Quei film “pestiferi” – Quando il cinema inquadra la pandemia. Sulla mostra “Salus populi” all’Archivio della Gancia
Tipologia:  Articolo
Testata:  la Repubblica/ Palermo
Data/e:  21 febbraio 2021
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Fra i numerosi traumi che l’estenuante effetto del sisma pandemico ha provocato, c’è sicuramente quello che ci ha costretti a riconfigurare il nostro modus vivendi da spettatori di cinema.
Privati, a colpi di Dpcm, del grande schermo davanti al quale consumavamo il rito della visione collettiva, ormai non ci resta che elaborare il lutto grazie al casalingo streaming di massa e ad altre forme di solitario feticismo cinefilo.
Va dunque segnalata come possibile, efficace antidoto del nostro frustrante scontento, l’iniziativa dell’esposizione concepita dall’ ASCinema – Archivio Siciliano del Cinema, diretto da Antonio La Torre Giordano, in una delle sedi del palermitano Archivio di Stato, l’ex convento di Santa Maria degli Angeli alla Gancia.
Inaugurata a ridosso dell’ultimo lockdown rosso-arancione, e oggi nuovamente visitabile (fino alle vacanze estive, e forse anche oltre), questa riguardante il cinema e la pandemia è la costola novecentesca di un istruttivo e attualissimo excursus documentale, il corpus collazionato da Serena Falletta e Maurizio Vesco, per la mostra “Salus populi – Epidemia e cura dalle carte d’archivio al cinema”, inquadrata nella manifestazione targata MiBACT “Domenica di carta 2020”.
Abbiamo così l’opportunità di visionare prima di tutto alcuni preziosi reperti che documentano i modi in cui operava l’arte della cura e della prevenzione, negli ospitalia e nei luoghi pii, ai tempi delle micidiali epidemie che flagellarono la Sicilia e il meridione d’Italia tra la seconda metà del Cinquecento e i primi venti anni del Seicento, come la peste del 1624/25 quando Palermo conobbe il suo primo lockdown decretato con il barrigliamento del quartiere della Bergaria, fino al colera del 1837.
Proseguendo la visita, una volta arrivati nella stanza allestita da ASCinema, troviamo teche e vetrinette nelle quali sono sistemati alcuni materiali cartacei (riproduzioni di locandine e fotobuste, cineromanzi e altri paratesti originali) relativi a cinque tra i tanti film che, nella storia, hanno intercettato motivi e figure della pandemia come fondamento o pretesto narrativo.
C’è Storia di una capinera (1943) di Gennaro Righelli, trasposizione dell’omonimo romanzo epistolare di Verga, nel quale il colera che azzannò Catania nel 1854 funziona da opportunità liberatoria per la novizia diciannovenne Maria, esponendola a bucolici turbamenti amorosi prima del ritorno alla punitiva clausura che le sarà fatale.
E c’è, ambientato nel XVI secolo della Serenissima Repubblica di Venezia, Il ponte dei sospiri, firmato nel 1940 da quel gran virtuoso dei cinefeuilleton che fu Mario Bonnard, dove a fare da sfondo storico più che la peste importata dall’Oriente (arrivata sulla laguna nel 1576), è una delle tante fasi della guerra turco-veneziana, la battaglia di Prevesa del 1538.
Obbligata è la scelta dei Promessi sposi, l’opera mondo manzoniana nella versione 1941 di Mario Camerini, dove la peste bubbonica del 1630 è il grimaldello narrativo per agitare la domanda delle domande, “unde malum?”, per poi prolungarsi polemicamente in quella che Sciascia definì la sua “deviazione imprevista”, La colonna infame, da cui peraltro Nelo Risi trasse nel 1973 un dignitoso film cosceneggiato da Vasco Pratolini.
Naturalmente, non manca Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, capolavoro apocalittico in chiave luterana ed esistenzialista, dove la peste nera all’epoca delle crociate (che ridusse da 80 a 30 milioni di persone la popolazione europea) diventa il più efficace tra i memento mori su cui si allena l’umanità nel fare i conti con il silenzio di Dio.
E, last but not least, c’è La maschera della morte rossa (1964), nel quale il padre di tutti gli indipendenti della New Hollywood, Roger Corman cucina a suo modo un fulminante racconto di Poe, facendo della peste una proiezione della malvagità del suo infernale principe protagonista, e inventandosi un Medioevo mitico dove mescolare ironicamente decadentismo alla Huysmans e fumettistica retorica gotico-pop.
Oltre ai reperti di carta, l’esposizione di ASCinema presenta, tra curiosi prototipi di lanterne magiche e proiettori a formato ridotto evocanti la techné pioneristica, un videomontaggio in loop di sequenze dei film in questione inframmezzati da documenti sulla catastrofica influenza spagnola, modello di pandemia moderna da 500 milioni di morti sviluppatasi tra il 1918 e il 1920.
Diciamolo pure, da questo excursus d’archivio si esce più inquietati che consolati, nella consapevolezza che la storia come la fiction su grandi e piccoli schermi non ci abbiano insegnato, in tema di pandemia, ad evitare i peggiori spillover della nostra vita.
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