Eros e Priapo (da furore a cenere) di Carlo Emilio Gadda – Prima edizione
Autore/i:  Carlo Emilio Gadda
Tipologia:  Romanzo
Editore:  Garzanti
Origine:  Milano
Anno:  1967 (22 maggio)
Edizione:  Prima
Pagine:  216
Dimensioni:  cm. 19,5 x 13
Caratteristiche:  Legatura in tela, sovraccoperta grigia con titoli in bianco e in giallo, con ritratto fotografico in bianco e nero dell'autore al retro
Note: 
Prima edizione di Eros e Priapo, antiromanzo di Carlo Emilio Gadda sul “bombetta”, ovvero sul duce Mussolini. Velenosa analisi della fenomenologia del fascismo, il romanzo fu annunciato, nel 1945, con il titolo Eros e la Banda dalle Nuove Edizioni Italiane, per essere poi programmato da Mondadori nel 1947. Nel 1952, l’editore Guanda ne annunciò una parte intitolata Dal Secondo Libro delle Furie . Questa prima edizione della Garzanti, finita di stampare il 22 maggio 1967, pubblica il testo gaddiano integralmente, dopo la sua apparizione parziale, con il titolo Il Libro delle Furie, nella rivista Officina: quattro puntate dal maggio 1955 al febbraio 1956.
La tiratura di questa prima edizione fu di 5000 copie. La seconda, pubblicata nello stesso 1967, fu di 2500 copie.
« Come «il bombetta» salì al potere e vi si mantenne, lasciando che il paese andasse in completa rovina. Se sostituite «bombetta»con il nome di Mussolini, avrete chiaro il contenuto di questo strano, affascinante anti-romanzo che è Eros e Priapo di Carlo Emilio Gadda. Si tratta di un saggio storico sul fascismo? Anche. Forse sarebbe meglio dirlo un saggio sulla psicologia e la fisiologia che permise vent’anni di dittatura fascista. Comunque, non è un libro facile a definirsi, ma non ostico come un saggio tout court. Bastano gli aneddoti che vi s’incontrano a ogni pagina, per rendersene conto. Anche perché la spiegazione che Gadda dà al «fattaccio» preso di petto, ha bisogno di fitte esemplificazioni. Dice Gadda che «il bombetta» prese potere perché era un esibizionista, e l’esibizionismo affascina chiunque coltivi una vocazione latente per l’appunto esibizionistica. Gli episodi narrativi nascono a conforto di questa tesi: e ce n’è per ogni gusto. Le mamme in gramaglie, le spose in gramaglie, gli effetti dell’oscuramento durante la guerra, le fidanzate di guerra, eccetera, eccetera.
Con tutto ciò Eros e Priapo è anche un libro in cui è versato lo sdegno di un animo ferito, straziato dalla stupidità umana elevata a sistema di governo. Ma non è soltanto la furia contro la inettitudine fascistica a spingere Gadda alla costruzione di uno dei suoi più strabilianti edifici lessicali e sintattici. È anche la pietà. Pietà per i colpevoli, e per i coinvolti nolenti. La pietà dello storico di educazione classica emerge pagina per pagina, all’interno del tessuto stilistico e della rabbia giustificata, giustificatissima. Perciò Eros e Priapo è anche un atto di conoscenza: come atti di conoscenza erano le creazioni storico-letterarie di Tacito e Svetonio. È Gadda stesso a far richiamo ai biografi degli imperatori più tristemente memorabili. Come loro, fuori di ogni confronto, anche lui vuole rintracciare, nella cronaca del disordine, la vicenda segreta del Logos, della ragione. Una vicenda, quest’ultima, che solo ha senso se confrontata col male, con l’eros voltato in priapo (in smaccata esibizione di sé). «Dimando interpretare e perscrutare certi moventi del delinquere non dichiarati nel comune discorso», scrive Gadda. E la sua analisi scende nelle fibre più nascoste del comportamento umano: ne scandaglia le mascherate turpitudini, «que′ procedimenti oscuri, o alquanto aggrovigliati e intorti, dell’essere, che pertengono alla zona della carne dov’ella si dà vestita in penziero». Gadda denuncia la mascheratura della retorica patriottarda, facendo uso personalissimo del Freud che senza dubbio conoscerà, traducendo la percezione psicologica del grande viennese in sensibilità linguistica: le parole, portate a frizione tra loro, producono, nella scintilla, il giudizio, ed attuano il compito della ragione. Perché, lo ripetiamo, il senso ultimo di tutta l’indagine è poi svelare il male pronuciandolo, facendo esplodere i significati riposti delle parole con cui si espresse. Ed è un tale acuto senso razionalistico la sorpresa più sconvolgente di questo ultimo Gadda. Sorprende ritrovare, in uno degli indiscussi maestri della prosa del Novecento, una sensibilità guadagnata ad altro che non alle vischiose e fatalistiche metafisiche novecentesche. Guadagnata alla profonda convinzione che l’uomo, se subisce il male per storica determinazione, può con la forza della sua mente fugarlo, vanificarlo. »
( Nota ai risvolti di sopraccoperta in questa edizione )
La condanna della storia aulica e ufficiale, della dialettica storica, la proposta redatta in modo organico di una storia «etica» che contrapponga alle falsificazioni storiche il diritto della «verità», riemerge con forza e violenza eccezionali nel libro Eros e Priapo (da furore a cenere), pubblicato nel 1967. La proposizione di questo saggio — che nella storia personale di Gadda vuole avere una funzione di vera e propria «abreazione» — è chiaramente indicata, ad apertura di libro, in due motivi, che saranno i fili conduttori di tutta l’analisi compiuta sul regime fascista e sui suoi obbrobri: 1) la falsità delle storie ufficiali e della dialettica storica; 2) l’accettazione, persuasa da fatti «collettivi», della tesi che vede alle origini dell’aggregarsi umano l’Eros (o, secondo precise parole di Freud, della tesi che le «pulsioni sociali» «sono emerse dall’unificazione di componenti egoistiche e componenti erotiche»). Per quanto attiene al citato processo abreattivo — cioè le ragioni personali dello sfogo rabbioso — lo scrittore è abbastanza esplicito: «Il mi′ rospo, tre giorni avanti di tirar le cuoia, devo pure principiare a buttarlo fuora: il rospaccio che m’ha oppiato lo stomaco trent’anni: quanto una vita!» (…).
(…) Non dialessi storica, ma conoscenza (la causa di «Logos») che affonda le radici nella «verità»: ecco la storia vera contrapposta alla pseudo-storia; storia vera — atto di conoscenza in genere — che ha «da radicarsi nel vero, cioè in quel quid ch’è stato vivuto, e non sognato, da le genti». La «teoretica pigrizia» è nemica del vero e della vera storia. La condanna all’idealismo è qui chiara e decisa: come chiaro e deciso è il necessario riacquisto, recupero, delle scienze positive. (…)
(…) La spietata analisi gaddiana del «ventennio» postula non solo una prevalenza dell’Eros «nelle sue forme inconsce e animalesche»; ma, progressivamente, una totale uscita di scena del Logos, e infine, attraverso il «narcisismo» mussoliniano, una chiara degenerazione dell’Eros in Priapo. Da tale taglio dell’indagine, l’opera di dissacrazione dei «miti» si volge coerente e persuasiva, nella rabbia che mette in movimento tutta la macchina — che è rabbia razionale — di pagina in pagina: la famiglia, la religiosità, il patriottismo sono le insegne dietro le quali si celano i delitti della «banda» mussoliniana. (…)
(…) Ma l’attualità dell’Eros e Priapo è da ricercare, al di là dei contenuti, nella sicurezza con cui Gadda, scrittore ormai catalogabile fra i “classici” del nostro tempo, con alle spalle una produzione poderosa e ben definita, affronta con una freschezza che invano cercheresti in molti scrittori delle “neo-avanguardie” il problema del romanzo d’idee, del romanzo-saggio, o, se così vogliamo esprimerci, dell’anti-romanzo. Intanto, fra i tanti amoreggiamenti a mezza strada fra una psicanalisi orecchiata e una assai spesso non meno orecchiata sociologia, che costellano gli annali più recenti delle nostre lettere, Gadda affronta di petto il problema e adotta, con tutta chiarezza, i modi di un’indagine che non si vergogna di adire il freudismo, e non arretra, in ambiguità di fronte ai comportamenti collettivi e sociali. Nello stesso tempo Gadda non ha rinnegato quella che altra volta ebbe a definire la sua “grammatica”: il ricorso ai classici latini è frequentissimo, solo che non gli soccorrono più come puntelli per la sua particolare retorica nazionalista e patriottarda, ma come saggi di provata esperienza da interpretare a diritto e a rovescio in funzione di una diagnosi delle tecniche «erotiche» del tiranno e del comportamento del «collettivo». Sicché non meraviglia che in questo straordinario libro gli oggetti-simbolo, mutuati nel loro significato dalla base freudiana, diventino oggetti reali di una «narrativa» di concetti: si pensi alla capacità rappresentativa e simbolica assieme che sviluppano le immagini del «podio» e del «balcone», del «cavallo», del «torso nudo»; che fanno, nel loro complesso, una rappresentazione che è poi la vita (quella vita) e la politica (quella politica). Di modo che diresti che il libro nel suo complesso appaia come la “scena” di un teatro dove tutto è rappresentato e dove domina, centrato dalla violenza della satira dell’invettiva dell’ironia, l’istrione. La scena, del resto, si apre anche a ipotesi che le avanguardie teatrali generalmente oggi adottano, e porta davanti agli spettatori l’immagine, ad esempio, delle «pupe di gomma», finalità probabile di un esercizio sessuale dominato da un Eros «scempio» e non confortato da una sublimazione erotica. A guardar bene, e collocando il libro gaddiano nell’attualità, al di là del riferimento specifico a Mussolini e al fascismo, da queste pagine sgorga una carica “anarchica” d’una violenza ben superiore a certe proposte che ci vengono dalle neo-avanguardie; una carica contestataria che il lettore deve collocare nel contesto della cultura più recente, un esemplare di letteratura della protesta, non teorizzata, ma realizzata. (…)
(Adriano Seroni, da Gadda, Firenze, La Nuova Italia, Il Castoro, n.36, dicembre 1969)
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