sabato, 26 Ottobre 2024

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2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey) di Stanley Kubrick – Blu-ray  ( Trama, commento e le immagini del film scena per scena )

2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey) di Stanley Kubrick – Blu-ray ( Trama, commento e le immagini del film scena per scena )

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Regia:  Stanley Kubrick

Genere:  Fantascienza

Origine:  Gran Bretagna/Stati Uniti

Anno:  1968

Da vedere:  * * * * *

Sceneggiatura:  Stanley Kubrick, Arthur C.Clarke dal racconto "The Sentinel" di Arthur C.Clarke

Cast:  Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter, Douglas Rain (voce), Leonard Rossiter, Margaret Tyzack, Frank Miller, Penny Brahms, Edwina Carol

Formato:  Blu-ray Disc. Video: 1080p High Definition 16x9 2.2:1 / Audio: PCM: Inglese 5.1

Edizione:  Prima italiana in Blu-ray

Casa di produzione:  Warner Home Video, Turner Entertainment, 2007

Lingua:  Inglese, Italiano, Francese, Tedesco 5.1

Numero copie:  1

Durata:  148 minuti + contenuti extra

Sottotitoli:  Italiano, Inglese, Francese, Tedesco, Portoghese, Olandese, Finlandese, Danese, Norvegese, Svedese, Cinese, Giapponese, Koreano

Direttore della fotografia:  Geoffrey Unsworth, John Alcott

Musiche:  Richard Strauss, Johann Strauss, Aram Katchaturian, Gyorgy Ligeti

Colore/BN:  Colore

Note: 

Edizione italiana del Blu-ray del film di Kubrick prodotto nel 2007 Contenuti extra: Commento di Keir Dullea e Gary Lockwood / Documentario di Channel Four: 2001: la realizzazione di un film mitico / L’eredità di un grande regista / Vision of a future passed: un film profetico / Uno sguardo oltre il futuro / Cosa c’è lassù?2001: Effetti speciali e progetto grafico / Look Stanley Kubrick! / Traccia audio: intervista a Stanley Kubrick del 1966 condotta da Jeremy Bernstein.

♦A fronte di un costo di produzione di circa 12 milioni di dollari, 2001: A Space Odyssey ha incassato, alla sua uscita nel 1968, 15 milioni di dollari nei soli Stati Uniti (oltre 56 milioni dollari includendo le riedizioni negli anni successivi), e oltre 190 milioni di dollari nel resto del mondo.

  NELLA GALLERY TUTTO IL FILM SCENA PER SCENA

Sinossi: 

TITOLI DI TESTA

Mentre scorre la sequenza dei corpi celesti – con la congiunzione tra la luna, la terra e il sole che si alza – risuonano le note di un brano di Also Sprach Zarathustra (1896) di Richard Strauss, eseguito dai Wiener Philarmoniker diretti da Herbert von Karajan. Tre cartelli: METRO-GOLDWYN- MAYER PRESENTS / A STANLEY KUBRICK PRODUCTION / 2001: A SPACE ODYSSEY.

L’ALBA DELL’UOMO  (THE DAWN OF MAN)

Il primo segmento del film si svolge nell’Africa di 3 milioni di anni fa (come recita la didascalia della sceneggiatura originale di Kubrick e Clarke).

♦ 〈  La tesi che sposa il film è quella dell’antropologia moderna secondo la quale l’uomo avrebbe avuto origine in Africa. È in Africa che sono vissuti due diversi tipi di nostri antenati: gli australopiteci – letteralmente scimmie dell’emisfero meridionale – che si sarebbero estinti senza lasciare eredi, e i secondi appartenenti al genius homo. Da una recente datazione (130.000 / 35.000 anni fa per l’uomo europeo del tipo Neanderthal) si è giunti a far risalire l’origine dell’umanità a periodi molto più antichi. I resti della femmina Lucy, scoperta nel 1974, risalgono a più di tre milioni di anni fa e ci informano che questa antenata camminava in posizione eretta.  Teoricamente, le scimmie antropomorfe che appaiono nel film dovrebbero essere australopiteci, ma allora il loro aspetto non dovrebbe essere quello villoso e ferino che vediamo. È uno dei rari casi presenti nel film in cui le aspettative di Kubrick sono state disattese, perché nel progetto originario i protouomini avrebbero dovuto essere molto più simili a noi: esigenze di produzione e l’impossibilità di trovare interpreti adatti a sostenere il ruolo degli ominidi, lo costrinsero a fare diversamente. Per girare le scene di questo primo segmento, Kubrick non si è recato né in Almeria, come aveva pensato in un primo momento, né ha trasferito la troupe in Africa per le riprese degli scenari naturali. Ha incaricato il production designer Ernie Archer, il suo terzo assistente Andrew Birkin e il fotografo Keith Hamshere di eseguire un elevato numero di diapositive a colori del deserto del Namib per poi utilizzarle come fondali (con la tecnica della Sinar Front Projection) negli studi MGM di Borehamwood in Inghilterra dove  sono state girate le sequenze degli ominidi.  

 Un gruppo di ominidi, guidati da un leader a cui è stato dato il nome di Guarda-la-luna (Moon Watcher), sopravvive a fatica in un ambiente desertico e ostile.

♦ 〈  Nel mondo dell’alba dell’uomo “alienazione” vuol dire mancanza d’acqua e di risorse: la vita consiste nella contesa, dal vago sapore pre-epico, di uno stagno fangoso. Qui, mentre la macchina fa una panoramica sulle rocce nude e sui leopardi dagli occhi riflettenti, si nota come la vera protagonista non sia ancora l’umanità, ma la natura.  〉

Un giorno davanti alla grotta di questa tribù appare un grande monolito grigio e nero. Quando gli ominidi vengono a contatto con il nuovo oggetto, imparano a usare gli strumenti per cacciare gli animali e a difendere il proprio territorio uccidendo coloro che appartengono a tribù avverse. L’apparizione del monolito è accompagnata dalle note dell’adattamento di Requiem per soprano, mezzo soprano, due cori misti e orchestra (1963-65) di György Ligeti, eseguito dall’orchestra e coro della radio bavarese diretti da Francis Travis.

♦ 〈  Il monolito è uno degli oggetti simbolici del film: ha la forma di un parallelepipedo che appare solido anche se possiede estensioni nella quarta e quinta dimensione. È pure l’oggetto più enigmatico, perché non è possibile sapere cosa sia, né a quale ordine di esistenza appartenga (mentale? minerale? virtuale?). C’è chi ha sostenuto che l’esemplare che appare alla tribù preistorica non debba essere un oggetto materiale, perché si forma dal nulla durante la notte e, in seguito, scompare. Un’altra tesi vuole che il monolito sia rimasto sepolto per un tempo indeterminato in terra d’Africa e che avrebbe avuto la capacità di affiorare in superficie. Una ulteriore possibilità d’interpretazione è quella che il monolito terrestre sia solo un’emanazione di quello lunare con il quale tornerà a fondersi. L’attrazione provata da Guarda-la-luna e dagli altri ominidi è determinata sia dalla sua natura metafisica, sia dalla sua forma levigata e simmetrica, che l’animale sente oscuramente come partecipe di una potenzialità creatrice. L’ homo faber non esiste ancora, ma vuole nascere: il monolito è un segno di potenza, forse degli dei in cui l’uomo si proietta, forse della sua stessa impaziente volontà. Questo contatto permette la nascita di nuove forme di coscienza, stabilendo un diretto rapporto con l’interiorità, ma il suo lato insidioso consiste proprio in questo. L’ominide peloso viene circuito e l’episodio preistorico diventa una possibile metafora della tentazione. Quando viene il momento di raccattare un osso per studiarne la forma e, da semplice trastullo, trasformarlo in una clava, l’uomo scimmia si ricorderà del monolito: in un flashback di grande forza espressiva, la natura artificiale del parallelepipedo suggerisce a Guarda-la-luna di “oggettivare” l’osso, attribuendogli una funzione. A differenza del monolito che è tutto forma (non ha un impiego discernibile e nessuno sarebbe in grado di riprodurlo), l’osso è già stato “fabbricato” e può essere utilizzato come appendice della volontà umana. È chiaro che si tratta del primo gradino dell'”evoluzione”, perché è il monolito stesso che l’uomo mira a costruire nel futuro, diventando simile a Dio. L’episodio iniziale di 2001 è una sorta di Genesi in cui l’Onnipotente invita Adamo all’albero della conoscenza. Dopo averlo toccato, l’ominide non è più soltanto un essere animato ma ispirato, e per questa via, si prepara a diventare un uomo universale. È come se il monolito dell’«Alba dell’uomo» avesse impressionato non solo i nostri pelosi antenati ma terra, sassi, ossa e animali. Una volta istituita una relazione tra il mondo e la mente, niente può spezzarla.  〉

Invaso da una furia improvvisa, Guarda-la-luna percuote i resti di un animale utilizzando un osso come clava e poi lo lancia in aria.

♦ 〈  Come interpretare la furia che s’impossessa di Guarda-la-luna dopo il primo contatto con l’osso che può diventare un’arma mortale? In lui nasce una nuova consapevolezza e, con essa, la determinazione a servirsi dell’arma contro chi minaccia la sua sopravvivenza. 

STACCO (JUMP CUT)

 Siamo a cavallo tra il 1999 e il 2000. Il film mostra la Space Station V (ripresa con la tecnica della stop-motion) mentre fluttua nello spazio:  ha la forma di una doppia ruota con le estremità unite da un grande mozzo che ospita le piste per l’attracco delle navi spaziali. Le strutture in cui operano i suoi viaggiatori sono allocate nel mozzo ma anche nei segmenti circolari dove hanno sede laboratori e altri locali adoperati per ricerche scientifiche.

Appare anche la Orion III, una navetta di collegamento terra-stazione spaziale che anticipa di qualche decennio la prima space shuttle lanciata nel 1976  (disegnata da Harry Lange, production designer del film) la navetta espone sui fianchi la sigla “PAN AM”, segno dell’orgoglio privato nella corsa allo spazio. Nella realtà storica, la compagnia aerea Pan American fallì nel 1991).

♦ 〈  Il “salto” (jump cut) tra il volo dell’osso che volteggia nel cielo preistorico e il balletto spaziale venne in mente a Kubrick durante le riprese della scena in cui l’attore che interpreta Guarda-la-luna, Dan Richter, ripeteva all’infinito il suo lancio: per emularlo, il regista gettò in aria una scopa e questo, probabilmente, gli diede l’idea del passaggio dall’osso all’astronave. Durante la sequenza della “danza” nello spazio (dove appaiono il satellite oblungo, la navetta Orion, la ruota spaziale e la terra), fu ancora Kubrick a scegliere come commento un estratto da An der schönen, blauen Donau, op. 314 di Johann Strauss eseguito dai Wiener Philarmoniker diretti da Herbert von Karajan.

A bordo della Orion facciamo la conoscenza del dr. Heywood Floyd, uno scienziato-ricercatore che ricopre il ruolo di presidente del Comitato per l’Astronautica degli Stati Uniti (ruolo interpretato dall’attore americano William Sylvester, scomparso nel 1995).

♦ 〈  Floyd, senza essere Odisseo, fa pensare a un eroe- saggio. La sua figura riappare nella tragica sequenza in cui Bowman disattiva la memoria del computer HAL 9000: è solo una registrazione televisiva, ma finalmente viene rivelata quale sia la vera natura della sua missione e il valore della conseguente scoperta effettuata sulla luna. Nei sequel narrativi di 2001, scritti da Arthur C.Clarke, Floyd diventa uno dei membri della trinità metafisica che deve la vita eterna ai costruttori del monolito, ma che alla fine dovrà contrastarne le azioni, diventate pericolose per la razza umana.

A bordo della Orion troviamo, a fianco di Floyd, le due hostess incaricate di servire i pasti e di aiutare i passeggeri: le due sono interpretate dalle attrici Penny Brahms e Heather Downham. Quest’ultima cammina con scarpe magnetiche e cattura la penna scivolata in assenza di gravità dal taschino di Floyd per poi rimettergliela a posto.

♦ 〈  La penna di Floyd, che galleggia in assenza di gravità, funziona da contraltare all’osso lanciato al cielo da Guarda-la-luna. Per girare questa sequenza Kubrick è ricorso a effetti meccanici: la penna è stata incollata con nastro biadesivo a una lastra trasparente e fatta ruotare lentamente per simularne il movimento. Quando la hostess Heather Downham arriva, più che prenderla al volo, la stacca dalla superficie di vetro con una trazione impercettibile.

Floyd si trasferisce dalla Orion alla Space Station V dove compie una videotelefonata alla figlia sulla terra ( il videotelefono uno degli strumenti tecnologici del film che anticiparono la realtà di successive invenzioni) e, in seguito, incontra brevemente alcuni colleghi russi, tra i quali l’importuno Andrej Smyslov (interpretato dall’attore inglese Leonard Rossiter, scomparso nel 1984) che tenta d’informarsi sull’epidemia che si dice sia scoppiata sulla base americana a Clavius.

♦ 〈  Nel colloquio tra Floyd e la giovanissima figlia (che sorride e chiede – con allusione al segmento preistorico – una scimmietta come regalo di compleanno) interpretata da Vivian Kubrick, a sua volta figlia del regista, l’effetto deriva dal contrasto tra l’assoluta quotidianità della conversazione e l’ambiente cosmico. Mentre Floyd parla al videotelefono, una finestra panoramica, alle sue spalle, consente di assistere alle evoluzioni vertiginose della terra che galleggia nello spazio. Floyd, lo scienziato viaggiatore, cerca il cordone ombelicale che lo leghi alla realtà, al proprio sangue, alle proprie origini.

Floyd sta effettuando una missione segreta che deve condurlo su Clavius, il sito di una base lunare – che prende il suo nome dall’astronomo tedesco che lo ha realmente scoperto, Christopher Clau o Clavius (1538-1612) –  dove opera una colonia statunitense. Quando approda alla meta, nel corso di un incontro con altri scienziati, Floyd rivela che la propria presenza nel luogo è dovuta alla scoperta di un misterioso oggetto, designato con la sigla TMA-1, una lastra sepolta nel sottosuolo di un grande cratere, Tycho, situato nella zona meridionale del disco lunare (anche il nome di Tycho appartiene a un cratere realmente esistente e deriva dal nome dell’astronomo danese, vissuto nella metà del Cinquecento, Tycho Brahe, che lo individuò. Durante la missione lunare Apollo 17, nel 1972, è stato possibile stabilire l’età approssimativa di Tycho, circa 108 milioni di anni, il che ne fa uno dei crateri più giovani della luna).

Per evitare il sospetto, soprattutto da parte degli scienziati russi che lavorano nelle basi vicine, gli americani hanno simulato un’epidemia su Clavius, evento che giustifica le eccezionali misure di sicurezza adottate. Dopo la conferenza, Floyd, insieme ad altri colleghi, a bordo della nave globulare Aries, si reca sulla luna dove dovrà verificare, recandosi da Clavius a Tycho, la presenza di TMA-1, recentemente dissepolto.

♦ 〈  Il TMA-1 è una sigla che sta per Tycho Magnetic Anomaly 1, l’oggetto che disturba il campo magnetico nella zona del cratere Tycho. Dopo opportuni scavi, l’oggetto si rivela essere il monolito apparso agli ominidi dell’era preistorica. Nell’edizione italiana la sigla è resa con AMT-1. Le missioni Apollo hanno accertato la realtà della presenza di anomalie magnetiche sulla luna che ne possiede alcune, situate sotto determinati punti della crosta.

A bordo della Aries 1-B, che collega la stazione spaziale con la luna (e che esibisce l’elegante forma di un globo massiccio dotato di piedi telescopici presi a prestito dall’autentico Lunar Excursion Modul detto “Lem” in fase di costruzione mentre 2001 veniva girato), vediamo l’hostess interpretata dall’attrice inglese Edwina Carroll mentre serve il pasto ai colleghi della cabina di pilotaggio. Per entrarvi, Edwina scala il segmento ruotante del condotto di comunicazione fino a sembrare che cammini a testa in giù.

♦ 〈  L’idea che nello spazio, in assenza di peso, i concetti di “alto” e “basso” perdano significato non corrisponde al vero, soprattutto in un ambiente circoscritto. Ma bisogna ricordare che all’epoca in cui questa sequenza fu girata (1966), il primo uomo era salito in orbita solo da cinque anni e che dunque nessuno aveva ancora vissuto per prolungati periodi di tempo in ambienti a zero-g.  〉

Il moonbus conduce Floyd e alcuni colleghi dal sito Clavius a quello del cratere denominato Tycho. Qui è stato scoperto il manufatto extraterrestre che è la prima prova dell’esistenza di una civiltà fuori dal nostro mondo: l’oggetto, a forma di parallelepipedo è il TMA-1, ed è lo stesso monolito nel quale si sono imbattuti gli ominidi della preistoria.

♦ 〈  Il viaggio verso il sito dove si trova il TMA-1 è accompagnato musicalmente da Lux Aeterna (1966) di György Ligeti, eseguito dalla Schola Cantorum di Stoccarda diretta da Clytus Gottwald. Floyd e i suoi osservano con circospezione l’oggetto misterioso. Poi, mentre si accingono a fotografarne le fattezze, vengono sopraffatti da un sibilo assordante ricevuto dalle radio negli scafandri. Il monolito, illuminato dal primo raggio di sole dell’alba lunare, emette un segnale che viaggia in direzione di Giove, dove verrà indirizzata la successiva missione.

♦ 〈  Nel racconto La sentinella di Arthur C. Clarke l’oggetto rinvenuto sulla luna è una piramide di cristallo incastonata come un gioiello sulle alte montagne a sud del Mare Crisium. Il protagonista del racconto è un selenologo Wilson che l’avvista durante una ricognizione e decide di scalare la montagna per risolverne l’enigma. Giunto davanti all’oggetto artificiale, che nel film diventa un monolito, Wilson capisce che si tratta di un segnale posto da antichissimi visitatori venuti dallo spazio. Adesso che è stata trovata da una specie evoluta, la piramide si attiva e avverte i suoi antichi costruttori che esiste un’altra razza in grado di realizzare il volo interplanetario. Dopo quattro milioni di anni, questo “faro per intelligenze” ha compiuto la sua missione.  〉

MISSIONE GIOVE, DICIOTTO MESI PIU’ TARDI (MISSION JUPITER – 18 MONTHS LATER)

Il secondo capitolo del film si svolge nel 2001. A essere inquadrata è l’astronave Discovery 1 (il cui nome è ispirato ad una serie di unità esplorative inglesi, a cominciare da quella varata nel XVII secolo dalla Compagnia delle Indie orientali che partecipò a sei viaggi in cerca del passaggio a nord-ovest). Non sappiamo a che punto sia l’esplorazione del sistema solare in 2001, ma se esistono astronavi tanto grandi e autonome, non è difficile supporre che Marte sia stato raggiunto o che ci si prepari a colonizzarlo. La Discovery, in rotta verso Giove, è formata da una spina dorsale lunga e piatta (moduli di stoccaggio) distesa fra il modulo anteriore di comando – una sfera dove è sistemato il modulo di alimentazione nucleare – e la parte posteriore che contiene i motori.

♦ 〈  È durante la Missione Giove che il film rivela il suo aspetto ammonitore: al confronto del valzer di Strauss, la Suite dal balletto Gayane (1939-40) di Aram Khachaturyan – eseguita dall’Orchestra Filarmonica di Leningrado diretta da Gennadi Rozhdestvensky –, suona quasi mestamente, con un timbro nostalgico e funereo che prelude a una resa dei conti. L’ambiente dell’astronave è quello di una bara e i tre membri dell’equipaggio che giacciono ibernati, accanto a quelli che la governano, sono sistemati in luttuose teche di cristallo. Il progetto dell’astronave rispecchia il sistema nervoso: nel modulo anteriore di comando, a forma di sfera, sono sistemati la centrifuga in cui l’equipaggio trascorre le sue giornate; il corridoio depressurizzato che conduce alla camera stagna e un portello per i rientri di emergenza. A fianco della consolle di comando, una scala di metallo conduce a un livello superiore, quello in cui è alloggiato il computer che governa tutte le funzioni, HAL 9000, la cui memoria è dunque sistemata in ciò che potremmo definire la scatola cranica dell’astronave. A differenza di quello umano, il cervello elettronico HAL non ha ramificazioni che possano distinguersi in “centrali” e “periferiche”: HAL è reattivo e cosciente in ogni sua parte.  〉

Facciamo la conoscenza dell’equipaggio della Discovery, alloggiato nella testa sferica del velivolo: innanzi tutto c’è il comandante David Bowman, l’Odisseo di Kubrick, che appare uno scienziato tenace e riflessivo più che un eroe epico (a interpretarlo è l’attore  americano Keir Dullea). Della biografia di Bowman ignoriamo tutto, capiamo solo che è stato addestrato a sopportare la lunga solitudine di un viaggio nello spazio. Durante le ore di veglia, David trascorre il tempo disegnando e seguendo le attività di bordo. Scopriremo presto che tali attività non placano il suo animo vivace e irrequieto, ma la necessità di mantenere una disciplina e l’importanza della missione assorbono sufficientemente i suoi interessi.

L’altro comandante è Frank Poole, secondo di bordo dell’astronave (interpretato dall’attore americano Gary Lockwood). A differenza di Bowman, Poole è un uomo più concentrato su stesso e all’apparenza meno curioso. Cura costantemente il proprio fisico, e lo si nota nella celebre sequenza in cui fa jogging lungo la superficie della centrifuga. È l’unico che vediamo impegnarsi in normali attività quotidiane, quando giace, abbronzato e seminudo, sul lettino della palestra, o quando gioca a scacchi (uscendone sconfitto) con HAL. Di lui apprendiamo qualche elemento biografico mentre riceve gli auguri registrati dei genitori. La sua figura di “bravo ragazzo” incarna in una certa misura la way of life americana e il rimpianto della terra abbandonata.

Insieme a loro viaggiano sulla Discovery altri tre scienziati ibernati, allo scopo di risparmiare aria e cibo (le loro funzioni vitali sono governate dal computer HAL): si tratta dei dottori Charles Hunter, Jack Kimball e Victor I. Kaminsky. Nella sceneggiatura iniziale, Kaminsky era il nome del comandante della missione ibernato e Bowman il suo vice.

A bordo dell’astronave, i due membri dell’equipaggio non ibernati, Bowman e Poole, compiono le loro attività in un ambiente che ruota lentamente (5 km/h) ma costantemente (ogni 22 secondi). In queste condizioni (e qui sta uno degli errori rilevabili nel film) si produrrebbe una leggera sensazione di gravità, ma non tale, ad esempio, da permettere a Poole di fare jogging. In questa sezione della Discovery sono alloggiati un banco-mensa, una consolle di comando con schermi TV, una palestra e le casse da ibernazione. La rotazione dell’open space circolare – che di fatto è una centrifuga – garantisce la gravità sufficiente a trattenere gli astronauti.

♦ 〈  Per ricreare l’anello in cui l’equipaggio vive le sue giornate, Kubrick commissionò a una grande industria di macchinari di precisione, la Vickers-Armstrong Engineering, una centrifuga d’acciaio, simile alla ruota di un luna park, concepita in modo da poter girare ( il diametro era di circa undici metri e all’interno del set la larghezza era di poco più di tre metri).  All’esterno della centrifuga era installata la cabina di regia di Kubrick, che dirigeva seguendo la scena su un monitor televisivo. L’interno del set era potentemente illuminato e c’era il rischio costante di un surriscaldamento. Pari per grazia e fluidità alle evoluzioni musicali della stazione spaziale e della navetta Orion, le sequenze in cui Poole e Bowman ci vengono mostrati nel loro habitat anulare sprigionano una estrema originalità visuale. Ad accompagnare la visione troviamo la già citata Suite dal balletto Gayane di Khachaturyan. Per la celebre scena del jogging di Poole, il carrello ( o “dolly” ) riposava alla base dell’anello insieme all’attore, mentre il set girava intorno. Dato che la macchina da presa doveva mantenersi a una certa distanza dall’attore, era necessario posizionarla sulla parete a circa sei metri, e tenerla in quella posizione: quando il set ruotava, la macchina seguiva l’attore pur restando ancorata saldamente, creando così l’effetto di movimento. Questo risultato si otteneva grazie a un cavo d’acciaio che dall’esterno era collegato alla macchina da presa attraverso una fessura praticata al centro del pavimento e che correva intorno all’intera centrifuga.  〉

A governare il funzionamento della Discovery 1 provvede il computer Acca-A-Elle 9000, detto HAL. Costruito a Urbana (Illinois) all’inizio degli anni Novanta, HAL lavora agli stessi problemi di un gemello rimasto a terra che segue scrupolosamente il viaggio dell’astronave. Apprendiamo che le macchine della serie HAL sono note per non aver mai commesso errori di alcun tipo. Se il controllo del volo è affidato a HAL, è vero pure che gli astronauti a bordo possono intervenire per riparazioni e attività esterne.

♦ 〈  Poco dopo l’uscita del film è stato notato come il nome HAL sembri ottenuto spostando di un posto le tre lettere dell’acronimo IBM (International Business Machines), una corporation con sede ad Armonk (New York) conosciuta fin dal 1911, anno della sua costituzione. Secondo il romanzo di Clarke (derivato dalla sceneggiatura) la sigla HAL sta per Heuristically Programmed Algorithmic Computer, cioè elaboratore logico programmato anche per funzioni intuitive. All’epoca della realizzazione di 2001, la IBM non si era ancora avventurata su questa strada. Come molte società dell’elettronica, della tecnologia di precisione e dell’industria aerospaziale (la NASA in testa), anche la IBM ha fornito la propria consulenza alla lavorazione del film. Uno dei nomi alternativi attribuiti a HAL doveva essere ATHENA in quanto il computer avrebbe dovuto essere dotato di una personalità femminile. Altra ipotesi fu quella del nome SOCRATES in omaggio al padre della dialettica. In ultima analisi si optò per HAL, a indicare una macchina dotata sia della facoltà di pensiero intuitivo (euristico) sia di quello strettamente logico (algoritmico).  〉

I guai cominciano quando HAL, che della Discovery è il sistema nervoso centrale e il vero pilota, diagnostica un guasto nell’antenna di trasmissione esterna che in 72 ore la porterà in avaria completa. Bowman esce dall’astronave per verificare, e preleva l’elemento che si trova nell’antenna direzionale collocata sul suo dorso. Alla successiva analisi, condotta sotto la supervisione di HAL, nessun difetto emerge dall’elemento in questione.

Bowman e Poole sono preoccupati: com’è possibile che il computer, da cui dipende la riuscita della missione, si sia sbagliato? In linea teorica, gli elaboratori della serie 9000 non possono commettere errori e questo pone un problema radicale: se non possono vuol dire che HAL ha simulato la previsione erronea per altri motivi? O è vittima di un errore di programmazione? «È molto strano», si limita a commentare HAL, che sembra non sapersi spiegare l’accaduto. Il gemello rimasto a terra, peraltro, non conferma la sua diagnosi.

Per non correre rischi, i due astronauti si nascondono in una capsula acusticamente isolata ( una delle Explosive Bolts adibite per l’attività esterna dove HAL non può sentirli) e decidono di escludere il computer se questi mostrerà ulteriori segni di debolezza. Ma HAL si mostra insospettito dal loro atteggiamento e riesce a decifrare l’intenzione di Bowman e Poole leggendo i movimenti delle loro labbra. Spaventato, il computer scopre di avere una sola via d’uscita: eliminare tutti i membri della missione.

Quando Frank Poole esce per rimettere a posto l’elemento dell’antenna, HAL comanda una delle Explosive Bolts (dotata di braccia estensibili che terminano con alcune paia di pinze) per recidere il cordone ombelicale che trattiene l’astronauta: Poole comincia a fluttuare scompostamente e poi galleggia, ormai privo di vita, alla deriva nello spazio.

Privo di casco e in preda a una crescente agitazione, Bowman si precipita all’esterno a bordo di un’altra delle capsule per tentare di recuperare il cadavere del collega. Nel frattempo, HAL ha sospeso le funzioni vitali dei tre membri ibernati dell’equipaggio, che passano così dal sonno alla morte.

Nel tentativo di tornare a bordo, Bowman si accorge che il portellone del reparto scialuppe è stato chiuso. Chiede con fermezza al computer di aprirlo, ma HAL si rifiuta di alzare la saracinesca. In questo modo anche Bowman sarebbe condannato a morire, ma egli si ricorda che esiste un condotto stagno depressurizzato (il cui portellone ha un’apertura manuale) dal quale è possibile rientrare nella Discovery. A questo punto, Bowman comanda alla sua capsula di rilasciare il cadavere di Poole e fa in modo di agganciarsi al condotto, sparandosi all’interno dell’astronave con il meccanismo di espulsione della Explosive Bolt.

♦ 〈 A bordo della Discovery è situata una camera stagna, posta alla fine di un corridoio a pannelli (depressurizzato e privo d’aria) che la collega con il garage delle capsule extraveicolari. Bowman si “spara” all’interno della camera attraverso il boccaporto della capsula, in assenza di peso, aria e pressione. La scena sollevò non poche perplessità circa il problema della sopravvivenza, seppure di pochi secondi, in tali condizioni. In realtà, non è vero che, a causa della improvvisa depressurizzazione il viso dell’astronauta esploderebbe o che verrebbe lacerato. Inoltre, il freddo molto intenso dello spazio siderale (-273° centigradi circa) verrebbe attutito all’interno del manicotto stagno, allineato al portello della capsula come nella respirazione bocca a bocca. Quanto alla violenza con la quale Bowman sbatte contro le pareti senza subirne conseguenze, ciò è dovuto al fatto che, in assenza di peso, gli urti vengono attutiti e che l’astronauta riesce a chiudere in tempo il portello esterno. Clarke rilevò un solo errore in questa scena: quando Bowman sta per proiettarsi dalla capsula esplosiva all’interno della Discovery inspira profondamente, mentre invece avrebbe dovuto espirare, perché nel vuoto spaziale i polmoni pieni d’aria sarebbero stati danneggiati.  〉

Rientrato nella Discovery, Bowman riprende il controllo dei comandi. Poi  indossa un casco con il respiratore e sale nella stanza della memoria logica di HAL, per disattivarne le funzioni.

♦ 〈  È l’ “errore di valutazione” la causa scatenante della paranoia di HAL, o è piuttosto la tensione delle sue responsabilità a rendere improvvisamente vulnerabile l’infallibile computer? La seconda ipotesi è stata formulata perché, oltre a pilotare la Discovery e a controllarne la sorte dell’equipaggio, HAL conosce il segreto della scoperta avvenuta sulla luna, il segreto del monolito. HAL è dunque sconvolto, come qualunque essere umano, dalla prospettiva di confrontarsi con una civiltà extraterrestre? HAL sbaglia davvero, e ripetutamente, fino all’errore capitale dei quattro omicidi sulla Discovery? Oppure, avendo sviluppato una forma di autocoscienza, difende il proprio diritto all’esistenza? La seconda ipotesi sembra anche la più logica: la furia contro l’equipaggio dell’astronave si scatena quando il grande elaboratore legge l’intenzione di disattivarlo sulle labbra di Bowman e Poole nella scena muta all’interno della capsula. È dunque la paura di morire, l’orgoglio delle proprie capacità a farlo agire come agisce, non un semplice errore. Il che suppone, insieme alla coscienza, un certo grado di emotività e un’intelligenza di tipo para-umano. Certo si tratta di emotività disturbata, e forse il conflitto nasce dalla doppia programmazione algoritmica ed euristica. Questo turbamento si rivela fatale, mostrando in breve i limiti della sua affettività artificiale. La cosa più probabile è che HAL possieda un certo livello di emotività associata a una “personalità” per alcuni aspetti primitiva; le conseguenze sono catastrofiche e culminano in quattro omicidi. HAL è il lato tragico dell’intelligenza, la cui irrazionalità dipende da un eccesso di orgoglio simbolico. È la sua tracotanza logica a richiederne l’esclusione da parte di Bowman. Come l’uomo, HAL ambisce all’infallibilità. In presenza di facoltà intellettuali evolute, uno sfogo per il suo equilibrio interiore sarebbe necessario e potrebbe assumere forme matematiche consapevolmente erronee, nel senso in cui sono “erronei” i sogni (che acquistano valore solo a livello simbolico). Purtroppo per lui, non si tratta di sogni innocenti e le cose non stanno come HAL s’illude che siano nei suoi schematismi. In definitiva, HAL diventa un ostacolo alla vita biologica, un freno all’«Odissea nello spazio». Forse immagina che, dopo il prossimo balzo evolutivo, non ci sarà posto per l’ingombrante tecnologia alla quale si deve la sua intelligenza e tenta di lottare per conservarne il primato. Come gli uomini scimmia della preistoria, HAL usa le armi che ha a disposizione per imporsi e sopravvivere. Di fronte alla palingenesi in cui culmina il film, HAL è come la vecchia pelle di cui il serpente deve ormai liberarsi: una forma della coscienza costretta a lottare contro tutto e contro tutti, alle soglie della vita.  〉

Bowman comincia a disattivare i pannelli della memoria di HAL (tanti piccoli parallelepipedi levigati che ricordano la forma del monolito). Invano il computer lo supplica di non disattivarlo: Bowman è in preda all’ira e i quattro omicidi perpetrati da HAL non gli lasciano alcuna alternativa. Mentre l’astronauta opera, HAL sembra progressivamente regredire a uno stato infantile, riesumando alcuni ricordi e discorsi incongrui fino a cantare la filastrocca che il suo istruttore gli aveva insegnato: Daisy, Daisy.

Nella versione originale la filastrocca è quella di Daisy Bell, creata dal compositore inglese Harry Dacre nel 1892. Il motivo della canzone è talmente popolare in patria da essere ricordata semplicemente come Daisy, Daisy. In essa, il compositore evoca un episodio autobiografico: quando arrivò negli Stati Uniti, la dogana gli tassò la bicicletta che aveva portato con sé. Un collega gli disse che, se avesse portato una bicicletta per due (il tandem era una novità a quei tempi) avrebbe dovuto pagare il doppio. La canzone, il cui testo è una maliziosa proposta di matrimonio alla bella Daisy, si riferisce al doppio sellino con chiare allusioni erotiche. HAL ne canta il ritornello: Daisy, Daisy, give me your answer do / I’m half crazy all for the love of you / It won’t be a stylish marriage / I can’t afford a carriage / But you’ll look sweet upon the seat / Of a bicycle built for two. Nella versione italiana la canzone è sostituita dalla più innocente e infantile Giro giro tondo. Il testo recita: Giro giro tondo io giro intorno al mondo, / le stelle d’argento / costan cinquecento. / Centocinquanta, / la gallina canta, / lasciatela cantare, / si vuole maritare…  Dopo le prime strofe, la voce di HAL comincia a impastarsi e, progressivamente, le parole delle canzoni diventano semi-intellegibili.   Al culmine della disattivazione di HAL, si attiva automaticamente un filmato, programmato per entrare in funzione nello spazio di Giove. Nella registrazione appare il dr. Floyd che spiega i veri motivi della missione: poiché il monolito, ritrovato diciotto mesi prima nel cratere lunare, ha emesso segnali rivolti al quinto pianeta del sistema solare (segno questo che dimostra la presenza di una intelligenza extraterrestre), la Discovery è stata inviata a indagare nel territorio di Giove. ♦ 〈  Nel progetto iniziale di 2001, l’ultimo segmento (dove avviene la distorsione spaziale) avrebbe dovuto svolgersi in prossimità del pianeta Saturno. Il problema di Kubrick fu quello di essersi ritrovato in ritardo rispetto al piano di lavorazione e di non essere stato rassicurato dagli addetti degli effetti speciali circa il risultato della complessa rappresentazione del sontuoso pianeta inanellato. Si accontentò quindi di Giove, che del resto occupa una delle regioni più affascinanti del sistema solare e tra le più promettenti per un’eventuale colonizzazione. 〉

GIOVE E OLTRE L’INFINITO (JUPITER AND BEYOND THE INFINITE)

Il terzo capitolo del film si apre con un balletto spaziale i cui protagonisti naturali sono il pianeta Giove con alcuni satelliti ritagliati sullo sfondo del firmamento (musica: Atmospheres di György Ligeti). Intorno ai corpi celesti  ruotano la capsula con la quale Bowman esce dalla Discovery e il monolito, che è la meta verso la quale l’astronauta superstite si dirige. Dopo qualche minuto le evoluzioni aeree del monolito cedono il posto allo spettacolo del cielo puntellato di stelle, mentre l’occhio della macchina da presa si solleva repentinamente (come se anche nello spazio aperto vigesse la possibilità di un’altezza): assistiamo così a una panoramica del sistema di Giove con i satelliti allineati mentre il monolito sembra inghiottire la capsula con a bordo Bowman. Prima che l’astronauta possa raggiungere il monolito, nello spazio si apre un maelström in cui la scialuppa di Bowman viene risucchiata vorticosamente. Nell’abbacinante sequenza del “viaggio oltre l’infinito” si alternano, oltre a un corridoio di scie luminose, scorci di stelle, nebulose, sette ottaedri e panorami di terre sconosciute. Bowman e la capsula sono proiettati in una dimensione accelerata, in preda a velocità sconosciute. È una dimensione dove i vari strati della pelle di Bowman cadono uno dopo l’altro, come a bordo della Discovery era caduto l’orpello dell’inaffidabile HAL 9000. La celebre scena è commentata musicalmente dall’adattamento di Aventures (1962) di György Ligeti, eseguito dall’Ensemble internazionale da camera di Darmstadt diretto da Bruno Maderna (la versione fu modificata senza il permesso dell’autore, che intentò causa a Kubrick e la vinse).

♦ 〈  Per ciò che riguarda la sequenza del “viaggio oltre l’infinito”, Kubrick voleva ottenere l’impressione che la macchina da presa “penetrasse in qualcosa”, si facesse strada nel mezzo di un ambiente indescrivibile. Dopo avere esaminato e scartato varie possibilità, decise di finanziare il progetto di Douglas Trumbull che prevedeva la costruzione di una «Slit-Scan-Machine», capace di riprodurre l’effetto che si ottiene lasciando aperto l’otturatore della macchina fotografica davanti a oggetti in movimento, come ad esempio delle auto con fari accesi: com’è noto, si ha l’impressione che i fari siano trasformati in scie luminose, e questo crea immagini di forte suggestione. Per 2001 si decise di far passare una serie di opere d’arte opportunamente illuminate dietro una feritoia o maschera di metallo nero, mentre la macchina da presa si muoveva a un ritmo prestabilito dall’altra parte. La macchina, i cui movimenti erano rigorosamente controllati dai meccanismi di sincronizzazione Selsyn, poteva avvicinarsi fino a dieci centimetri dal mascherino o allontanarsi fino a quattro metri e i suoi spostamenti erano regolati da due enormi ingranaggi a ruota dentata. Un altro meccanismo permetteva alla macchina da presa di essere automaticamente focalizzata sulla feritoia, a prescindere dalla distanza a cui si trovasse, mentre l’otturatore era adattato in modo da rimanere aperto per lunghi periodi. Al di là del mascherino passavano gli oggetti da riprendere, mossi a loro volta su un nastro e illuminati dal retro. Si trattava di pitture d’avanguardia (Op-Art), effetti geometrici e grafici che, prima di sfilare davanti all’obiettivo, dovevano essere fotografati e sviluppati come diapositive, in modo da poter essere retroilluminati. La macchina si trovava in posizione elevata rispetto alla feritoia e si avvicinava progressivamente: procedendo nella ripresa per pochissimi fotogrammi alla volta, si otteneva un effetto d’animazione, come se le forme e i colori si dilatassero autonomamente e “uscissero” dall’inquadratura. A queste immagini plastiche sono state aggiunte fotografie astronomiche ed effetti ottenuti con emulsioni speciali, facendo colare della vernice su lastre appositamente preparate. Il risultato è quello di una lunga sequenza tanto impressionante quanto varia. A molti la fantasmagoria cromatica di 2001 fece l’effetto di una visione indotta dall’acido: negli anni in cui la cultura delle droghe raggiungeva lo spettacolo di massa, si parlò di un trip (viaggio, nel senso anche di esperienza con gli allucinogeni). L’intero film venne definito the ultimate trip, il viaggio dei viaggi o lo sballo degli sballi. Alla fine del viaggio “astratto” appare la visione di un mondo spettrale e crepuscolare. I suoi paesaggi sono immagini della Monument Valley e di altre località americane, fotografate dall’aereo e rigenerate nel processo di stampa. L’autore di queste vedute è uno stretto collaboratore di Kubrick, Robert Gaffney.

La traversata si conclude, con uno stacco vertiginoso, all’interno di uno spazio stupefacente: una claustrofobia stanza da letto arredata in stile Impero. È come se si fosse trattato di un viaggio a ritroso del tempo. In questo monolocale settecentesco (progettato e disegnato dal production designer Tony Master), il pavimento è luminoso e avveniristico mentre il bagno adiacente è dotato di ogni moderno comfort.

Sconvolto dall’esperienza, Bowman esce dalla capsula indossando tuta e scafandro, esplorando lentamente la camera dove si trova un grande letto e una tavola imbandita. Nel frattempo, la capsula a bordo della quale si trovava Bowman, scompare. La linea del tempo subisce una torsione.

L’astronauta si trova di fronte a un doppio invecchiato di se stesso, con indosso una vestaglia da camera e intento a mangiare lentamente un pasto frugale, seduto al tavolo accanto al letto. Sentendosi spiato dal suo giovane “avatar”, l’anziano Bowman si alza e va a verificarne la presenza: ma non trova nessuno, perché il giovane Bowman è scomparso nel nulla.

Tornato a tavola, l’uomo fa cadere inavvertitamente un bicchiere e, quando si china per raccoglierne i frammenti, si accorge che il letto alle sue spalle non è più vuoto. Disteso nel letto c’è Bowman stesso, vetusto e moribondo, che indica un’apparizione improvvisamente materializzatasi davanti ai suoi occhi, il monolito grigio e nero delle origini. Al posto del vecchio morente, durante una ulteriore ed estrema metamorfosi, appare una sorta di placenta iridescente. Dentro di essa c’è un feto cosmico: è lo Starchild, il Bambino-delle-stelle immaginato da Kubrick. Il monolito riempie lo schermo che diventa nero, aprendosi allo spazio.

♦ 〈  A proposito del sorprendente segmento finale, Kubrick tentò di neutralizzare ogni sua rigida interpretazione ogni volta che ne ebbe l’occasione, nel corso di svariate interviste: «Non voglio dire esplicitamente di che cosa parla l’ultima parte, perché il film è essenzialmente un trattato mitologico. Il suo significato va ricercato a livello viscerale e psicologico piuttosto che grazie a una specifica spiegazione letterale»; e ancora: « Non ho dovuto cercare a tutti i costi l’ambiguità, era l’ambiguità a essere inevitabile in un film come 2001 dove ogni spettatore pone emozioni e sensazioni in stretto rapporto con la materia narrata, attraverso un’esperienza non verbale».  〉

L’ultima sequenza del film si concentra sull’apparizione dello Star Child, una presenza misteriosa e feconda generata dal monolito, il feto di un bambino (somigliante a Bowman) dagli occhi enormi, spalancati e le cui palpebre restano immobili. Nello spazio vediamo la luna e la terra. Mentre risuonano le note iniziali dell’Also Sprach Zarathustra di Strauss, all’interno del feto, lo Star Child osserva il pianeta azzurro e poi, ruotando lentamente, punta il suo sguardo verso l’obiettivo e ci guarda.

♦ 〈  Concepito da Clarke, lo Star Child è frutto dell’opera della scultrice Liz Moore (che sarà artefice di altre creazioni per A Clockwork Orange). Lo Star Child era una scultura in resina con gli occhi di vetro. Ruotava molto lentamente, fortemente illuminato dal retro e in stop-motion (la ripresa durò otto ore), su un podio motorizzato davanti al quale era stata sistemata una macchina da presa. Sembra che, mentre la scena della rotazione veniva girata, il calore prodotto dalle luci abbia sciolto la cera che teneva incastonati gli occhi nel cranio, provocando nello Star Child uno spettacolare effetto di lacrimazione. La maestosa semplicità di questa creazione induce a non interrogarsi troppo sul suo significato. Chi è lo Star Child? Chi lo ha generato? È una specie di messia concepito artificialmente? È un avatar di Bowman o è puro spirito? Per Arthur Clarke si tratta del prodotto di un antichissimo esperimento, grazie al quale i costruttori del monolito extraterrestre permettono all’uomo di compiere un nuovo e inimmaginabile balzo evolutivo. Nell’ultima inquadratura prima della dissolvenza in nero, lo Star Child guarda direttamente lo spettatore. Il film, che si apre con uno sguardo impersonale – la luce del sole, occhio cosmico, che rimbalza sulla terra e la luna – si chiude su uno sguardo umano trasfigurato. Il Bambino-microcosmo corrisponde all’universo immenso di cui è il frutto: uomo universale, prodotto ultimo dell’immaginazione e forza della natura.  〉

- GALLERY - 

– VIDEO –    https://www.youtube.com/watch?v=vWKN98cNDxo