Il “Metropolis” restaurato
Tipologia:  Note
Data/e:  16 aprile 2015
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Franco Maresco & Associazione “Lumpen” in collaborazione con
Goethe-Institut di Palermo, Cineteca di Bologna, Ila Palma Produzioni
presentano
IL “METROPOLIS” RESTAURATO
(Cinema De Seta Giovedì 16 aprile, ore 21)
Presentano Franco Maresco e Heidi Sciacchitano, direttrice del “Goethe-Institut” di Palermo
L’evento del “Metropolis” restaurato è innanzi tutto un dovuto risarcimento al genio del suo autore. Bastano le cifre a dare conto di quella impresa titanica iniziata il 26 maggio del 1925, col primo giro di manovella negli studi di Neubabelsberg, e conclusasi 17 mesi dopo, costringendo la società di produzione UFA a una provvidenziale partnership con due major hollywoodiane: 5 milioni di marchi spesi per 620.000 metri di pellicola che davano corpo a 548 pagine di sceneggiatura, l’impiego di 36.000 comparse ad affiancare gli 8 interpreti di primo piano, più di 500 grattacieli visualizzati, 2.000 costumi, 3.500 paia di calzature speciali e 50 automobili circolanti lungo gli avveniristici sentieri dell’immenso e labirintico set . Fu il tonfo al botteghino, con i 75.000 marchi incassati alla sua uscita nei cinema di Berlino nel ‘27, a inaugurare il calvario distributivo di un film che, da allora in poi, il suo regista detestò (proseguendo poi una carriera tutta in crescendo) e che gli spettatori videro rimontato o mutilato fino alle più recenti versioni parallele del 1984 (una di 147 minuti e l’altra di 87, quest’ultima orribilmente virata e contrappuntata dal soft-rock di Moroder), che precedono quella odierna, col restauro dei ritrovati 25 minuti e della partitura originaria curato tra Wiesbaden e Buenos Aires, e in Italia distribuito dalla Cineteca di Bologna. Più che un semplice kolossal su un modello ideoestetico di paesaggio urbano e di architettura sociale declinato in un immaginario 2026, Metropolis è un vero e proprio archetipo figurativo della modernità, la prodigiosa sintesi di certe sue mitologie fondative (Faust, Frankenstein, Golem), un esempio d’ibridazione dinamica tra il cinema e le altre arti. La trama, elaborata dalla sceneggiatrice Thea von Harbou e parallelamente da lei stessa trasformata in romanzo, pone al centro la coppia Freder e Maria come redentori del male provocato dal padre del primo, monopolista in una megalopoli divisa tra il livello abitato dalla casta dominante e il sottosuolo degli operai in schiavitù, poi sollecitati alla ribellione da un robot inventato dal perverso scienziato Rotwang, creatura alla quale la protagonista è costretta, sdoppiandosi, a infondere vita. E se il favolistico happy end celebra la conciliazione di ogni contrasto, Lang sembra mettere tra parentesi l’assunto consolatorio della sua immaginifica anamorfosi: la visione di una società lacerata e piramidale giunta a uno storico crocevia, l’Occidente dove a imperare sarà la macchina da guerra dei tanti fascismi di là da venire, e dove oggi ad essere rimasta in gioco è solamente l’umana resistenza agli imprevedibili poteri del post-umano.
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