martedì, 22 Ottobre 2024

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Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini – Sceneggiatura Garzanti

Uccellacci e uccellini di Pier Paolo Pasolini – Sceneggiatura Garzanti

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Autore:  Giacomo Gambetti (a cura di)

Tipologia:  Sceneggiatura cinematografica e scritti teorici

Film di riferimento:  Uccellacci e uccellini (Italia, 1966) di Pier Paolo Pasolini. Sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini. Fotografia di Mario Bernardo, Tonino Delli Colli. Musica di Ennio Morricone. Con Totò, Ninetto Davoli, Femi Benussi, Umberto Bevilacqua, Renato Capogna, Rossana Di Rocco, Pietro Davoli, Cesare Gelli, Renato Montalbano

Editore:  Garzanti, Collana "Film e Discussioni "

Origine:  Milano

Anno:  1966 (19 febbraio)

Caratteristiche:  Legatura in cartone telato di color bianco (muta), sovraccoperta con composizione fotografica in bianco e nero, titoli in grigio e bianco su fondo nero. All'interno: 55 fotografie di scena e di set in bianco e nero fuori testo

Edizione:  Prima

Pagine:  260

Dimensioni:  cm. 22 x 14,5

Note: 

Prima edizione della sceneggiatura di Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini. Il volume, pubblicato da Garzanti nella collana «Film e discussioni», è a cura di Giacomo Gambetti e ospita, accanto alla sceneggiatura originale di Pasolini, alcune interviste sul film e scritti teorici e tecnici dello stesso poeta/cineasta. All’interno sono presenti 55 fotografie di scena e di set in bianco e nero fuori testo.

 

INDICE 

Scritti teorici e tecnici di Pier Paolo PasoliniIl  «cinema di poesia» / La sceneggiatura come «struttura che vuol essere altra struttura» / Confessioni tecniche / Le fasi del corvo

 

♦ La sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini: L’uomo in bianco / Uccellacci e uccellini / Laggiù

 

Alfredo Bini: dal «Vangelo» a «Uccellacci e uccellini» di Giacomo Gambetti

Intervista con Totò, uomo di due secoli di Giacomo Gambetti

I titoli di testa 

 

 

Sinossi: 

Dopo i titoli di testa, cantati da Domenico Modugno sull’immagine di una sbiadita luna diurna attraversata dalle nuvole, incontriamo Innocenti Marcello, detto anche Totò e Innocenti Ninetto, primo dei suoi 18 figli, che percorrono a piedi le enormi, grigie strade di un’anonima periferia romana, diretti chissà dove. Strada facendo, aprono e chiudono discorsi apparentemente banali, il cui contenuto metafisico riflette in realtà i più grandi nodi del pensiero occidentale. I due pellegrini si fermano in un bar, dove Ninetto viene erudito da alcuni ragazzi a ballare l’ hully-gully. In seguito, mentre Totò resta a guardare, in mezzo a un capannello di curiosi, il tremendo spettacolo di una famiglia che si è suicidata con il gas in un palazzo di certo abusivo, neanche del tutto terminato di costruire, Ninetto va a pavoneggiarsi con delle ragazzette.

Poi i due proseguono il cammino, riflettendo sul fatto che i poveri, che non hanno nulla da perdere, «passano da una morte a un’altra morte». Sulle note del canto partigiano Fischia il vento, un Corvo parlante (versione volatile, un po’ aristofanesca del grillo-coscienza di Pinocchio), proveniente dal paese di Utopia, si unisce a loro sul cammino, constatando che, nonostante i due uomini non abbiano una mèta precisa (infatti sanno di essere diretti “laggiù”, ma non sanno dire dove) dovranno fare «un pezzo di strada insieme». Dopo qualche perplessità, dunque, incomincia il cammino. Il Corvo (del quale una didascalia specifica che si tratta di un intellettuale di sinistra prima della morte di Togliatti), con intenti di certo didascalici, narra ai due Innocenti un apologo, una storia che parla di uccellacci e uccellini.

Ci troviamo sette secoli prima, nella comunità del poverello di Assisi, Francesco, che ha da poco predicato agli uccelli. Il Santo incarica due suoi frati, Frate Ciccillo e Frate Ninetto (che somigliano a Totò e Ninetto), di evangelizzare i falchi e i passeri, di educarli all’Amore Celeste. Il novizio Ninetto cade nel panico, ma Frate Ciccillo, dotato di un paziente spirito scientifico di osservazione, gli spiega che loro non sono santi come Francesco: «Siamo uomini umani, ma con la grazia del Signore abbiamo il cervello». Frate Ciccillo fa il voto di restare in ginocchio finché non avrà evangelizzato i falchetti della rocca. Immobile in una piana, dileggiato dai pastori, scrutato con annoiato e a tratti divertito rispetto da Ninetto, Ciccillo passa un anno ad ascoltare i rapaci e ad osservare i movimenti, finché, in primavera, giunge l’illuminazione: trovata la chiave del linguaggio dei falchi, il fraticello spiega loro il senso divino dell’Amore tra le creature. «Con la fede ci si crede, e con la scienza ci si vede», commenta soddisfatto Frate Ciccillo. Ma il lavoro non è concluso. Ora tocca ai passeri. Ciccillo si reca in un paesello, presso delle rovine, e perpetua il voto di restare in ginocchio fino al compimento della missione di evangelizzazione. Ninetto millanta la santità di Frate Ciccillo, e viene creduto dalle tre vecchie Sora Gramigna, Sora Micragna e Sora Grifagna. Così, di lì a poco, attorno al luogo di osservazione dell’immobile Ciccillo, viene costruito un altarino votivo, e sorge un vero e proprio mercato di reliquie, con tanto di cortei di storpi e infelici che vogliono farsi miracolate dal nuovo Santo. Ma ben presto Ciccillo si rivolta, e caccia i nuovi mercanti dal Tempio. Dopo varie false partenze, Ciccillo capisce che i passeri comunicano a balzelli, e balzando balzando, li educa all’Amore Celeste. Finalmente gioioso, Frate Ciccillo compone all’improvviso un nuovo Canto delle Creature, più ingenuo e meno ascetico di quello di San Francesco («Beato sii per questo monno, che ce ponno campà tutti, pure quelli che non ponno»). Proprio quando la missione sembra definitivamente compiuta, nel mezzo di un festeggiamento, i due fraticelli osservano un falchetto agguantare un passero e sbranarlo. Ciccillo e Ninetto sono presi dalla disperazione. Tornano da Frate Francesco, al quale Ciccillo spiega: «I falchi come falchi adorano il Signore. E pure i passeretti come passeretti, per conto loro je sta ‘bbene, l’adorano il Signore. Ma il fatto è che fra loro se sgrugnano, s’ammazzano. E che ce posso fa io se ci stà la classe dei falchi e quella dei passeretti, che non possono andare d’accordo tra loro?». Frate Francesco gli risponde che «tutto ce se po’fà», perché il mondo va cambiato, e profetizza l’avvento di un uomo dagli occhi azzurri (Marx) che cambierà il mondo, citando Il Capitale. I due fraticelli tornano, pazienti, alla loro missione.

Il racconto ha termine, e Totò e Ninetto sono presi da un bisogno corporale urgente, e si appartano dietro delle frasche per liberarsi. Il padrone del campo, aiutato da alcuni buzzurri, li minaccia, perché vuole che portino via dal suo campo quanto hanno appena prodotto. Scoppia una guerra, con tanto di spari con la doppietta da parte della moglie del padrone del campo. Mentre i due fuggono, si sentono in sottofondo rumori di cannoneggiamenti. I signori Innocenti si recano quindi in una orribile bicocca di loro proprietà, data in affitto a una poverissima famiglia di contadini, per ricevere il pagamento del mensile. Sono accolti da un uomo e una donna costretti a mangiare i nidi delle rondini e a tenere i bambini a letto tutto il giorno per non fargli chiedere da mangiare, dicendogli che «è ancora notte». Totò ha già pignorato ai contadini quasi tutto, e minaccia di adire le vie legali. Quindi, supplicato di avere pietà dalla povera contadina, se ne va ostentando disprezzo. Il Corvo gli dice di stare attenti ai pesci grossi che mangiano quelli piccoli.

Sulla strada i tre incontrano una compagnia di guitti la cui Cadillac s’è fermata. E nonostante gli sforzi di Totò e Ninetto, l’auto non riparte. La prima attrice partorisce all’ombra dell’automobile, e la bimba che nasce viene accolta dal gruppo con gioia e rassegnazione. Totò viene truffato da uno degli attori che gli rifila per callifugo un antifecondativo andato a male.

Successivamente, Totò e Ninetto si recano a casa di un Ingegnere, loro padrone di casa, dove trovano in pieno svolgimento il convegno di “Dentisti Dantisti”. Come profetizzato dal Corvo, il pesce grosso si accinge a mangiare il piccolo. Totò, prostrato a terra con Ninetto da due pastori tedeschi, spiega all’indolente Ingegnere che non può pagarlo, facendogli un elenco delle proprie disgrazie analogo a quello che la contadina aveva fatto a lui. Anche l’Ingegnere non si commuove, minaccia di fare finire i due in galera e poi se ne va. Totò e Ninetto maturano per qualche istante dei propositi di rivalsa sociale, e sulle note di Fischia il vento incontrano uomini di cui vediamo solo i piedi spuntare da poveri vestiti neri. Poi vediamo, in controcampo ai due, le immagini dei funerali di Togliatti.

Ormai stanco, il Corvo rinuncia a domandarsi quale sia la meta del peregrinare di Totò e Ninetto, i quali cominciano a provare nei suoi confronti una certa avversione: per prima cosa, sfidando il suo moralismo, entrambi si accoppiano con una prostituta che si chiama Luna, fingendo di andare a fare dei bisogni; poi, quando il Corvo comincia a parlare senza requie, tentano di seminarlo. Quando Totò si accorge che il Corvo si ostina a seguire lui e Ninetto, decide di mangiarlo, perché «tanto, se non ce lo mangiamo noi se lo mangia qualchedun’altro». Totò agguanta il Corvo e gli tira il collo. I due lo arrostiscono e lo mangiano con gusto. Poi «si allontanano di spalle, per la strada bianca, verso il loro destino, come nei film di Charlot», mentre un aereo sfreccia tra le nuvole.

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