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La politica e gli Italiani, com’è attuale Brancati

La politica e gli Italiani, com’è attuale Brancati

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Tipologia:  Articolo

Testata:  La Repubblica, ed. Palermo

Data/e:  1 giugno 2014

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

La gente non si muove solo perché ha un cervello con il quale ragiona; né solo per questo va e vota, nelle democrazie; ma anche perché ha sentimenti con i quali reagisce. Inclinazioni e avversioni risultano semplici come bianco e nero quando le osserviamo sulla faccia della realtà politica; però le vie sulle quali si formano sono oscure di «sottosuoli» oltre che lunghe, complicate e infinite ”.

L’ammonimento che fa da incipit ai celebri “Appunti sull’uomo d’ordine in Italia” di Vitaliano Brancati, quando essi apparvero nel 1947 sulle colonne de “Il Politecnico” (galvanizzante rivista engagé di Elio Vittorini), sembra accordarsi organicamente con il nostro incertissimo presente.

A suo tempo, quella premessa in corsivo (forse scritta da Vittorini e diventata rara perché mai ripubblicata) fu utile a dare valore all’acuta analisi di Brancati circa l’“inclinazione” italiana, quella di “un popolo rumoroso, litigioso, ribelle, individualista” che “teme profondamente e come per istinto il Pensiero, la Critica, la Riforma”.

Il “male nostrum” è il rifugio nell’illusione che “assicura all’ingiusto il sonno del giusto”, è la convinzione che “la politica debba stare il più possibile lontano dalla moralità”, è l’ adeguamento a ogni cambiamento di sistema purché questo “non accada in seguito a un individuale travaglio di coscienza o a una condanna morale”.

Oggi come ieri, tale “inclinazione” sa anche produrre forme ipocrite di “avversione”: da qui la ciclica, acritica adesione al dettato di qualunque lider maximo che prometta soluzioni semplificatorie per problemi complessi, tabula rasa e privilegi per tutti.

Del resto, Brancati ci avverte: l’ambigua mentalità che connota l’“uomo d’ordine” in Italia “non si trova unicamente nella classe borghese” e anzi, in prospettiva storica, la si rileva “nell’aristocrazia feudale e in un certo popolo che assai volentieri le ubbidiva”.

L’”uomo d’ordine” si fa dunque mediocre maggioranza operante nel “sottosuolo” del Bel Paese, assecondando il suo degrado civile: “La disonestà diventa sempre più grave, la corruzione sempre più nera”.

In quel lontano articolo del ‘47, lo scrittore di Pachino fiutò il pericolo dell’endemica paura di massa (guidata dai tanti “uomini d’ordine”) che, in Italia, cerca da sempre la sua formula politica ideale.

“Non è tanto la paura della morte, né tantomeno la paura dei fastidi e disagi, nei quali tutti sono abituati a vivere, ma soltanto la paura di dover sottoporre a una penosa critica personale i propri costumi e atti, e di svegliare un mostro che le campane di migliaia di campanili hanno l’ufficio di addormentare col loro canto serotino: la coscienza”.

 

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