Il visconte dimezzato di Italo Calvino – Edizione Einaudi / “I gettoni” del 5 giugno 1954
Autore/i:  Italo Calvino
Tipologia:  Romanzo breve
Editore:  Einaudi, Collana "I gettoni", n.9
Origine:  Torino
Anno:  1954 (5 giugno)
Edizione:  Ristampa del 5 giugno identica alla edizione del 12 febbraio 1954
Pagine:  120
Dimensioni:  cm.19,5 x 13,3
Caratteristiche:  Brossura a due colori (di Oreste Molina, grafica di Albe Steiner) con fregio editoriale
Note: 
Edizione 1954 del romanzo Il visconte dimezzato di Italo Calvino, Einaudi (Collana “I gettoni”, n.9). Ristampa del 5 giugno identica alla precedente del 12 febbraio 1954. La prima edizione, nella stessa collana, è del 1952. È il primo titolo della trilogia I nostri antenati, raccolta in volume nel 1960.
« Il Visconte è una vera e propria favola di tempi remoti, piena di stregonerie, di barocchi miracoli e di capricciosi grotteschi: come una pittura di Girolamo Bosch… Magari il lettore potrà ricordarsi, ma per un richiamo puramente estrinseco, del Dottor Jekyll e Mr.Hyde; o del fratello buono e del malvagio nel Master of Ballantrae. Una vena nordica, gotica era palese in Calvino già dai primi racconti, dove pigliava aspetti “espressionistici” alla tedesca, mescolati d’inevitabili formalismi americani. Il suo compiacimento per certe sembianze di vita naturale, per l’orrido zoologico o botanico, la stessa icasticità figurativa era di puro gusto gotico… Staccandosi da sollecitazioni storiche e sociali più vicine e imperiose, e investendosi in motivi di libera fantasia, nel Visconte l’arte s’è più fruttuosamente ricongiunta alle proprie tradizioni; e così viene spontaneo il ricordo di Altdorfer, di Grünewald, dei Brueghel, di Bosch. La qualità degli ambienti e dei paesi, la scelta dei personaggi da apologo, gli animali che partecipano alla mascherata umana, i lebbrosi, gli eretici, gli impiccati; le ribattute simmetrie di certe immagini araldiche: ci riportano a questo gusto, a questo clima: c’è ritmo, c’è disegno, c’è una grazia grottesca, sia pure un po’ burattinesca: e mettendosi a fare come per scherzo, Calvino ci ha dato il suo libro finora più riuscito ».
( Emilio Cecchi, Nota al risvolto di copertina di questa edizione )
«(…) Nel risvolto che accompagna il testo Vittorini conia una formula critica che avrà larga fortuna, secondo la quale la scrittura di Calvino poteva realizzarsi sia in un senso di “realismo a carica fiabesca”, come era accaduto con Il sentiero dei nidi di ragno e Ultimo viene il corvo, sia in un senso di “fiaba a carica realistica”, come in questo caso. Il fantastico Visconte dimezzato, come quello di tutta la trilogia, è centripeto: non si presenta come fantasticheria sbrigliata fine a se stessa, ma come vivace e aperta riflessione per immagini. D’altronde il libro si apre come la storia di un reduce, evocando con decisione e secchezza il clima delle recenti e traumatiche esperienze della guerra e della Resistenza. Attorno alla figura di Medardo, come ha notato Claudio Milanini, si intersecano tre trame discontinue. Innanzi tutto una trama fiabesca (dove però i ruoli sono ambigui: il cattivo suscita anche pietà, il buono è noioso e anche un po’ ipocrita) e una trama allegorica senza soluzioni preconfezionate: sia il Buono che il Gramo tessono un elogio del dimidiamento, ma un fitto gioco di parallelismi e antitesi sottolinea con forza la relatività, la ristrettezza d’ogni punto di vista. Infine una terza linea di racconto è quella che rinvia alla centrale, elusiva, forse non del tutto attendibile, figura del narratore, anonimo nipote di Medardo che sarebbe stato, in un tempo indeterminato della sua infanzia e adolescenza, spettatore e attore delle vicende di un mondo adulto osservato con un misto di fascino e avversione». (Bruno Falcetto in Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi, Milano, Bompiani, 2005)
In GALLERY è presente la riproduzione della nota introduttiva di Elio Vittorini pubblicata al risvolto di copertina di questa edizione
Sinossi: 
L’azione si svolge al tempo delle guerre austro-turche, in un periodo imprecisato fra la seconda metà del Seicento e l’inizio del secolo successivo.
Il visconte Medardo di Terralba arriva, insieme allo scudiero Curzio, all’accampamento cristiano in Boemia per partecipare alla guerra contro i Turchi. Durante la sua prima battaglia, viene colpito da una palla di cannone, che lo squarcia in due metà. Viene ritrovata la sola parte destra, mentre si pensa che l’altra sia andata distrutta. I medici del campo riescono a fasciarla e ricucirla, cosicché il visconte dimezzato si salva e può quindi tornare a Terralba.
E qui i sudditi si rendono conto di come del visconte sia tornata solo la parte malvagia. Il padre Aiolfo aveva addestrato un’averla a volare nelle stanze del figlio, e quando se la vede recapitare da Medardo orrendamente mutilata muore di crepacuore. È solo la prima di una serie di azioni maligne e feroci: Medardo offre funghi avvelenati al nipotino (tentando inutilmente di ammazzarlo), infierisce su piante e animali tagliandoli a metà, fa impiccare su un patibolo multiplo (commissionato al falegname Mastro Pietrochiodo) innocui bracconieri e gatti innocenti, opprime gli ugonotti a causa della loro religione, terrorizza i contadini appiccando il fuoco a fienili e abitazioni. Quando la vecchia balia Sebastiana contesta aspramente il suo comportamento, Medardo l’accusa ingiustamente di avere la lebbra e la scaccia a Pratofungo (il paese dei lebbrosi).
Tutte queste turpi prodezze valgono al visconte un soprannome: il “Gramo”. Tempo dopo, Medardo si innamora della pastorella Pamela e manifesta i propri sentimenti con segni di divisione violenta (margherite senza la metà dei petali o uno scoiattolo tagliato in due). Lei lo rifiuta e lui si vendica danneggiando gravemente la sua famiglia.
Nel frattempo, il nipote del nobile è solito accompagnare il dottor Trelawney, un medico che è stato un tempo a servizio sulle navi dell’esploratore James Cook in giro per il mondo: i due fanno ricerche sui fuochi fatui appostandosi di notte nei cimiteri. Il ragazzo, girovagando per i boschi, mantiene contatti con la balia a Pratofungo, la quale nel frattempo ha trovato una cura per sottrarsi al contagio dei lebbrosi.
Ed è a Pratofungo che un giorno torna la parte sinistra del visconte: si tratta della metà buona, salvata da alcuni eremiti con erbe miracolose, che esordisce salvando il nipote dal morso velenoso di un ragno. Il “Buono”, come viene chiamato, predica dottrine per i poveri e i lebbrosi, chiedendo pure di abbassare i prezzi dei prodotti agli ugonotti. Ma di fatto egli crea altri danni che vanno ad aggiungersi alle vessazioni del “Gramo”. Anche il “Buono” si innamora di Pamela, che ancora una volta rifiuta il pretendente.
Il “Gramo” discute con la madre della ragazza del piano architettato per prendersi Pamela: facendola sposare con l’altra metà, di fronte alla legge Pamela sposerebbe Medardo di Terralba, e quindi anche lui. Il “Buono”, invece, dichiara al padre di lei l’intenzione di voler lasciare la città, permettendo al “Gramo” di sposare liberamente la giovane. Dal canto suo, la contadina incontra le metà del visconte e le rassicura entrambe sulla riuscita del matrimonio.
Arrivato il giorno della cerimonia, i Medardo sono entrambi sicuri dell’efficacia della propria idea. Quando il “Gramo” scopre di avere per rivale il “Buono” lo sfida a duello. Dopo una serie di finte e colpi mancati, le due metà si tagliano reciprocamente bende e cuciture riaprendo le ferite lungo il corpo. In questo modo al dottor Trelawney è consentito l’intervento per riunire le due metà. Finalmente non più dimezzato, il visconte Medardo può sposare la sua Pamela e vivere pacificato con se stesso.
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