Il cineclub nuova sfida anti on line
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  28 novembre 2015
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Fanno la fila all’ingresso della sala dopo essersi attardati, prima della proiezione, ai tavolini del foyer adibito a bar: sono i 200 spettatori (perlopiù attempati anche se non mancano i giovani mai sotto i 25 anni) di una rassegna cinematografica del lunedì sera al Rouge et Noir, convenuti davanti al grande schermo per La conversazione, capolavoro di Francis Ford Coppola riproposto in un bel ciclo sul New American Cinema dei lontanissimi anni Settanta. E così, accanto ai sempre più folti calendari del De Seta ai Cantieri della Zisa (con l’Associazione Lumpen diretta da Franco Maresco, con la SudTitles di Andrea Inzerillo) e degli altri centri culturali (il Goethe Institut e l’Institut français) impegnati a proporre la preziosa filiera dei classici restaurati come objets d’art, trovano spazio anche a Palermo le programmazioni cult in quelle sale del circuito ordinario che provano a resistere alla crisi di presenze, e all’avvento dei multiplex, rivolgendosi a una felice élite di “mangiatori” del buon vecchio cinema doc. A gestire l’evento del Rouge et Noir è Gian Mauro Costa, pioniere del Super8 palermitano oltre che scrittore e giornalista, assecondato dall’affettuosa consulenza di Giuseppe Barbera e di Mario Bellone, attivissimo promotore delle gloriose stagioni dei cineclub cittadini e delle rimpiante manifestazioni del Cinestudio e di Palermocinema, iniziative tutte soppiantate sia dalla radicale mutazione del mercato negli ultimi decenni, sia dalle rinnovate modalità di consumo dei film specialmente in provincia (fantasmizzazione dei prototipi del cinema indipendente e anomalo con conseguente dissolvimento di ogni circuito d’essai e affermazione invasiva dei blockbuster su schermi sempre più minuscoli, per non parlare dell’estasi tecnologica andante che ha abituato le giovani generazioni alla macrovisione dopata dall’High Tech o alla microvisione solitaria su tv, per homevideo o preferibilmente on line). E’ vero che, opponendosi all’andazzo, una resistente nicchia di spettatori sembra accogliere positivamente ogni invito a rinverdire i fasti dell’antico rituale collettivo davanti al grande schermo, ma è meglio non farsi illusioni. Nonostante il buon successo della manifestazione, Costa e Bellone non hanno dubbi: l’epoca aurea dei cineforum, a Palermo come altrove, può dirsi definitivamente tramontata. Non resta che evocare, sfidando l’inevitabile nostalgia, il bel tempo che fu del Circolo La Base, de L’Antorcha e del Terzo Pianeta, del Crystal e del Nuovo Brancaccio: c’erano una volta, a partire dagli anni Cinquanta fino agli Ottanta, le meditate e spesso provocatorie proposte di quel “qualcosa di diverso” che richiamava folle entusiastiche di giovanissimi moviegoers militanti, quando faceva tendenza, mietendo proseliti, il cinema come dispositivo primario di controcultura e come linguaggio elettivo utile a decifrare il mondo. I cineclub servivano a riconvertire culturalmente e socialmente le sale periferiche in disuso, a promuovere personali di antichi e nuovi registi, a esaltare la tempra autorale dei film di genere, a riesumare opere soggette alla censura bianca del mercato, a valorizzare qualunque estrosità o bizzarria o sperimentalismo purché fosse ideoesteticamente corretto. Era l’epoca in cui masse di spettatori engagés sprofondavano in un trip davanti alla Montagna sacra di Jodorowsky, disponendosi all’estasi per sopportare (sempre criticamente) i lunghi piani-sequenza di Miklós Jancsó o per intonare il motto “Viva l’anarchia” all’unisono con Gian Maria Volonté nei panni del sacrificato Vanzetti in un film di Montaldo. Qualcuno tra i più duri e puri arrivava al punto di lamentarsi al botteghino se il titolo in programma era Il sospetto di Hitchcock e non di Francesco Maselli, pellicola omonima più politicamente cogente. Fu il cinema Olimpia, nel 1948, a ospitare il primo Circolo del cinema palermitano, animato da intellettuali-artisti del calibro di Enzo Sellerio, Bruno Caruso e Giuliana Saladino. Quell’esperienza quasi carbonara generò, per reazione, il Cineclub Sicilia guidato dai rigori filologici del critico Gregorio Napoli, e la filiera dei forum di matrice cattolica, il Don Bosco dei salesiani e la Casa Professa dei gesuiti e del laico Baldo Maggiore. Nel gennaio 1973 nacque La Base di via Lincoln (chiuso nel ’78), officina di cultura e di spettacolo off più che semplice cineclub, fondato da Gianni Colella (primo presidente al quale subentrò Barbera) affiancato da Bellone al suo debutto e da Vittorio Albano, quest’ultimo decano della critica di tendenza e storica firma de “L’Ora”. Alla riproposizione dei maestri riconosciuti (Rossellini, Visconti, Antonioni, Buñuel, Dreyer, Kurosawa e Mizoguchi prima degli altri) seguì la messa in rilievo dei cineasti delle nouvelle vagues in auge (dalla francese alla tedesca) e degli innumerevoli “irregolari” sulla rotta Europa-Stati Uniti-Unione Sovietica-Giappone. Del loro cibo di celluloide si nutrirono avidamente gli spettatori post sessantottini e neo settantasettini dell’Antorcha (frequentato dagli anarchici al cinema Dante e poi nel locale sotterraneo in Piazza Alberico Gentili), e dei circoli “Charlot” della gioventù comunista e “Ottobre” di Lotta continua. Allora ogni proiezione era un’avventura, per via dei rulli usurati dei 35 e 16 millimetri in affitto presso archivi perlopiù privati. Ma quella generazione di spettatori era disposta a tutto, avida di maratone del cinema di serie A e B, indifferente a ogni scomodità e pronto a traghettare poi sui due resistenti fronti cineclubistici del Crystal di Pallavicino (gestito da Bellone e Sergio Merlo) e del Nuovo Brancaccio di Paolo Greco (a cui collaborò pure Maresco). Sembra affamato oggi come allora il pubblico dei cineclub ritrovati, composto anche da qualche reduce di quelle antiche esperienze, e questo perché i classici sono stati cancellati persino dai palinsesti della neotelevisione. Negli spettatori dell’era del post-cinema, anche in quelli della nicchia palermitana, non c’è alcuna nostalgia per quella foia ideologica, per quei dibattiti a seguire la proiezione, per quel cinema utilizzato a spezzare lance in nome delle “magnifiche sorti e progressive”: c’è solamente la voglia di un buon film, invecchiato bene, da cui poter imparare qualcosa. E tanto basta per chi si è intestardito ad animare le presenti rassegne “vintage” e quelle di là da venire.
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