lunedì, 16 Settembre 2024

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El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes Saavedra (aumentada con El Buscapie) – Edizione Biblioteca Ilustrada de Gaspar y Roig, Madrid 1879

El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes Saavedra (aumentada con El Buscapie) – Edizione Biblioteca Ilustrada de Gaspar y Roig, Madrid 1879

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Autore/i:  Miguel de Cervantes Saavedra

Tipologia:  Romanzo

Editore:  Imprenta y Libreria de Gaspar Editores, Collana "Biblioteca Ilustrada de Gaspar y Roig"

Origine:  Madrid

Anno:  1879

Edizione:  Sesta edizione della Imprenta y Libreria De Gaspar

Pagine:  542

Dimensioni:  cm. 27,5 x 17,5

Caratteristiche:  Legatura coeva in cartone rinforzato e tela muta di colore di marrone, dorso in pelle con titolo in oro. Con all'interno 300 disegni in nero nel testo e 7 tavole (laminas) in cartoncino con composizioni in nero fuori testo di Cibera

Note: 

Edizione 1879 del Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes della Tipografia e Libreria De Gaspar di Madrid. In appendice è presente El Buscapieil celebre apocrifo attribuito a Cervantes (una difesa della prima parte del Don Quijote) e in realtà composto da Adolfo De Castro. Il testo è corredato di note storiche e grammaticali. Con 300 disegni in nero nel testo e 7 tavole fuori testo con incisioni dell’illustratore Cibera.

 

Don Chisciotte della Mancia ( El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) è la più importante opera letteraria dello scrittore spagnolo Miguel de Cervantes Saavedra, e una delle più rappresentative della letteratura mondiale. Vi si incontrano, bizzarramente mescolati, sia elementi del genere picaresco, sia motivi del romanzo epico-cavalleresco, nello stile del Tirante el Blanco e del Amadìs de Gaula.

Cervantes, che si era arruolato seguendo la flotta cristiana alla volta di Lepanto, di ritorno da quell’estenuante battaglia, fu ricoverato presso l’Ospedale Maggiore della città di Messina nella quale si riuniva il vertice di Don Giovanni d’Austria. E fu proprio a Messina, in quel momento così importante della sua esistenza, durante la convalescenza, che egli iniziò a concepire il suo capolavoro, il Don Chisciotte della Mancia. Il pretesto narrativo ideato dall’autore investe la figura dello storico Cide Hamete Benengeli, di cui Cervantes dichiara di aver ritrovato e tradotto il manoscritto in arabo nel quale sono raccontate le vicende di don Chisciotte.

Pubblicato in due volumi a distanza di dieci anni l’uno dall’altro (1605 e 1615), il Don Quijote è l’opera letteraria principale del «Siglo de Oro»  ed è il più celebrato romanzo della letteratura spagnola.

Sinossi: 

Il libro si struttura in due parti  (1600-1615). Il protagonista della vicenda –  un cinquantenne forte di corporatura, asciutto di corpo e di viso – è un povero nobiluomo (un hidalgo) spagnolo, Alonso Quijano, che vive in un paese della Mancia ed è morbosamente appassionato di romanzi cavallereschi. Le letture lo condizionano a tal punto da trascinarlo in un mondo fantastico, nel quale si convince di essere chiamato a diventare un cavaliere errante. Decide così di partire per poter accrescere, con nobili azioni volte a difendere i deboli e riparare i torti, la propria fama e quella di tutto il paese.

Alonso diventa così il cavaliere don Chisciotte della Mancia e inizia a girare per le regioni della Spagna. Nella sua folle impresa, don Chisciotte trascina con sé un contadino del posto, Sancio Panza, al quale promette il governo di un’isola a patto che egli diventi il suo scudiero.

Come tutti i cavalieri erranti, don Chisciotte sente la necessità di dedicare a una dama le sue imprese. Lo fa scegliendo Aldonza Lorenzo, una contadina sua vicina, da lui trasfigurata in una nobile dama e ribattezzata Dulcinea del Toboso.

Purtroppo per don Chisciotte, la Spagna del suo tempo non è quella della cavalleria e nemmeno quella dei romanzi picareschi, e le occasioni d’imprese memorabili sono diventate assai rare.  La sua visionaria ostinazione lo spinge però a vivere la realtà in  con altri occhi. Inizierà quindi a scambiare i mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, i burattini con demoni, le greggi di pecore con eserciti nemici. Proverà sempre a combattere questi avversari immaginari, ritrovandosi sempre sconfitto e  suscitando l’ilarità di coloro che assistono alle sue folli gesta. Sancio Panza, dal canto suo, sarà in alcuni casi la controparte razionale del visionario don Chisciotte, mentre in altri frangenti si farà coinvolgere dalle imprese e dalle utopistiche teorie del padrone.

LA PRIMA PARTE DEL ROMANZO è preceduta da un PROLOGO  nel quale l’autore si scusa per lo stile semplice e per la narrazione esile e “priva di citazioni”. Segue il PRIMO CAPITOLO che tratta delle condizioni, dell’indole e delle abitudini del nobiluomo Don Alonso Quijano, un cinquantenne “forte di corporatura e asciutto di corpo e di viso”. Con lui vivono, in un paesino della Mancia, una governante sulla quarantina, una nipote di venti anni e un domestico.  Inaspettatamente, la sua maniacale passione per la letteratura cavalleresca si trasforma ad un tratto in una forma di delirio. Nelle ore libere, egli ne discute con il barbiere del paese, mastro Nicolás, e con il dotto curato laureatosi a Siguenza. Alonso decide quindi di farsi cavaliere errante e di andarsene armato a cavallo in giro per il mondo, facendo piazza pulita di tutte le ingiustizie, le prepotenze e i soprusi. Immagina come proprio futuro premio la corona di Imperatore di Trebisonda, e così inizia a mettere in atto il suo progetto.

Come prima cosa ripulisce e rimette in sesto alcune armi che erano appartenute ai suoi avi; poi si reca dal suo ronzino che gli sembra, anche se malconcio, persino superiore al leggendario Bucefalo di Alessandro Magno.  Poiché al ronzino manca un nome, don Alonso decide di chiamarlo “Ronzinante”, “primo fra tutti i ronzini del mondo”. In seguito pensa di nobilitare anche il proprio nome, e decide di farsi chiamare  “don Chisciotte della Mancia”, ponendo in evidenza il suo lignaggio e in onore della sua terra natale. Ma si rende conto che manca ancora qualcosa (“si persuase che non gli mancava altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato”).

La donna dei sogni viene  identificata in una certa Aldonza Lorenzo, una giovane contadina di un piccolo paese limitrofo, immediatamente ribattezzata col nome di “Dulcinea del Toboso”.

Fatti tutti questi preparativi e preoccupato per i danni che può procurare al mondo tardando a partire, don Chisciotte si mette presto in viaggio. Durante il suo peregrinare si chiede come fare a battersi per nobili cause se nessuno lo ha mai nominato  cavaliere. Il problema è risolto a fine giornata quando egli, giunto in un “nobile castello” ( che in realtà è un’umile osteria) sottopone la questione al “castellano” (ovvero all’oste). Questi, resosi conto della follia del suo cliente, finge di essere un grande signore e, con l’aiuto di due donzelle, lo nomina cavaliere. All’alba, don Chisciotte lascia l’osteria ritemprato e soddisfatto.

Arrivato nel bosco, egli libera il garzone di un contadino, che da questi era stato legato e picchiato, ma appena gira le spalle il padrone riprende a seviziare il garzone.  Quando incontra un gruppo di mercanti di Toledo che si recano a comprare delle partite di seta a Murcia, don Chisciotte, certo che questi siano cavalieri erranti, grida loro di fermarsi e di dire che in tutto il mondo nessuna donna è più bella dell’Imperatrice della Castiglia, ovvero della sua Dulcinea del Toboso. I mercanti lo prendono in giro e ne nasce una rissa in cui don Chisciotte, caduto malamente da cavallo, viene bastonato da uno stalliere.

Un contadino del suo paese, di ritorno dal mulino con il carro, lo trova e lo riporta a casa dove la nipote e la governante erano in pensiero per la sua assenza. Il curato del paese e il barbiere, fattagli una visita, si rendono conto del suo stato e decidono di dare fuoco ai suoi “pericolosi” e “menzogneri” romanzi di cavalleria, salvando però, con profondo senso critico, quelli che considerano più belli. Ma don Chisciotte non sembra rinsavire e, dopo quindici giorni, convince un contadino del paese, di buon carattere ma non troppo perspicace, ad andare con lui in veste di scudiero, promettendogli di nominarlo governatore se mai avessero conquistato un’isola. Il contadino, di nome Sancio Panza, accetta e, salito sul suo asinello “come un patriarca”, parte con don Chisciotte, che si rimette in sella al suo ronzino, per le vie del mondo.

I due sono da poco in cammino quando si vedono all’orizzonte trenta o quaranta mulini a vento, che subito don Chisciotte scambia per giganti con i quali vuole subito ingaggiare una battaglia. Malgrado gli ammonimenti di Sancio, egli si lancia   a galoppo contro il primo mulino a vento, cadendo a terra e rimanendo piuttosto malconcio.

Don Chisciotte e Sancio Panza riprendono la strada e incontrano una comitiva di frati dell’ordine di San Benedetto, un cocchio con dentro una dama diretta a Siviglia, con quattro cavalieri di scorta e due mulattieri. Don Chisciotte mette in fuga i frati scambiandoli per degli incantatori e litiga con il biscaglino della dama credendo che ella sia una principessa rapita da liberare.  In un successivo scontro con dei mulattieri sia don Chisciotte che Sancio vengono duramente bastonati.

Entrambi si rifugiano, assai malmessi, in una osteria di campagna, che don Chisciotte nuovamente scambia per un castello, dove, a causa della serva Maritornes, di un mulattiere geloso di lei e di una serie di equivoci notturni, i due vengono ancora una volta bastonati.

In seguito, i due incontrano un gregge di pecore e di montoni, che a don Chisciotte pare un vasto esercito nemico: vedendolo menare colpi agli animali con la lancia in resta, i pastori gli gridano di fermarsi. Lui procede nel suo folle intento, e quelli cominciano “a salutargli l’udito con pietre grosse come il pugno”.  Rischiando di essere lapidato, don Chisciotte se la cava perdendo due denti: da questo momento egli verrà nominato come “il Cavaliere dalla Trista Figura”

In seguito, capita a don Chisciotte e a Sancio di assistere a un funerale notturno. Il cavaliere, credendo che si tratti del trafugamento  di un cavaliere morto, decide di far giustizia assalendo uno dei vestiti a lutto. Gli astanti disarmati si spaventano e scappano. Questa volta Sancio mostra di lodare il valore del suo padrone.

Le avventure di don Chisciotte proseguono con l’assalto a un barbiere che si reca a prestare i suoi servizi e al quale don Chisciotte toglie la bacinella di rame  che scambia per l’elmo di Mambrino. Poi s’impegna a liberare alcuni galeotti attaccando le guardie che li scortano.

Infine, assalito dalle nostalgie d’amore, don Chisciotte decide di ritirarsi a vita di penitenza tra i boschi della Sierra Morena in omaggio alla sua Dulcinea (ad imitazione di Amadigi, uno dei suoi eroi preferiti, quando fu disdegnato da Oriana). Dopo essersi scontrato con il povero Cardenio, folle per l’amore di Lucinda, a causa di un futile contrasto cavalleresco, Sancio gli chiede di tornarsene a casa, cosa che don Chisciotte gli concede, affidandogli anche una lettera d’amore per la sua signora Dulcinea del Toboso, lettera che viene subito smarrita dall’incauto messaggero. Sancio incontra il barbiere e il curato all’osteria di Maritornes ed insieme decidono di riportare il cavaliere impazzito a casa. Lungo il cammino per la sierra Morena essi incontrano la bella Dorotea e, facendola passare agli occhi di don Chisciotte per la principessa Micomicona bisognosa d’aiuto, lo convincono a lasciare la sierra e a tornare a casa. Dopo altre avventure che si concludono a suon di bastonate, il barbiere e Sancio devono legare don Chisciotte per condurlo all’osteria, che diventa il castello incantato del racconto. Qui vengono narrate diverse novelle, che compongono gli ultimi capitoli della prima parte, e qui si verificano una serie di felici sviluppi: Dorotea ritrova il suo Fernando, Cardenio Lucinda, la pastora Marcella Crisostomo, il parroco legge la novella del Curioso fuori luogo (El curioso impertinente) ambientata a Firenze, un capraio narra la storia di Vicente e Leandra, e, infine, uno spagnolo catturato nella battaglia di Lepanto racconta la vicenda del “Prigioniero” (El cautivo). Solo don Chisciotte continua ad essere causa di tumulti, anche se tutti lo giustificano credendolo pazzo. Il curato e il barbiere lo convincono di essere vittima di un sortilegio e riescono a condurlo a casa a bordo di un carro di buoi. La prima parte del romanzo termina con quattro sonetti in memoria del valoroso don Chisciotte, di Dulcinea, di Ronzinante e di Sancio, seguiti da due epitaffi conclusivi, a dimostrazione che Cervantes non pensava allora di pubblicare la seconda parte del Don Chisciotte.

LA SECONDA PARTE  inizia con un nuovo PROLOGO  al lettore, nel quale Cervantes allude al “secondo Don Chisciotte”  apocrifo, scritto da Alonso Fernàndez de Avellaneda e pubblicato nel 1614, insieme alle discussioni provocate dalla sua diffusione, e promette di esaurire, con questa seconda parte, tutte le avventure dell’hidalgo fino alla morte e alla sepoltura.

Curato dalla vecchia governante e dalla nipote, don Chisciotte mostra di essere riuscito ad equilibrare pazzia e saggezza, tanto che il curato e il barbiere non possono fare a meno di ammettere, spesso, la nobiltà del suo punto di vista. Ma presto egli apprende da Sancio e dal baccelliere Sanson Carrasco, suo compaesano, che il libro delle sue gesta è già stato letto da tutti, e che tutti ne ridono, visto poi che circola un altro libro sulle sue avventure carico di menzogne (quello di Avellaneda, appunto). Il baccelliere è appena tornato da Barcellona ed è un entusiasta lettore delle avventure di don Chisciotte, mentre Sancio, dal canto suo, ha preso gusto della vita errante, e con la prospettiva di diventare governatore dell’isola promessagli dal suo signore, consente ad accompagnarlo in un nuovo viaggio.

La coppia percorre la via per il Toboso perché don Chisciotte desidera, prima di partire per altre avventure, avere la benedizione della sua Dulcinea. Ma è molto difficile scovare questa luminosa bellezza, simbolo di tutte le perfezioni, perché il paese è tutto vicoli e casette e non si scorge nemmeno un castello o una torre. Don Chisciotte è convinto che la sua dama sia rimasta vittima di un incantesimo diabolico da esorcizzare al più presto.

Sancio, che ha ormai capito quali sono i capovolgimenti operati dalla fantasia nel cervello di don Chisciotte, consiglia al padrone di ritirarsi nel bosco per evitare guai con gli abitanti, e s’impegna a trovare da solo la bellissima  recandosi in paese. Al ritorno dice al padrone che tra non molto vedrà avanzare la principessa vestita in gran pompa seguita da due damigelle. Si tratta di tre contadine davanti alle quali Sancio s’inginocchia chiamandole rispettivamente Regina, Principessa e Duchessa.

Don Chisciotte, con gli occhi stralunati, si mette accanto a Sancio e rimane senza parlare mentre nel suo animo si era già dato una spiegazione per quello che credeva un incantesimo. Quando le tre contadine se ne vanno egli esprime il suo pensiero a Sancio: “Vedi quanto male mi vogliono gli incantatori, poiché hanno voluto privarmi della gioia che avrebbe potuto darmi il vedere nella sua vera forma la mia signora”.

Il povero don Chisciotte si trova in questo stato d’animo quando si imbatte in una compagnia di comici con i quali non riesce a mettersi d’accordo e viene messo in fuga da un fitto lancio di sassi.

Più avanti, egli incontra il “Cavaliere degli Specchi”  che lo sfida a duello con la condizione che chi dovesse risultare perdente, accetterà di sottostare alle condizioni del vincitore. Con un colpo di fortuna, don Chisciotte vince il duello. Questo cavaliere non è altro che uno studente di Salamanca, un certo Sansone Carrasco amico di don Chisciotte, che ricorre a quel trucco nella speranza di vincere il duello per ricondurlo al villaggio, ma non riesce nel suo intento.

Don Chisciotte e Sancio proseguono il cammino e incontrano un carro dentro al quale vi sono due leoni in gabbia. Don Chisciotte vuole misurarsi con uno dei leoni e apre la gabbia creando grande spavento tra i guardiani. Ma i leoni annoiati non escono dalle gabbie e gli voltano le spalle. A don Chisciotte rimarrà il nome di “Cavaliere dei Leoni”, secondo l’usanza dei cavalieri erranti che potevano cambiare il nome quando volevano.

Testimone di questa ultima impresa è don Diego de Miranda, “Cavaliere dal Verde Gabbano”, che ammira don Chisciotte per la sua assennatezza, almeno fino a quando non lo vede scagliarsi contro i leoni. Mentre i due sono ospiti di don Diego, si celebra il matrimonio della bella Chilteria e del ricco Camaccio. Dopo le nozze, don Chisciotte si fa calare, legato ad una fune, nella grotta di Montesino che si trova nel mezzo della Mancia e quando ne esce racconta di aver incontrato gli antichi paladini e la sua adorata Dulcinea. Naturalmente, si tratta solo di un sogno.

Sulla strada per Saragozza, don Chisciotte e Sancio proseguono le loro avventure: fuggono davanti a un contadino arrabbiato per i ragli di Sancio, mentre don Chisciotte si lancia contro dei burattini durante una rappresentazione.  Un giorno incontrano un duca e una duchessa che, avendo letto la prima parte delle avventure del Fantastico Nobiluomo don Chisciotte della Mancia, desiderano conoscere il cavaliere e ospitarlo, con Sancio, nel loro castello. I due accettano, e il duca e la duchessa si divertono a prenderli in giro, insieme alle loro damigelle e ai loro servi. Tra le elaboratissime beffe organizzate alle spalle dei due malcapitati, vi è quella d’inscenare in un bosco una mascherata con maghi, demoni, donzelle e altri personaggi. In seguito, viene imbastito il dramma della contessa Trifaldi e delle sue dodici pulzelle che hanno il volto barbuto, per un incantesimo, del mago Malabruno.

Don Chisciotte deve affrontare il mago nel suo paese cavalcando Clavilegno, un cavallo alato che in realtà è fatto di legno ed è carico di mortaretti, cosicché quando don Chisciotte e Sancio lo cavalcano bendati, il duca dà fuoco alle polveri e i due, dopo aver fatto un gran salto per aria, cadono rovinosamente sull’erba.

Ma la beffa più grande è la nomina di Sancio a governatore di Barattaria, il paese che gli fanno credere possa essere  l’isola dei suoi sogni. Sancio viene alloggiato in un lussuoso palazzo, ma poi gli fanno soffrire la fame col pretesto di salvaguardare la sua salute, mentre don Chisciotte assiste il suo governo con lettere piene di saggi e pacati consigli. Il mandato governativo di Sancio termina con una solenne bastonatura, inflittagli dai cortigiani che si fanno passare per nemici invasori.

Nel frattempo, don Chisciotte al castello dei duchi s’intrattiene con le dame che si fingono tutte innamorate di lui, a cominciare da dalla spigliata Altisidora, che si mostra la più abile nel sostenere la burla.

Con le pive nel sacco, don Chisciotte e Sancio  lasciano il castello alla volta di Barcellona e, lungo la strada, incontrano i banditi della banda di Rocco Guinart. Ma Rocco si mostra molto più magnanimo dei duchi, lasciando presto liberi i due, e anzi raccomandandoli ai suoi amici di Barcellona. Giunti nella città, don Chisciotte viene sfidato dal “Cavaliere della Bianca Luna”, che altri non è se non l’irriducibile baccelliere Sansone Carrasco. Questi, col pretesto di una contesa sul primato di bellezza delle rispettive dame, costringe don Chisciotte ad ammettere che la sua donna è più bella di Dulcinea, obbligandolo pure a giurare di tornarsene a casa.

Don Chisciotte invoca la morte, riaffermando la priorità assoluta della bellezza di Dulcinea, ma si sottomette al patto della contesa. Così sconfitto, torna al paese dove viene colto da una improvvisa febbre che lo tiene a letto per sei giorni. Malgrado la visita degli amici il cavaliere si sente molto triste e al termine di un sonno di sei ore, si sveglia gridando che stava per morire e ringraziando Dio per aver riacquistato il senno. Decide di abbandonare il nome di don Chisciotte per riprendere quello di Alonso Quijano, detto il Buono per i suoi retti costumi. Rinnega le sue antiche imprese, e poi saluta gli inseparabili amici Sancio, Carrasco, il curato e il barbiere. In seguito, chiede di confessarsi e di fare testamento. Dopo qualche giorno, tra i pianti degli amici e soprattutto di Sancio, don Chisciotte muore.

Per la sua sepoltura vengono composti molti epitaffi tra i quali quello di Sansone Carrasco: Giace qui l’hidalgo forte/che i più forti superò,/e che pure nella morte/la sua vita trionfò./Fu del mondo, ad ogni tratto,/lo spavento e la paura;/fu per lui la gran ventura/morir savio e viver matto.

 

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