Palermo, riapre il cinema Orfeo: si riaccendono le luci rosse, in la Repubblica/Palermo, 15 ottobre 2021
Tipologia:  Articolo
Testata:  la Repubblica/ Palermo
Data/e:  15 ottobre 2021
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Che la storia del consumo cinematografico contempli anche qualche inversione lungo l’incerta rotta del determinismo tecnologico, lo dimostra la notizia della riapertura a Palermo dell’ultima sala a luci rosse sopravvissuta al progressivo imporsi delle visioni domestiche, colpevoli di aver ridotto la pratica onanistica da esperienza trasgressiva a solitaria routine pantofolaia via Internet.
E così il cinema Orfeo dal 18 ottobre riapre le antiche porte di via Maqueda 25, a seguire l’annuncio tombale del dicembre scorso e un vano tentativo di cessione dell’esercizio.
Una buona notizia, non c’è dubbio.Ma quanti e quali spettatori torneranno in quella trincea del porno su grande schermo, riempiendo almeno una parte di quei 200 posti sottoposti ai regolamenti prossemici anti-Covid, con tanto di green pass e imposizione di mascherina che garantisce sì l’anonimato ai più timidi, ma condiziona assai la respirazione appesantita degli infoiati?
Di certo sappiamo che si tratta dell’ennesima scommessa di Giovanbattista Petrini, resistente gestore della sala rilevata, insieme al cognato Nino Gallina, da Giuseppe D’Ippolito che si ritirò nel 1976, schivando appena in tempo la svolta hard-core. Attualmente l’Orfeo di Palazzo Ardizzone, con il suo bell’impianto architettonico rettangolare progettato da Vincenzo Alagna, è rimasto uno dei venti esercizi cinematografici italiani riservati ai prodotti di questo genere obsoleto.
Ed è facile prevedere che a rifrequentarne le poltrone saranno, come accade altrove, gli analfabeti informatici over sessanta, i padri di famiglia a cui è negata in casa ogni comfort zone voyeuristica, alcune coppiette in cerca di affinità erettive insieme a qualche flâneur che alle prime file preferisce le ultime accanto ai bagni.
Ben lontana è infatti l’epoca dei fasti ai botteghini delle luci rosse, il cui picco fu rilevato nella leggendaria stagione 1979-80, con Le pornoereditiere diretto da tal Giulio Tazzioli che entrò in classifica superando Il cacciatore di Cimino. A quei tempi, I porno amori di Eva con Mattea Grillo alias Eva Green arrivò a incassare, sull’intero territorio nazionale, ben 700 milioni di lire, quando il profitto medio per ogni film hard era di 80 milioni (in patria e all’estero) con costi di produzione attestati sui 50-60 milioni, e mentre la pornosvedesona Marina Lotar-Frajese (moglie ripudiata del giornalista Rai Paolo) ne guadagnava dai 5 ai 6 a prestazione, purché fosse disponibile al transito per tutte le fessure.
Sul territorio nazionale le sale diventarono 1.500 con 800 dipendenti, e il centro storico di Palermo aveva più cinema porno che teatri storici operanti, dal sontuoso Finocchiaro di via Roma, tempio del battuage più sfrenato, all’Ambra di via Mariano Stabile (in seguito rinominato Etoile) con accanto l’Embassy, multisala inizialmente d’essai.
A rompere l’incantesimo fu, innanzi tutto, la diffusione dell’home video porno favorita dall’affermazione del videoregistratore VHS che già nel 1986 contava in Italia più di 600mila pezzi venduti, mentre sorgevano come funghi i “nolofilm” dotati di retrobottega vietati ai minori, esibenti costose “cassette” per attizzare i più fantasiosi gusti dei virtuosi della pugnetta compulsiva. Il colpo di grazia al primato del grande schermo lo diede l’avvento delle pornomaratone nelle neonate tv private (a Palermo c’era Tele Sakura): si iniziò con spogliarelliste cellulitiche che il 31 dicembre esibivano sulle chiappe cartelli auguranti “buon ano a tutti” e si finì con la spudorata messa in onda a notte fonda di pornazzi scoloriti ma funzionali e, soprattutto, gratuiti.
Nella presente era interattiva del voyeurismo ordinario a misura di streaming, delle webcam porno e dell’home theatre in 4 K, guardiamo con tenerezza alle avventurose erezioni procurate da quel primitivo fai-da-te. L’hard-core è diventato giocoforza un fenomeno vintage, e le sue miniere produttive (in Italia floridissime fino agli anni Novanta) sono da tempo dismesse. Ecco perché ai nuovi spettatori ancora disposti a quell’esperienza elettrizzante, ai frequentatori dell’Orfeo rinato, il mercato del porno non può che offrire titoli vetusti.
Va detto, però, che questo è uno di quei generi che meglio si dispone all’effetto evergreen, proprio dei classici. E allora al “cinema porno” diventato fenomeno di nicchia non resta che fare di necessità virtù, magari assecondando una svolta “cineclubistica”.
Cicli di porno d’essai, organizzati per tematiche e orientamenti estetici, che finalmente consentano a Moana, Cicciolina, Ramba e Rocco Tano di essere apprezzati più per le misure interpretative che per quelle anatomiche. Anche se è prevedibile che la sala si svuoterà per il dibattito finale.