intenzione che guidò l’autore bolognese nella “sperimentale” impresa della riduzione cinematografica di “quel dilavato e graffiato autografo” (definizione su cui gioca, nell’incipit del romanzo, lo stesso Manzoni) che, profondendo letteratura purissima a ogni pagina, induce di continuo il lettore a formarsi un giudizio su personaggi, contesto storico e intreccio attivando la visione interiore, invitandolo ad affidarsi più alle immagini che alle parole. E così I promessi sposi, opera dalle riverberazioni secentesche dove la trasfigurazione è tutto, sembra disporsi naturalmente a diventare un film. Sembra, per l’appunto. Il trattamento di Bassani, voluto dall’influente scrittore e fotografo Guglielmo Alberti per conto della Lux (a seguire un abortito tentativo di Mario Soldati), nel 2007 è già stato l’oggetto di un minuzioso studio, sempre per Sellerio, dell’italianista catanese Nigro (il cui brillante saggio sul libro di Manzoni, La tabacchiera di don Lisander, è stato di recente ristampato da Einaudi). In questo Promessi sposi d’autore si scandagliano, con l’utilizzo di documenti per lo più inediti, motivazioni e occasioni che generarono l’allestimento del “cantiere” al quale parteciparono, in veste di revisori e giudici del dattiloscritto bassaniano, alcune autorità letterarie dell’epoca, già coinvolte nell’operazione Lux poi trascinatasi, tra polemiche e ripensamenti, fino al 1963. Fu questa commissione d’illuminati a sposare la scelta, targata d’Amico (Emilio Cecchi con la figlia Suso), di affidare a Luchino Visconti, reduce dal boicottaggio ideologico e moralistico per Senso, la regia di un Promessi sposi diviso in due film distinti (come quello di Bonnard). Alberti fu escluso dal consesso, perché critico nei riguardi del prescelto e sostenitore di Federico Fellini per l’incarico. Chiamati a pronunciarsi sull’elaborato di Bassani, i letterati manifestarono le loro riserve: lo scrittore Bacchelli e il saggista Antonio Baldini invocarono il ripristino della Provvidenza come prospettiva irradiante; i potenti Moravia e Cecchi chiesero di rimarcare il coté storico-sociale; l’inglese Colquhoun, la cui traduzione The Betrothed mieteva successi oltreoceano, pretese più dense commistioni “tra riflessione e ironia”. E intanto lo scorrere del tempo stemperava ogni originario entusiasmo. Probabilmente, è stato il contatto di così tante intelligenze elettrizzate a provocare il corto circuito che vanificò il progetto della Lux. E l’utile libro di Nigro e Moretti, pubblicando la striminzita scaletta del film mai girato, ci racconta di un fallimento glorioso. Suggerendoci pure che il miglior Promessi sposi su grande schermo sarà quello che, in futuro, potrebbe risorgere dalle preziose ceneri di questi film mancati.
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