L’ eros di Moravia in due litografie di Guttuso
Tipologia:  Articolo
Testata:  la Repubblica / Palermo
Data/e:  domenica 15 ottobre 2017
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Era il 1940 quando Alberto Moravia, scrivendone per la prima volta nel catalogo di una mostra genovese, elogiava il valore “rigenerante” della pittura di Renato Guttuso che, tra le sue qualità, esibiva il singolare sforzo di dare “un colore morale alla carne”.
In quella nota ispirata e affettuosa, l’autore degli Indifferenti arriva a paragonare il conturbante “impressionismo per difetto” dell’amico bagherese alla intensità drammatica di Goya (forse pensando agli ultimi cicli grafici del maestro spagnolo).
Una sintesi di questa drammaticità goyesca che mescola mito e realismo la ritroviamo proprio nella sensualità tormentosa dei due disegni con i quali Guttuso illustrò le 500 copie della prima (e oggi rarissima) edizione di Agostino, capolavoro di Moravia.
Fu l’illuminato editore romagnolo Federico Valli a pubblicare nel 1944, per la sua romana “Documento”, quel romanzo di formazione, scritto due anni prima a Capri e a cui la censura mussoliniana negò il nulla osta mettendo definitivamente all’indice lo scrittore.
La Bompiani rifiutò la pubblicazione e Moravia si rivolse al sodale Valli. Il risultato è l’elegante volume rilegato in canapa e cartone che espone in copertina un’acquaforte su zinco applicata di Luigi Bartolini.
È proprio a questo pittore-scrittore marchigiano (poi diventato celebre per il romanzo Ladri di biciclette) che Moravia si era rivolto inizialmente per le illustrazioni del libro.
Terrorizzato dai feroci colpi di coda censori del regime al tramonto, Bartolini prima si negò e poi assalì al telefono l’autore di Agostino dandogli del “brutto mascalzone antifascista”.
Dobbiamo a tale ideologica intemperanza le due litografie firmate a matita da Guttuso, sintesi assai efficace della storia del tredicenne borghese che, durante un’estate in Versilia, assiste all’esplosione della vitalità sessuale materna e, roso dalla gelosia, tenta goffamente di emularla finendo nel crogiuolo di una comunità di esuberanti ragazzini proletari succubi di un bagnino pederasta.
A quest’ultimo personaggio il pittore regala protagonismo marcandone la mostruosità da minotauro, a sovrastare un groviglio di corpi adolescenti.
Nell’altra composizione campeggia l’inquietudine michelangiolesca di un nudo femminile, preda sessuale finita nella rete del suo pescatore.
Due espressioni non banalmente illustrative e utili a interpretare lo spirito del romanzo.
Riguardo a Bartolini, quando chiamò telefonicamente, a guerra finita, la redazione del “Mondo” chiedendo di Moravia, ricevette da questi l’eloquente risposta: “Ditegli, per piacere, che gli do un calcio in culo!”.
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