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Edipo re di Pier Paolo Pasolini – Sceneggiatura Garzanti

Edipo re di Pier Paolo Pasolini – Sceneggiatura Garzanti

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Autore:  Giacomo Gambetti (a cura di)

Tipologia:  Sceneggiatura cinematografica e note sul film

Film di riferimento:  Edipo re (Italia, 1967) di Pier Paolo Pasolini. Sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini. Fotografia di Giuseppe Ruzzolini. Scenografia di Luigi Scaccianoce. Costumi di Danilo Donati. Con Franco Citti, Silvana Mangano, Alida Valli, Carmelo Bene, Julian Beck, Luciano Bartoli, Francesco Leonetti, Ninetto Davoli

Editore:  Garzanti, Collana "Film e Discussioni"

Origine:  Milano

Anno:  1967 (28 agosto)

Caratteristiche:  Legatura in cartone telato di color bianco (muta), sovraccoperta con illustrazione fotografica in bianco e nero, titoli in bianco e in grigio su fondo nero. All'interno: 50 fotografie di scena in bianco e nero del film fuori testo

Edizione:  Prima

Pagine:  152

Dimensioni:  cm. 22 x 14,5

Note: 

Prima edizione della sceneggiatura di Edipo re (1967) di Pier Paolo Pasolini edita da Garzanti nella collana «Film e Discussioni» a cura di Giacomo Gambetti. Insieme alla sceneggiatura, il volume comprende scritti di Pasolini e di Gambetti sul film e sulla sua lavorazione. Finito di stampare il 28 agosto 1967. Con all’interno 50 fotografie di scena in bianco e nero del film.

 

INDICE

Perchè quella di Edipo è una storia di Pier Paolo Pasolini

Gli interpreti di Giacomo Gambetti : Franco Citti, attore da sempre  / I professionisti

Alfredo Bini: il diciottesimo di Giacomo Gambetti 

La sceneggiatura

I titoli di testa

Sinossi: 

Una pietra miliare indica la città di Tebe, ma il prologo del film ha luogo in un paesino dell’Italia settentrionale negli anni Venti.  Vediamo una levatrice portare alla luce un bambino. Una donna gioca con delle amiche su un prato, poi prende con tenerezza il suo bambino in braccio e lo allatta. Sulle note del Dissonanzen Quartet di Mozart, il volto sorridente della madre è attraversato da un momento di panico, e poi si scioglie in un sorriso. Sotto un balcone da cui pende la bandiera italiana con lo stemma sabaudo, un giovane ufficiale guarda con severità il bambino: è suo padre ed è geloso del figlio perché teme che possa portargli via l’affetto della moglie. Viene la notte. Dopo essersi assicurati che il bambino dorme, la coppia di genitori si reca a una festa da ballo in un palazzo attiguo al loro. Ma poco dopo il bambino si sveglia turbato, esce dal balcone e vede, attraverso le tende della finestra, madre e padre che ballano abbracciati. Mentre esplodono i fuochi d’artificio, il bambino è conquistato dal panico e piange.

La scena si sposta all’antica Grecia, sul monte Citerone. Un vecchio pastore incontra in un territorio desertico un servo di Laio, re di Delfi, che trasporta un bambino molto piccolo appeso per le caviglie a un bastone. Il compito dell’uomo è quello di uccidere il bambino, per evitare che si avveri la profezia dell’oracolo di Delfi, secondo la quale il figlio di Laio, una volta cresciuto, sia destinato a uccidere il proprio padre e a giacere con la propria madre. Ma il servitore non ha il coraggio di uccidere il bimbo e lo abbandona nel deserto. Allora il pastore lo raccoglie e lo porta in omaggio al re di Corinto, Polibo. Questi mostra trionfalmente il bambino alla consorte Merope. La coppia regale è sterile e decide di adottare colui il quale considera un dono degli dei, chiamandolo Edipo, che letteralmente significa “colui che ha i piedi gonfi”.

Edipo è cresciuto e ha sviluppato un temperamento ambizioso e irascibile. Le sue notti sono tormentate da inquietanti sogni premonitori.  Quando sente un compagno di giochi accusarlo di essere “figlio della fortuna”, egli si arma di una spada e decide di recarsi a Delfi, dall’oracolo del tempio di Apollo, per interrogarlo sull’origine dei propri sogni. L’oracolo, con una raccapricciante voce femminile, lo respinge fermamente rivelandogli il suo destino incestuoso e parricida. Sconvolto, Edipo decide di non tornare più a Corinto per evitare che la profezia si avveri. Si mette una mano sugli occhi, gira più volte su stesso e prende la direzione dettata dal caso che è quella di Tebe. Lungo la strada, Edipo  si imbatte in un carro che trasporta Laio e la sua scorta. Il re lo tratta da mendicante e incita i suoi armati a cacciarlo. Edipo fugge, i soldati lo inseguono ma egli riesce a ucciderli affrontandoli uno per uno, quindi torna al carro e, in preda al furore, massacra anche Laio.

Stremato dalla carneficina, Edipo giunge a Tebe mentre è in corso l’esodo della popolazione in fuga dalla Sfinge, una creatura oscura che, come spiega un riccioluto messaggero al giovane straniero, ha provocato tali sciagure in città al punto da spingere la regina vedova, Giocasta, a promettere di sposare chiunque riesca a respingere la bestia nell’abisso che l’ha generata.In preda alla furia, Edipo si avventa sulla Sfinge e la sconfigge, ignorando le parole premonitrici che lo avvertono di come egli sia destinato a diventare il principale nemico di se stesso.

Dopo i funerali di Laio, Tebe si appresta a rendere omaggio al suo nuovo re. Alla fine dei cortei di ringraziamento, Edipo e Giocasta giacciono insieme nel talamo nuziale. La profezia si compie. Ma sulla città si abbatte una pestilenza inarrestabile che falcia gli abitanti. Il gran sacerdote (interpretato da Pasolini) parla con Edipo a nome del popolo, chiedendogli ragione di quanto sta accadendo. Edipo gli risponde di attendere il ritorno del cognato Creonte che egli ha inviato dall’oracolo di Delfi per un responso. Al suo rientro in città, Creonte conduce la notizia che gli dei sono irati perché a Tebe è presente l’uomo impuro che ha ucciso il precedente re.

Edipo decide di liberare la città e vendicare l’uccisione di Laio come se fosse il proprio padre. Ma nonostante i suoi severi provvedimenti la situazione non muta: i morti vengono ormai bruciati a decine nei roghi comuni. Allora Edipo convoca il veggente cieco Tiresia, suonatore di flauto. Questi si mostra timoroso e reticente, e solo dopo ripetute minacce, e un’aggressione fisica da parte di Edipo, si decide a parlare. Le parole di Tiresia sono implacabili: per lui, Edipo vagherà cieco per il mondo dopo avere scoperto di essere padre e fratello dei suoi figli, figlio e marito di sua moglie, figlio e assassino del padre.

Edipo stenta a credere all’ennesima profezia e preferisce convincersi che Tiresia stia ordendo un complotto ai suoi danni con la complicità di Creonte, che ambisce a sostituirlo nel regno. Ma è Giocasta a fornirgli un altro elemento di dubbio quando gli rivela involontariamente che il re Laio fu ucciso insieme alla scorta da uno sconosciuto sulla strada di Delfi.

Proseguendo la sua indagine, Edipo scopre di essere lui il responsabile della catastrofe di Tebe: è stato lui che, uscito dal responso dell’oracolo di Apollo e avendo appreso che avrebbe ucciso il padre e giaciuto con la madre, ha deciso di non tornare a Corinto dai genitori e, sulla via di Tebe, ha trucidato Laio e la scorta. A confermare “quello che non si può dire” è il vecchio servitore, ancora in vita: Edipo è il figlioletto di Giocasta e di Laio che egli aveva abbandonato sul monte Citerone molti anni addietro. Edipo ritorna al palazzo, ormai cosciente dell’avverata profezia. Lì trova Giocasta che si è uccisa, impiccandosi nella stanza da letto. Allora, con un gesto fulmineo e ferino, Edipo si acceca percuotendosi gli occhi con la spilla delle vesti della madre diventata sua moglie. Poi esce dal palazzo e comincia a brancolare nel buio definitivo.  Da allora in poi, Edipo abbandona Tebe e vaga, in compagnia del messaggero, di città in città suonando un flauto, come l’indovino Tiresia aveva predetto.

Edipo e il suo messaggero si trovano ora, vestiti con abiti moderni, sotto i portici della Bologna degli anni Settanta. Edipo suona il flauto sulle scalinate delle chiese, ma è inquieto e disperato, come se non riuscisse a contenere una irrequietezza che lo spinge a un continuo nomadismo. Camminando sempre più in periferia, attraverso panorami desolati di fabbriche e discariche urbane, Edipo giunge finalmente al prato in cui il bimbo nato negli anni Venti aveva aperto gli occhi per la prima volta. Una soggettiva sulle cime degli alberi ci annuncia l’epilogo della vicenda: Edipo è giunto nel posto dove la sua vita è cominciata e dove è destinata a concludersi.

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