lunedì, 16 Settembre 2024

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Dostoevskij. Una sceneggiatura, Mondadori, Oscar/Teatro e cinema, ottobre 1987

Dostoevskij. Una sceneggiatura, Mondadori, Oscar/Teatro e cinema, ottobre 1987

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Autore:  Raymond Carver e Tess Gallangher

Tipologia:  Sceneggiatura

Film di riferimento:  Dostoevskij - Film mai realizzato

Editore:  Mondadori, Oscar-Teatro e cinema

Origine:  Milano

Anno:  1987 ottobre

Caratteristiche:  Brossura

Edizione:  Prima edizione italiana

Pagine:  110

Dimensioni:  cm. 18,5 x 11

Note: 

Nel 1982 il regista Michael Cimino telefonò a Raymond Carver, il grande scrittore americano “padre” dei minimalisti. Gli chiese di rivedere una sceneggiatura che aveva comprato sulla vita di Dostoevskij. Cimino voleva fare un film su un grande scrittore, voleva mantenere da cima a fondo visibile il Dostoevskij romanziere. Pensava che le circostanze drammatiche, spesso melodrammatiche, della vita di Dostoevskij, messe in rapporto con la composizione ossessiva dei romanzi, avrebbero offerto una meravigliosa occasione cinematografica. Carver era affascinato dall’idea ma trovò il testo pesante, faticoso, senza intreccio e noioso. Coinvolse Tess Gallagher nel progetto e dopo non molto strapparono l’originale e si misero a lavorare notte e giorno a un nuovo testo interamente di loro pugno. Quello che alla fine ne risultò non era una riscrittura ma un magnifico originale, la prima sceneggiatura scritta da due dei più famosi autori americani. 

Sinossi: 

Prefazione di RAYMOND CARVER

« Agli inizi del settembre 1982 il regista Michael Cimino venne a trovarmi e mi chiese se sarei stato disposto a rielaborare una sceneggiatura sulla vita di Dostoevskij.

Dopo che avemmo parlato e che io ebbi espresso il mio interesse, decidemmo di rivederci una volta definito il lato commerciale della faccenda. Il suo agente si mise in contatto col mio, fu raggiunto un accordo, e Cimino e io combinammo di pranzare insieme a New York.

A quell’epoca io insegnavo all’Università di Syracuse e il semestre era in corso. Stavo anche lavorando all’ultimo racconto di Cathedral, e correggendo e sistemando gli scritti che sarebbero entrati in Fires.

Non sapevo dove avrei trovato il tempo per lavorare a una sceneggiatura, ma avevo deciso che era una cosa che volevo fare. Chiamai Tess Gallangher, che stava trascorrendo quell’autunno a Port Angeles, nello stato di Washinghton.

Tess aveva avuto un congedo dai suoi compiti di insegnamento a Syracuse per poter aiutare ad assistere il padre, il quale stava morendo di cancro al polmone. Le chiesi se sarebbe stata disposta a lavorare con me. Questo progetto andava eseguito in gran fretta, e sapevo che non avrei avuto il tempo di compiere le ricerche necessarie né di rileggere i romanzi. Tess accettò di aiutarmi. Avrebbe fatto lei le ricerche e scritto scene nuove dove necessario e avrebbe corretto il mio lavoro.

In linea generale, avrebbe riscritto insieme con me, ovvero come poi fu il caso, avremmo scritto insieme una sceneggiatura del tutto nuova. Con Cimino ci incontrammo a cena da “Paul and Jimmy”, ristorante italiano vicino al Gremercy Park.

Dopo avere cenato, passammo a parlare di affari: Dostoevskij. Cimino disse che voleva far un film su di un grande scrittore. Secondo lui, questo non era mai stato fatto.

Citò Il dottor Ζivago come esempio di quello che non voleva fare. Mentre parlavamo di quel film,  mi ricordai che solo una volta Zivago, medico-scrittore, viene visto nell’atto di scrivere qualcosa.

È inverno, siamo nel culmine della guerra civile bolscevica, e Zivago e Lara, la sua amante, sono nascosti in una dacia isolata. (Nel caso che qualcuno se lo sia scordato, queste parti del film erano interpretate da Omar Sharif e Julie Christie.) C’è una scena con Zivago a una scrivania, coi guanti di lana per via del freddo, mentre tenta di comporre una poesia. La macchina da presa avanza fino a un gran primo piano della poesia.

Certo, la creazione di poesia e narrativa non è di per sé roba da sfondare lo schermo. Cimino voleva mantenere da cima a fondo visibile il Dostoevskij romanziere. La sua idea era che le circostanze drammatiche, spesso melodrammatiche, della vita  di Dostoevskij, messe in rapporto con la composizione ossessiva dei romanzi, avrebbero offerto una meravigliosa occasione cinematografica.

Carlo Ponti, che voleva produrre la pellicola su Dostoevskij, aveva già fatto un film in Russia nei primi anni Settanta, intitolato I girasoli con Sophia Loren e Marcello Mastroianni.

Ponti era in buoni rapporti coi cineasti sovietici ed era amico di alcuni dirigenti politici. Di conseguenza, Cimino sperava di riuscire a girare degli esterni in Russia, compresa la Siberia e altre località solitamente precluse agli occidentali.

Pensava al copione quando chiesi se i russi avrebbero voluto esercitare un qualsivoglia tipo di censura. Cimino disse di no, che intendevano mostrarsi pronti a collaborare in questa faccenda. In primo luogo, era il centenario della morte di Dostoevskij. (Per la verità, il centenario era stato nel 1981.)  Speravano  in un grosso film per celebrare l’uomo e la sua opera.

Non ci sarebbe stata censura. Il film non sarebbe nemmeno stato trattato nei laboratori cinematografici russi: invece i “giornalieri” sarebbero stati quotidianamente inviati in Francia.

A questo punto Cimino tirò fuori il copione, uno spesso manoscritto con la copertina flessibile nera, e lo posò sul tavolo. Io lo presi e sfogliai qualche pagina, leggendo poche righe per farmene un’idea. Anche pescando così, capii subito che non era un’idea felice.

“C’è una struttura narrativa qui?” chiesi. “Possiede una struttura drammatica?” Cimino scosse la testa. “È uno dei miei problemi. Ma penso che ci sia uno sviluppo spirituale.” Disse questo senza batter ciglio. La cosa mi colpì. Avrei potuto trarne qualcosa, ma quello che avevo sfogliato quasi non sembrava inglese, e non solo perché c’erano tanti nomi russi. Domandai chi fosse l’autore del testo, dato che non c’era nome, e mi fu detto che la versione originale l’aveva fatta un russo, e poi era stata tradotta in inglese (se ci credete) da due sceneggiatori italiani che avevano tentato di metterci un po’ di pepe durante l’operazione.

Cimino ammise che  nello stato attuale era piuttosto deprimente. “Forse quando l’avrà letta vorrà solo alzare le braccia al cielo e dimenticarla” disse. La sceneggiatura aveva un aspetto strano: passi di narrativa di scoraggiante lunghezza disseminati occasionalmente di dialoghi. Io non avevo mai visto una sceneggiatura cinematografica, ma questa non assomigliava neanche vagamente al mio concetto di un simile lavoro.

Ma sapendo, come sapeva, che non ne avevo mai vista nessuna, rimessa a posto o no (lo avevo avvertito in precedenza), Cimino me ne aveva portata una, così che potessi avere una chiara idea della forma corretta.

(Quando guardai il copione-tipo che si era portato dietro, dovetti chiedere che cosa significavano le lettere INT. e EXT. “Interno” e “Esterno, spiegò lui. V.O. e O.S. “Voice Over” e “Off Screen”.)

Il giorno dopo tornai a Syracuse e mi misi al lavoro. Sviluppo spirituale o no, il lavoro si rivelò ponderoso, noioso, contraddittorio rispetto a tutto quello che sapevo della vita di Dostoevskij. Ero perplesso e non sapevo da dove cominciare. Mi venne in mente che forse sarebbe stato meglio se avessi semplicemente “alzato le braccia”. Ma presi la decisione di dimenticar l’originale e cominciare una sceneggiatura di sana pianta.Lavorando notte e giorno, allontanandomene soltanto il tempo delle mie lezioni, buttai giù un lungo abbozzo selvaggio che immediatamente mandai a Tess.

Frattanto, per preparasi, lei aveva letto tutte le biografie che era riuscita a procurarsi, oltre a Delitto e castigo, al Giocatore, alle Memorie di una casa di morti e al Diario di Polina Suslova. Si mise al lavoro, aggiungendo molte scene nuove e gonfiando dappertutto. Poi copiò il risultato e me lo rispedì. Io mi rimisi a lavorarci sopra.

Fu ribattuto ancora una volta, e di nuovo tornò a Tess, che ci lavorò ancora. Ricordo le sue telefonate alle ore più strane per parlare di Dostoevskij. Ogni tanto mi leggeva una scena che aveva appena sfilato dalla macchina da scrivere. Il copione mi tornò e ancora una volta ci lavorai sopra. Fu ribattuto più volte.

A questo punto eravamo verso la fine di novembre e il copione era lungo 220 pagine: proibitivo, è la sola parola che lo definisca. (Una sceneggiatura media è lunga fra le 90 e le 110 pagine; una stima approssimativa per calcolare la lunghezza di un film è una pagina al minuto. E Cimino non è uno che accelera il processo. La sua sceneggiatura per I cancelli del cielo era lunga 140 pagine; il film che ne risultò durava quasi quattro ore.)

Nonostante tutto quello che era successo nel frattempo nelle loro rispettive vite, durante questo periodo Tess e io avevamo lavorato alla sceneggiatura come pazzi. “Vorrei che fosse capitato in qualunque momento tranne questo” mi disse durante una delle nostre molte conversazioni telefoniche.

Ma anche lei era eccitata della cosa. “Pensa” disse una volta “Dostoevskij! Lo stiamo facendo rivivere!” Suo padre stava perdendo la battaglia col cancro, e io mi rendevo conto dello sfondo di frustrazione quotidiana contro il quale lavorava. “Dostoevskij mi dà coraggio in tutto questo” mi disse “E mi fa piangere, anche.”

Alla fine di novembre mandai la nuova sceneggiatura completa a Cimino. Il copione non era stato semplicemente riscritto, come mi era stato chiesto; adesso era una sceneggiatura nuova, e una storia nuova. Ma a qualcuno oltre Tess e me sarebbe parsa buona come pensavamo noi?

Ad ogni modo, Cimino chiamò subito per dire quanto fosse contento e sorpreso di quello che era successo. Nonostante la sua lunghezza — non aveva mai visto una sceneggiatura lunga come il nostro Dostoevskij  — era immensamente lieto del risultato. Non so quando e nemmeno se la sceneggiatura sarà mai trasformata in un film.

Cimino mi dice che Carlo Ponti si è trasferito da Los Angeles, presumibilmente tornando in Europa, che è scomparso e che non sta facendo alcuno sforzo per produrre il film. Cimino ha messo da parte la sceneggiatura di 250 pagine ed è passato ad altri progetti.

Quando sono stato invitato a contribuire alla Back-to-Back Series (la collana nella quale il libro è stato pubblicato negli Stati Uniti) ho pensato che sarebbe stato interessante se avessimo potuto estrarre  dalla sceneggiatura del materiale e presentarlo in maniera coerente.

Lo abbiamo tratto dalle prime pagine del copione, quando Pietroburgo è lacerata dalla rivoluzione e Dostoevskij visita un giovane scrittore nel reparto malattie mentali di un ospedale. Poi passiamo al momento subito dopo l’arresto di Dostoevskij e il suo imprigionamento dietro l’accusa di tradimento.Con parecchi altri cospiratori, Dostoevskij fu condannato a morte. (È abbastanza interessante notare che fra i giudici c’era il nonno di Vladimir Nabokov.)

Poi saltiamo fino a riprendere la storia subito dopo che la condanna di Dostoevskij è stata commutata e lui si trova in carcere, nell’attesa della deportazione in Siberia.

Dopo le scene in Siberia, facciamo un salto avanti e riprendiamo la narrazione dieci anni più tardi, dopo il ritorno di Dostoevskij a Pietroburgo e la sua storia con Polina Suslova, la donna che in seguito Dostoevskij tenne come modello per la protagonista del Giocatore.

L’ultima sezione tratta di Dostoevskij e di Anna Grigòr’evna, la donna che divenne la sua seconda moglie. (La prima morì di tubercolosi due anni dopo il suo ritorno dalla Siberia a Pietroburgo.) Anna si mise a lavorare per Dostoevskij come stenografa, se ne innamorò e lo sposò.

Grazie a lei gli ultimi anni di Dostoevskij, il periodo dei Demoni e dei Fratelli Karamazov, furono anni di pace e tranquillità. »                                                                                                                                                                                           

Raymond Carver