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“Il contesto. Una parodia” di Leonardo Sciascia – Prima edizione

“Il contesto. Una parodia” di Leonardo Sciascia – Prima edizione

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Autore/i:  Leonardo Sciascia

Tipologia:  Romanzo

Editore:  Einaudi, Collana "I coralli", n.275

Origine:  Torino

Anno:  1971 (6 novembre)

Edizione:  Prima

Pagine:  124

Dimensioni:  cm. 19,4 x 12,4

Caratteristiche:  Legatura in tela rossa, titoli al dorso in bianco, sopraccoperta illustrata da un particolare di "I giudici", disegno in nero di Jean-Louis Forain, fondo bianco, titoli in nero

Note: 

Prima edizione del romanzo Il contesto-Una parodia di Leonardo Sciascia, pubblicato da Einaudi nella collana« I Coralli » (n.275). Finito di stampare il 6 novembre 1971.

Fu ristampato nel 1976 nei «Nuovi Coralli» (n.147). L’edizione Adelphi, nella collana «Fabula» (n.74), è del 1994.

Da questo romanzo è stato tratto il film Cadaveri eccellenti  (1976) di Francesco Rosi.

In coda alla GALLERY è presente la riproduzione di una lettera di Renato Guttuso sul Contesto di Sciascia pubblicata su L’Unità di martedì 1 febbraio 1972.

 

«Al centro della vicenda è l’ispettore Rogas, un «letterato» mosso da un geometrico rigore intellettuale, che si immerge nel «caso» con una tenacia quasi ossessiva, alla caccia del fantomatico assassino: un tale, forse, «accusato di tentato uxoricidio attraverso una concatenazione di indizi che sembrano essere stati fabbricati, predisposti ed offerti dalla moglie stessa». Il contesto si presenta così al lettore come un racconto poliziesco perfetto, un meccanismo che non ha mai un intoppo, che si dipana senza rallentare una tensione fortissima (ma il ritmo narrativo si apre talvolta a pagine di stupenda bellezza, in cui si bloccano volti, gesti, paesaggi). Al di là del «giallo», sono l’allegoria e la passione politica, a tratti violenta, a fare del Contesto il libro più sofferto, più vero di Sciascia, la prova con cui lo scrittore esce allo scoperto.»

(Dalla nota pubblicata al risvolto di sopraccoperta)

 

«(…) Quanto a Il contesto, è nato allo stesso modo che A ciascuno il suo. Avevo intenzione di scrivere un libro, sia sulla situazione politica italiana, sia su quella mondiale, ma il progetto era piuttosto vago e io tiravo per le lunghe senza realizzarlo davvero. Per divertirmi, mi sono accinto a scrivere un romanzo “poliziesco”, la storia di un marito ingiustamente accusato di tentato avvelenamento della moglie, e alla fine ne è risultato Il contesto, cronaca di una desertificazione ideologica e ideale che tuttavia in Italia era solo ai suoi inizi.»

(Leonardo Sciascia, da La Sicilia come metafora, intervista di Marcelle Padovani, Mondadori, Milano 1979)

 

«Un racconto, di solito, lo penso per un anno e poi lo scrivo in un mese. Cioè: quando comincio materialmente a scriverlo, il libro è già scritto. E per Il contesto, che esce ora da Einaudi, non è andata diversamente: solo che tra il pensarlo e lo scriverlo c’è stato un lungo intervallo, in cui ho pensato e fatto altre cose. Non l’ho “scritto e riscritto”, come qualcuno crede. Scrivendolo, l’unica variazione rispetto a come tre anni fa l’avevo disegnato, è stata nella “decurtazione” di una trentina pagine: non qua e là, ma in un punto preciso. E credo ci abbiano guadagnato tutti: io che mi sono risparmiato di scriverle, il lettore che si risparmierà di leggerle… In definitiva – credo – ci ha guadagnato il racconto. La ragione per cui mi riusciva difficile mettermi a scrivere il racconto già disegnato in ogni dettaglio (e forse anche in ogni parola)  non era di natura pirandelliana ma di natura, direi, “maestro di scuola”. Non mi pareva, cioè, che il racconto fosse “una buona azione”. Ancora oggi dopo averlo scritto ne ero preoccupato: e praticamente ho affidato ai primi lettori la decisione di pubblicarlo o meno. Ed ecco questo racconto poliziesco-pamphlet, questa “mala azione”. »

(Leonardo SciasciaMala azione, in «Corriere della Sera», 18 novembre 1971)

 

Risposta a Davide Lajolo

«(…) la nota al Contesto che tu trovi deprimente («il tocco più deprimente»), non è uno schermo o uno scherzo: in questo momento il destino dell’uomo e del mondo, il, significato del vivere e dello scrivere,  il potere al di là delle qualificazioni ideologiche, nella sua nuda e invariabile iniquità – queste cose mi interessano più del Partito Comunista Italiano, della sua politica, della politica – farsa o dramma che sia – che si svolge nel nostro paese. E voglio aggiungere, a quello che ho detto nella nota, un particolare: il mio “giallo”, che stavo conducendo con divertimento, ha subito una deviazione verso l’amaro apologo forse più per la lettura di quel bellissimo saggio Auerbach sulla teoria politica di Pascal, che per i fatti della politica italiana e mondiale. Certo i fatti nel racconto ci sono: quei fatti. Ma se finiscono col prevalere, se il lettore si immerge in essi e trascura il resto, preferirei mi si dicesse che non ho saputo scrivere il racconto e non che voglio nascondere  la mano che ha lanciato il sasso. E questo è il senso della nota. (…) Tu mi chiedi: da quale parte stai? Io nel Contesto ho voluto dire che non ci sono parti che una persona pensosa ed onesta possa nettamente scegliere, in cui si possa stare senza disagio, senza dissidio con se stessi. E allora? E allora io direi che ognuno deve portare a fondo questo dissidio con se stesso, e trarne ogni conseguenza. Non vedo altre soluzioni. Le soluzioni già pronte, quelle per “i destini generali”, sono già saltate o stanno per saltare. »

( da Lo scrittore Leonardo Sciascia risponde sul «Contesto», in «Giorni -Vie Nuove», 2 febbraio 1972)

 

 

Sinossi: 

Ambientato in uno stato non nominato, che pare di sapore sudamericano ma è molto simile all’Italia, il romanzo racconta la vicenda di Cres, un farmacista che uccide uno dopo l’altro i giudici che lo hanno ingiustamente condannato per tentato uxoricidio. Sui suoi delitti indaga l’ispettore Rogas, il quale scopre che, mentre Cres compie la sua vendetta solitaria e i poteri occulti e l’opinione pubblica accusano dei delitti i gruppi dell’opposizione extraparlamentare, dal canto loro i vertici del potere politico, militare e giudiziario complottano per realizzare un colpo di stato. A capo del complotto sembra esserci il giudice Riches, presidente della corte suprema, che espone a Rogas la sua visione della giustizia, fondata su una statolatria che soggioga l’individuo fino ad annullarlo. Rogas, sinceramente democratico, quando capisce che Cres sta andando a uccidere il magistrato, non lo ferma, facendogli così completare la sua vendetta. Rogas decide poi d’informare del golpe imminente Amar, capo del maggiore partito di opposizione, ma prima racconta ciò che ha scoperto all’amico scrittore Cusan. Alla fine del romanzo vengono trovati in un museo i cadaveri di Rogas e Amar; la spiegazione ufficiale è che siano stati uccisi da un terrorista, ma per Cusan e per il lettore la verità è ambigua: forse Rogas ha ucciso Amar, scoprendolo sordo alla sua denuncia (perché, spiega il vice di Amar: “siamo realisti, signor Cusan. Non potevamo correre il rischio che scoppiasse una rivoluzione”), ed è stato in seguito ucciso dai servizi segreti.

 

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