Lolita di Vladimir Nabokov – Edizione Olympia Press 1958
Autore/i:  Vladimir Nabokov
Tipologia:  Romanzo
Editore:  The Olympia Press (The Traveller's Companion Series)
Origine:  Parigi
Anno:  1958 (novembre)
Edizione:  Ristampa del novembre 1958 identica alla prima del settembre 1955
Pagine:  Volume I : 190 / Volume II: 224
Dimensioni:  cm. 17,5 x 11
Caratteristiche:  2 volumi entrambi in brossura di color verde
Note: 
E’ la ristampa della prima edizione originale in lingua inglese e pubblicata in Francia del romanzo Lolita di Vladimir Nabokov.
Questa edizione in 2 volumi è identica alla prima del settembre 1955 e, rispetto a quella, ospita una Publisher’s Digression accanto all’introduzione di John Ray.
Finito di stampare nel novembre 1958 dalla S.I.P.a Montreuil.
da TRISTE, GROTTESCA STORIA DI LOLITA
di Maurice GIRODIAS (fondatore della casa editrice Olympia Press)
« Uno dei primi giorni dell’estate del 1955 ricevetti una telefonata da un agente letterario, una certa signora russa di nome Doussia Ergaz. Mi parlò di un suo amico, un émigré russo ora professore di letteratura russa alla Cornell University. Questi aveva scritto un libro in cui trattava un problema piuttosto scottante, un libro che era stato, per tale ragione, rifiutato da una quantità di eminenti editori americani.
Il nome dello scrittore era Vladimir Nabokov e il suo libro, Lolita, parlava dell’ amore impossibile di un uomo di mezza età con una dodicenne che apparteneva a quella famiglia del regno femminile per cui Nabokov aveva coniato la parola “ninfetta”.
Chiesi a Madame Ergaz di inviarmi il manoscritto, cosa che fece prontamente, corredandolo di un curriculum vitae. (…)
Ero stupefatto, colpito da questo fenomeno incredibile: la trasposizione apparentemente passiva della ricca tradizione letteraria russa nella novellistica inglese moderna. La cosa era in se stessa un notevole esercizio di abilità; ma il romanzo fu una dimostrazione piuttosto magica di qualcosa che avevo così spesso ma vanamente sognato: la trattazione di una delle passioni umane più scabrose in termini a un tempo assolutamente sinceri e legittimi. Sentivo che Lolita sarebbe diventata la grande opera d’arte moderna atta a dimostrare una volta e per tutte la vanità della censura morale e il ruolo insostituibile ed essenziale della passione nella letteratura. Scrissi immediatamente a Nabokov e cominciammo a stendere la bozza di un contratto. Mi piegai a tutte le condizioni impostimi, pagai un anticipo di gran lunga superiore a quanto potessi allora permettermi e non insistetti neppure per riservare alla mia casa una parte degli eventuali diritti cinematografici, com’è di prassi.
La verità è che il romanzo stesso mi piaceva, ma che dubitavo avesse qualcuno dei requisiti che fanno di un libro un best-seller. Nabokov stesso mi scrisse che si sarebbe ritenuto profondamente offeso qualora Lolita avesse conseguito un succès de scandale, dato che per lui il libro aveva un tutt’altro significato. (…)
Volevo dare immediatamente il libro alle stampe, ma prima ritenni opportuno che l’autore apportasse alcuni cambiamenti alla sua opera. Il 1° luglio 1955 scrissi a Nabokov che “l’uso eccessivo di espressioni e di parole francesi dava al testo un tono leggermente affettato” e gli sottoposi tutta una serie di variazioni; rispose immediatamente alla mia lettera apportando numerose correzioni alle bozze. (…)
Lolita apparve alcune settimane più tardi, nel settembre del 1955, ma passò del tutto inosservato sia da parte del pubblico che della critica e vendette molto poco. Fu solo verso la fine dell’anno che le cose – cose strane davvero – cominciarono a evolversi. In un’intervista rilasciata al «Times Literary Supplement» di Londra, Graham Greene accennava a Lolita come a “uno dei tre migliori libri dell’anno”. Tale giudizio provocò un’immediata e violenta reazione da parte di John Gordon, direttore del diffuso quotidiano «Daily Express», il quale accusò Greene e il «Times» di favorire la vendita di opere pornografiche della specie più oscena. Fece quindi seguito un assurdo e grottesco scambio di accuse e di invettive in cui Greene difese eroicamente e abilmente il libro; e il risultato ultimo di quella disputa fu di creare un grande interesse per Lolita tra i suoi fautori e denigratori, un numero infinitesimale dei quali aveva letto il libro. (…)
Quando decisi di oppormi alla proibizione di Lolita (negli Stati Uniti il romanzo era stato prima sequestrato e poi liberato, mentre in Francia, su pressione dell’Home Office britannico al ministero degli interni di Parigi, fu proibito dal governo a partire dal 20 dicembre 1956), il mio primo pensiero fu quello di chiedere l’aiuto di Nabokov. Fui alquanto sorpreso nel ricevere il suo reciso rifiuto di impegnarsi in quella che egli definiva, con allegra noncuranza, la “lo-lite”. «La mia difesa morale del libro è il libro stesso», scriveva in data 10 marzo 1957.(…)
La fama di Lolita si era ormai diffusa sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti; tutti i grossi editori che alcuni anni prima avevano respinto il manoscritto si morsicavano ora le dita dalla rabbia.(…)
L’atteggiamento di Nabokov era cambiato da quando andò profilandosi all’orizzonte il successo di Lolita. Non più denunce arroganti di masse filistee da quella penna fattasi compiacente, ma solo sottili disquisizioni sui termini del nostro contratto, che ora agitava i suoi sogni di imminente fortuna. (…)
Nonostante il disappunto per l’indifferenza di Nabokov, portai avanti la mia lotta solitaria contro le autorità francesi che avevano proibito il romanzo. L’avanzata fu lenta, data l’eccezionalità del caso, e per mettere il pubblico francese al corrente del problema pubblicai un libello, L’affare Lolita, che strappò a Nabokov una caterva di aggettivi entusiastici. Subito dopo, il 3 agosto 1957, egli scriveva ancora: «Le sarò sempre grato per avere pubblicato Lolita».
Ahimé, furono quelle le ultime parole gentili che ebbe per me. Si ebbe poi, in merito alla pubblicazione americana del libro, uno scambio epistolare che si fece via via più violento e, infine, in data 5 ottobre dello stesso anno, ricevetti una lettera raccomandata con la quale Nabokov mi informava, in elaborato stile legale, che intendeva esercitare il suo diritto «a dichiate nullo e risolto l’accordo tra noi stipulato».(…)
Ricevetti infine un telegramma da parte di Walter Minton, responsabile della «G.P. Putman’s Son», con il quale mi informava che Nabokov aveva accettato un contratto. Questo l’11 febbraio 1958. Alcuni giorni più tardi vincevo la mia causa contro il Ministero degli Interni francese: il divieto veniva tolto… in Francia. Nabokov non ritenne necessario farmi capire di aver preso conoscenza del fatto. In agosto, la «Putnam» lanciava la sua edizione di Lolita, che si assicurava immediatamente il primo posto nella graduatoria dei best-seller, posto da cui doveva venire scalzato alcuni mesi più tardi solo da Il dottor Zivago. »
(da Triste, grottesca storia di Lolita, capitolo di Il lettore di Olympia di Maurice Girodias, traduzione di Attilio Trentini, Milano, Sugar Editore, Collana «I Giorni», n.34, 1970)
La storia dei rapporti tra Vladimir Nabokov e il fondatore dell’Olympia Press, Maurice Girodias (a cui si deve la prima edizione di Lolita) ebbe sviluppi assai aspri. Nel corso di questo capitolo delle sue «memorie», Il lettore di Olympia, Girodias ripercorre quello che egli stesso definisce un percorso di umiliazioni subito per volontà di Nabokov e dei suoi agenti letterari («Davanti a me s’apriva sempre più profondo il baratro dell’inferno, mi sentivo come l’esecrato Quilty con la canna d’una pistola maniaca puntata contro la schiena»).
Quando l’edizione «Olympia» del romanzo (in lingua inglese) venne nuovamente sequestrata in Francia (all’avvento della Quinta Repubblica di De Gaulle), Girodias afferma di avere sollecitato la «Gallimard» a pubblicare l’edizione francese (visto che il divieto riguardava solamente la sua in lingua inglese) con la traduzione del fratello dello stesso Girodias, Eric Kahane: «Avevo chiesto alla «Gallimard» di menzionare nella sua nuova edizione il fatto che l’ «Olympia Press» era stata la prima casa editrice, cenno questo che mi sarebbe tornato di estrema utilità nella causa che mi vedeva opposto al governo francese. Ma Nabokov, venuto a conoscenza della mia richiesta, vi si oppose con estrema violenza».
Girodias tentò allora di liberare l’edizione «Olympia» del romanzo dalla censura del Consiglio di Stato parigino ricorrendo a un espediente ingegnoso: visto che la versione francese era stata autorizzata mentre la sua inglese era proscritta, egli intentò una causa per danni al governo francese, col pretesto di aver violato il principio repubblicano di uguaglianza tra cittadini. Il pretesto funzionò: Girodias venne convocato al dicastero degli Interni e gli fu proposta la proposta di abolizione del divieto in cambio del ritiro della sua denuncia.
La contesa con Nabokov proseguì con la revoca, da parte dei legali dello scrittore, dei diritti della «Olympia Press» sulle edizioni straniere del libro. Per tutta risposta, Girodias minacciò di sospendere il pagamento della percentuale che spettava a Nabokov relativamente all’edizione «Olympia». A quel punto, i legali dello scrittore imposero all’editore della «Olympia Press», come conseguenza di tale omissione e a causa della scadenza del precedente accordo, di cessare immediatamente la pubblicazione della sua edizione di Lolita assieme alla distribuzione e vendita di ogni sua copia. Girodias resistette e il contenzioso tra lui e Nabokov si prolungò nel tempo, con il corollario di una serie di lettere infuocate e di dichiarazioni pubbliche al vetriolo da parte di entrambi.
In una lettera, a commento del brano di un’intervista rilasciata da Nabokov alla rivista «Life International» (del 13 aprile 1959), dove questi faceva riferimento all'”infelice matrimonio” di Lolita con l’«Olympia Press», Girodias rispose indignato: «Non fosse stato per la mia casa editrice, Lolita sarebbe ancora un manoscritto polveroso sepolto in qualche nostalgico cassetto. Potrei aggiungere che non mi dispiace di aver pubblicato questo mirabile libro; nonostante le molte delusioni, Lolita mi ha arricchito di un’esperienza esilarante».
Qualche tempo dopo il caso «Life», Girodias tentò d’incontrare Nabokov nel corso di un ricevimento in occasione dell’uscita dell’edizione «Gallimard» del romanzo. Invitato per gusto di trasgressione dalla responsabile delle pubbliche relazioni della celebre casa editrice, Girodias si presentò nella prestigiosa sede sulla rue Sébastian-Bottin, provocando non poco scandalo tra ospiti e giornalisti convenuti: «Mi feci strada tra la folla, Nabokov stava parlando con mio fratello, ma mi aveva ovviamente riconosciuto. Giunsi infine alla sua presenza, gli venni presentato: mi aspettavo di ricevere da un momento all’altro un ceffone o qualcos’altro, non certo quel sogghigno vuoto che fu quanto i paparazzi furono in grado di cogliere, con grande loro disappunto. Quasi preso da un qualche improvviso bisogno, Vladimir Nabokov girò su se stesso con la graziosa naturalezza propria di una foca da circo, lanciando un’occhiata in direzione della moglie, e poi si addentrò immediatamente in un’accesa discussione con un giornalista cecoslovacco».
Questa è la versione della controversia che Maurice Girodias scrisse nel capitolo della propria autobiografia, Il lettore di Olympia.
Ma esiste un’altra versione dei fatti che Vladimir Nabokov raccontò ripetutamente sia nel corso di svariate interviste, tra cui quella concessa a «Life International», sia nell’articolo che comparve integralmente nel 1998 (e quindi a nove anni dalla morte dello scrittore) dal titolo «Lolita e mr.Girodias» .
Dopo aver negato di essersi arreso alla richiesta di modifiche per quanto riguardava i “toni affettati” delle frasi in lingua francese contenute in Lolita («le uniche modifiche timidamente suggeritemi riguardavano termini banali come “bon”, “c’est moi” o “mais comment” che ho accettato di tradurre in inglese»), Nabokov entrò nei dettagli dell’annosa questione: «Ho cominciato a maledire il mio rapporto con la «Olympia Press» non nel 1957, quando quell’accordo, secondo il signor Girodias, “pesava come un incubo sui miei sogni di gloriosa fortuna”, ma già nel 1955, e quindi all’inizio del nostro legame. Fin dall’inizio mi sono confrontato con l’aura particolare che circonda i suoi accordi commerciali: un’aura di negligenza, evasività, procrastinazione e falsità».
Nabokov enumera i numerosi episodi di scorrettezza di cui si dice vittima, compresa quella relativa alla seconda rata, dopo la prima di 400.000 franchi (poco più di un migliaio di dollari), delle proprie spettanze per la concessione dei diritti di Lolita, una cifra risibile ottenuta con mesi di ritardo e grazie solamente alla perentoria richiesta del suo agente.
Nabokov si lamenta inoltre di aver conosciuto in ritardo e in modo contraddittorio le cifre relative alle vendite del suo romanzo. E quanto alla richiesta di complicità per la difesa di Lolita dalle iniziative di censura in Francia, lo scrittore accusa Girodias di avergli sempre proposto una difesa del suo romanzo insieme agli altri titoli della sua collana: «Come gli ho scritto il 3 agosto 1957, io ero e continuo ad essergli profondamente grato per aver pubblicato quel libro. Ma sono anche convinto che lui non è mai stata la persona giusta per lanciare Lolita in modo corretto, per diffondere un romanzo che differisce per struttura e per scopo dalle altre sue pubblicazioni commerciali, come Il bidet di Debby o A cosce tese».
E se l’«Olympia Press» è stata progressivamente estromessa dai diritti delle edizioni all’estero di Lolita, secondo Nabokov ciò lo si deve alle «difficoltà create dal signor Girodias nei negoziati con le case editrici dopo la pubblicazione del romanzo negli Stati Uniti», alle richieste di percentuali troppo esose per il suo copyright provvisorio, oltre che per l’ambiguità dei suoi comportamenti («Il 30 novembre 1957 mi ha scritto di essersi pentito della malignità del proprio atteggiamento e di aver rinunciato al progetto di ristampa in America della sua edizione del libro, un progetto peraltro che, se attuato, avrebbe provocato la sua rovina»).
Nabokov conclude la sua difesa contro gli attacchi del suo primo editore esibendo un’ironia feroce: «Non ho mai incontrato il signor Gerodias. Una mezza dozzina d’anni dopo l’inizio del nostro rapporto epistolare, si è creata l’occasione di un incontro al cocktail party organizzato da Gallimard a Parigi il 23 ottobre del 1959, nonostante io avessi chiarito al mio agente che non avevo alcuna intenzione di parlargli. Egli ha sentito il bisogno di raccontare questa sua esperienza in due articoli distinti e fra loro contraddittori nella ricostruzione. Come ho sottolineato nella mia replica, anche se il signor Girodias mi è stato presentato io non me ne sono accorto. Peraltro, non avrei potuto riconoscerlo mentre lui “nuotava lentamente verso di me in mezzo agli invitati” perché non l’avevo mai visto in vita mia. Forse è lui a essersi sbagliato e, in quella occasione, si è rivolto a un poeta cecoslovacco scambiandolo per il sottoscritto».
I rapporti tra Vladimir Nabokov e Maurice Girodias rimasero tesi e irrisolti fino alla morte di entrambi (il primo il 2 luglio 1977 a Montreaux in Svizzera, il secondo il 3 luglio 1990 a Parigi).
Sinossi: 
La voce narrante del romanzo è il professore Humbert Humbert, un annoiato insegnante quarantenne di letteratura francese che, dopo un matrimonio fallito e dopo essersi ripreso da un esaurimento nervoso, si trasferisce nella piccola città di Ramsdale nel New England per dedicarsi interamente alla scrittura. Affitta una stanza nell’abitazione di Charlotte Haze, una vedova frustrata, e fa la conoscenza di Dolores (chiamata anche Lo, Lola o Dolly), la figlia dodicenne della padrona: ribelle e maliziosamente spregiudicata com’è, gli richiama subito alla mente Annabelle, il suo primo amore da tredicenne.Inizia così un sottile rapporto di ingenua complicità che porterà Dolores a salutare Humbert, prima di partire per la colonia, con un casto bacio sulle labbra. Mentre Dolores si trova al campo estivo, Charlotte, che intanto s’è innamorata di lui, si dichiara. Egli accetta di sposarla al solo fine di continuare a vivere vicino alla sua Lolita.
Poco tempo dopo però a Charlotte capita di leggere il diario dell’uomo. Una volta appresi così i veri sentimenti e le intenzioni di lui, progetta di fuggire e inviare Dolores in collegio. La donna minaccia Humbert di esporlo a un pubblico scandalo e lo definisce un “detestabile, abominevole criminale bugiardo”. Il destino tuttavia interviene a favore del professore: mentre sta attraversando la strada in stato di shock, Charlotte viene investita da un’automobile e rimane uccisa. Ora Humbert è libero di proseguire la sua storia d’amore con la ninfetta.
Il professore va a riprendere Dolores dal campeggio, raccontandole inizialmente che la madre è stata ricoverata in ospedale. Invece che tornare a casa i due cominciano un lungo vagabondaggio da un motel all’altro, in giro per gli Stati Uniti. La prima sera, Humbert fa ingurgitare dei sonniferi alla ragazza, con l’intenzione di possederla. Viene però a scoprire che Dolores ha già perduto la verginità con un coetaneo al campeggio. Rivelata la verità, cioè che la madre è morta, il professore propone a Lolita d’accettarlo come suo patrigno.
Humbert comincia anche a pagarla per ottenerne i favori sessuali e, per impedirle d’andare alla polizia, la spaventa prospettandole un comune destino in galera. Trascorso un anno, Humbert comprende la necessità di Lolita di proseguire gli studi. Giungono così in una cittadina dove Humbert iscrive Lolita a una scuola femminile.
La ragazza tenta di ritagliarsi degli spazi di autonomia dall’asfissiante presenza di Humbert. Questi, fattosi sempre più possessivo, la tiene praticamente prigioniera,vietandole di partecipare alle attività del doposcuola e soprattutto di frequentare i coetanei. Lolita persuade Humbert a permetterle d’iscriversi a una scuola di teatro dove ha modo di incontrare gli amici e il commediografo Claire Quilty che aveva già conosciuto quando questi era stato ospite della casa della madre.
Durante le prove della recita scolastica, Quilty rimane fortemente colpito dalle capacità recitative di Lolita. Poco prima del debutto, Humbert e Lolita hanno una feroce discussione. La ragazza scappa e l’uomo la ritrova mentre sta uscendo da una cabina telefonica. La ragazza è raggiante, afferma che stava per raggiungerlo a casa e che ha preso una grande decisione. Mentre comprano da bere, Lolita insiste di rimettersi in viaggio.
Humbert, messo in difficoltà dai pettegolezzi del suo menage con Lolita, decide di cogliere l’occasione al balzo. La coppia riprende così a vagabondare in auto. Humbert ha la sensazione di essere pedinato e spiato da un uomo misterioso che egli suppone sia un detective. Il professore e comincia a sospettare che Lolita stia cospirando con altre persone al fine di sfuggirgli. Quando la ragazza si ammala e viene ricoverata in ospedale, Humbert si ritrova solo.
Una volta guarita, Lolita riesce a fuggire dall’ospedale, e questo prima che Humbert possa venire a prenderla, spacciandosi per lo zio. Sconvolto, Humbert prende a girovagare, cercandola per miriadi di hotel e scoprendo, il più delle volte, che Lolita e l’uomo misterioso hanno soggiornato lì. Lolita è scomparsa e Humbert finisce con l’arrendersi. Col passare del tempo, egli sembra in grado di elaborare la perdita della sua amata ninfetta e, per due anni, intreccia una relazione rapporto con una donna di nome Rita. Un giorno, il professore riceve una lettera da Lolita, ormai diciassettenne, che gli scrive di essere sposata, in attesa di un figlio e bisognosa di denaro. Humbert si precipita a trovarla e riesce a strapparle una confessione sul nome di chi l’aveva aiutata nella fuga dall’ospedale. Si tratta di Claire Quilty.
Questi, dopo averla sedotta approfittando del suo ruolo di regista, voleva farne una stella di film pornografici ma, al rifiuto di lei, l’aveva abbandonata. Lolita tentò di sbarcare il lunario e ci riuscì prima di conoscere e sposare il marito Dick (Richard), che ignora il suo passato e al quale lei ha raccontato di Humbert come fosse il suo vero padre. Dopo averle consegnato quattromila dollari, Humbert cerca di convincere Lolita a venire via con sé, ricevendone però un secco rifiuto.
A questo punto, nella più completa disperazione, Humbert va a cercare Quilty a casa sua e lo uccide a colpi di rivoltella. È arrestato per l’omicidio e, in attesa di processo, scrive in carcere il suo libro di memorie: Lolita o le confessioni di un maschio bianco vedovo (Lolita or: The Confessions of a White Widowed Male).
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