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Le “Recensioni” che stroncavano Rosso di San Secondo

Le “Recensioni” che stroncavano Rosso di San Secondo

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Tipologia:  Articolo

Testata:  la Repubblica / Palermo

Data/e:  domenica 12 novembre 2017

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

Un tempo bussola divulgativa gestita dagli uffici stampa come una protesi pubblicitaria, il bollettino bibliografico è un sottogenere editoriale ormai soppiantato nella presente epoca dominata dall’informazione digitale.

Tra gli esempi più originali e misconosciuti di questo tipo di pubblicazioni in Italia c’è quella dovuta a un trio d’intraprendenti intellettuali palermitani, decisi a spezzare lance e a spargere veleni. Era l’agosto del 1928, anno VI di Mussolini, quando esordì “Recensioni – Bollettino bibliografico”, con sede in via Lincoln, accanto alla tipografia di Francesco Lao che ne stampava mensilmente le 18 pagine.

Direttore responsabile della rivista diffusa per qualche anno in cinquemila copie, con la copertina illustrata dal pittore “futurista per caso” Giovanni Varvaro, era Giovanni Raimondi (1897-1970), un giornalista e animatore culturale che dal futurismo si era polemicamente allontanato.

Ad affiancarlo in redazione, assieme a Filippo De Luca, c’era la vera anima dell’impresa, il critico Carlo Weidlich. Di lui, nato a Palermo, si conosce la discendenza tedesca, la professione ufficiale di procuratore commerciale dell’omonima ditta familiare di porcellane e la prolifica attività di divulgatore, autore di saggi (alquanto inerti) su “Ciclismo e letteratura”, Papini poeta, Federico Tozzi, Lorenzo il magnifico, oltre che di numerose antologie letterarie.

Accanto a ghirigori e bagattelle di ortodossia mussoliniana (“Libro e moschetto, fascista perfetto” è un mantra quando si esalta “La storia di Balilla” del Pagani), le prime annate di “Recensioni” ospitano un’appassionata difesa del teatro dialettale “purché voglia farsi sperimentale” e un ditirambo sull’autobiografia di Angelo Musco, perplessità sull’esordiente Comisso e sul maturo Bontempelli, un affondo del poeta De Maria sulla crisi del teatro di prosa e uno di Raimondi sul tramonto del Futurismo (dove il pittore Pippo Rizzo viene liquidato come plagiario di Balla), oltre a stroncature di Rosso di San Secondo romanziere, di Guido Da Verona (“Zero assoluto!”) e sfottò avvelenati per Lucio d’Ambra e Pitigrilli.

Il n. 7 del bollettino ospitò lo sfogo del poeta Enrico Ragusa, rammaricato della mancata costituzione del suo cenacolo d’arte morto prima di nascere a causa del “carattere assolutamente dissociativo dei siciliani” e del cortocircuito di pettegolezzi denigratori a cui si abbandonano gli artisti insulari, “abituati a denigrare le opere altrui per affermare la supervalutazione della propria individualità”. Un viziaccio duro a morire.

 

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