« Quando nel 1945 sbarca in America, Simenon non conosce che l’inglese «dei piroscafi e degli alberghi», ma è fermamente deciso a ricominciare da zero: «… ho passato la vita a partire, forse perché non ho mai messo radici… Negli Stati Uniti non mi sono affatto sentito spaesato, anzi, ho avuto un’impressione di rinnovamento» scrive nel 1977 all’amico Fellini. Un rinnovamento radicale, non c’è che dire: non solo abbandona dopo un estenuante braccio di ferro Gallimard per le Presses de la Cité, ma incontra Denyse Ouimet (che diventerà sua moglie nel 1950, dopo il divorzio da Tigy) e si sposta senza tregua, stabilendosi in Canada, in Florida e poi in Arizona dove, nel 1949, scriverà Il mio amico Maigret, apparso in Francia quello stesso anno ».
♦ MAIGRET A NEW YORK (Maigret à New York, Presses Cité 1947), traduzione di Emma Bas, Gli Adelphi, n.167, marzo 2000. Pp. 169 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
… Nel frattempo Maigret non fece che pensare a Little John. Lo aveva visto per pochi istanti, si erano scambiati solo qualche banalità, eppure a un tratto si rese conto con una sorta di stupore che quell’uomo gli aveva fatto una grande impressione.
Se lo rivedeva davanti, piccolo e magro, vestito in modo fin troppo inappuntabile, con quella faccia quasi insignificante. Ma allora, che cosa poteva averlo colpito tanto?
Incuriosito, si sforzò di ricordare ogni minimo gesto di quell’omino asciutto e nervoso.
E improvvisamente ricordò i suoi occhi, e in particolare lo sguardo che Maura gli aveva rivolto all’inizio, quando, non sapendo ancora di essere osservato, aveva socchiuso la porta del salotto.
Little John aveva gli occhi freddi!
«Che diavolo ci sono venuto a fare in America? Stavo così bene nella mia casetta sulla Loira, a occuparmi dell’orto e a giocare a belote!» sospira Maigret, con l’aria ingrugnati del francese medio che trova il cibo poco appetitoso, la città invivibile, i colleghi locali poco collaborativi – e che, soprattutto, non è mai riuscito a imparare quella lingua impossibile… Ma se il commissario non è tagliato per i viaggi oltre oceano (in tutta la sua carriera ne farà solo un altro), Simenon negli Stati Uniti si è organizzato benissimo: in quei primi mesi del 1946, quando scrisse Maigret a New York (che apparirà a stampa nel 1947), ha già un avvocato, un agente letterario, un nuovo editore – e, last but not least (come dicono da quelle parti), un nuovo amore ».
♦ MAIGRET E LA VECCHIA SIGNORA (Maigret et la vieille dame, Presses Cité 1950), traduzione di Massimo Scotti, Gli Adelphi, n. 173, giugno 2000. Pp. 156 + 6 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
La luna doveva essere già sorta dietro la nebbia, che ora aveva una leggera luminescenza. Quando Arlette si voltò, Maigret vide la macchia chiara del suo viso e il tratto deciso, sanguigno, della bocca…
Sempre immobile davanti a lui, la giovane donna aggiunse allora con una voce diversa, che faceva male sentire:
«E… non vuole approfittarne, come gli altri?».
Maigret provò l’impulso di fare con Arlette quello che lei aveva fatto con la madre: schiaffeggiarla come una bambina perversa. Si limitò a stringerle un braccio con forza e a spingerla verso la discesa.
«Guardi che lo dicevo solo per lei».
«Stia zitta!».
«Ammetta che si sente tentato».
Le strinse ancora di più il braccio, con cattiveria.
«È sicuro che non avrà rimpianti?».
La sua voce era salita di un tono, si era fatta crudele, sarcastica.
«Ci pensi bene, commissario!».
« 1948: esce in Francia La neve era sporca, che riscuote un enorme successo. Simenon, dal suo esilio in Arizona, esulta. Il grande Dashiell Hammett dichiarerà che è lui il miglior autore di noir, registi e produttori se lo contendono, e nei primi mesi del 1949 l’editore Little Brown e l’ «Ellery Queen’s Magazine» gli conferiscono il primo premio per il racconto poliziesco. C’è un solo neo: i fantasmi del passato. Il Comité d’épuration des gens de lettres lo ha condannato: per due anni non potrà pubblicare, tenere conferenze, partecipare a trasmissioni radiofoniche, cedere diritti cinematografici, trarre in alcun modo profitto dalla sua attività letteraria. È in questo clima – fra esultanza e angoscia – che, nel dicembre del 1949, vede la luce Maigret e la vecchia signora, apparso in Francia l’anno successivo ».
♦ CÉCILE È MORTA (Cécile est morte, in Maigret revient, Gallimard 1942), traduzione di Germana Cantoni De Rossi, Gli Adelphi, n. 175, settembre 2000. Pp. 165 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Povera Cécile! Eppure era ancora giovane! Maigret aveva avuto per le mani i suoi documenti: ventott’anni appena. Ma era difficile immaginare una donna che avesse un’aria più da zitella di lei, che fosse meno aggraziata, malgrado tutta la buona volontà che ci metteva per rendersi attraente. Quei vestiti neri che sicuramente si confezionava da sé usando pessimi modelli… Quel ridicolo cappello verde sotto il quale era impossibile scorgere alcuna grazia femminile… Un volto pallidissimo e, come se tutto ciò non bastasse, un leggero strabismo…
Arrivava alle otto del mattino, già rassegnata alla lunga attesa.
«Il commissario Maigret, per favore…».
«Non so se verrà stamattina… Potrebbe parlare con l’ispettore Berger che…».
«No, grazie… Aspetterò…».
E aspettava tutta la giornata, senza muoversi, senza mostrare il benché minimo segno di impazienza, alzandosi di scatto, come in preda all’emozione, appena il commissario spuntava su dalle scale.
« 1941. «Cette putain de cinéma!» inveisce Simenon in una lettera a Gaston Gallimard: decisamente, con attori e produttori i suoi rapporti rimangono, negli anni, tutt’altro che idilliaci. Eppure non avrebbe davvero di che lamentarsi. Durante l’Occupazione è l’autore con il maggior numero di romanzi adattati per lo schermo: ben nove (e proprio l’aver lavorato per i tedeschi gli varrà, alla fine della guerra, l’accusa di collaborazionismo), fra cui questo Cécile è morta che, scritto a Nieul-sur-Mer durante l’inverno 1939-40 e apparso nel 1942, viene subito opzionato dalla Continental; il film, per la regia di Maurice Tourneur, uscirà nelle sale nel marzo del 1944 ».
♦ IL MORTO DI MAIGRET (Maigret et son mort, Presses Cité 1948), traduzione di Ida Sassi, Gli Adelphi, n. 179, novembre 2000. Pp. 185 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Era ridicolo quel piede senza scarpa, lì sul marciapiede, accanto all’altro con la scarpa di capretto nero. Era nudo, intimo. Non pareva appartenere a un morto. Maigret si allontanò e andò a raccogliere la seconda scarpa, rimasta a sei o sette metri dal corpo.
Dopo non disse più niente. Aspettava fumando. Altri curiosi si avvicinarono al gruppo, commentando a voce bassa. Poi il furgone si fermò vicino al marciapiede e due uomini sollevarono il cadavere. Sotto, il suolo era pulito, senza tracce di sangue.
«Lei ha finito, Lequeux, aspetto il suo rapporto».
Fu allora che Maigret prese possesso del morto. Salì sul furgone accanto all’autista e piantò in asso tutti.
Si comportò così per tutta la notte, e per tutta la mattina seguente: si sarebbe detto che il corpo gli appartenesse, che quel morto fosse il suo morto.
« La stesura di Il morto di Maigret, apparso in Francia nel 1948, risale al dicembre del 1947, quando Simenon viveva a Tucson, Arizona. E forse solo l’esilio poteva ispirargli un’inchiesta così nostalgica, in cui la topografia parigina ha la nitidezza ossessiva del ricordo. Perché se Maigret per nulla al mondo abbandonerebbe l’amato boulevard Richard Lenoir (la sola idea di “cambiare orizzonte” lo atterrisce), il “petit Albert”, il suo morto, non è diverso da lui. Braccato e in pericolo di vita, cerca rifugio nel suo quartiere, tracciando con i suoi frenetici spostamenti fra l’Hôtel de Ville, la Bastille e il faubourg Saint-Denis una mappa dell’angoscia che è insieme una dichiarazione di appartenenza ».
♦ MAIGRET VA DAL CORONER (Maigret chez le coroner, Presses Cité 1949), traduzione di Giulio Minghini, Gli Adelphi, n. 186, marzo 2001. Pp. 159 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Si era messo in testa di capire e avrebbe capito. Proprio così! Tanto per cominciare aveva scoperto il motivo per cui Harry Cole gli faceva perdere le staffe. L’uomo dell’FBI era persuaso che Maigret fosse un tipo in gamba nel suo paese, ma che lì, negli Stati Uniti, non potesse cavar fuori un ragno dal buco.
«Più Cole lo vedeva rimuginare più si divertiva. Maigret, invece, era convinto che gli uomini e le loro passioni fossero uguali dappertutto.
«Doveva smetterla di restare a bocca aperta davanti alle differenze, di stupirsi dei grattacieli, del deserto, dei cactus, degli stivali e dei cappelli da cow-boy, delle macchine per spedire le bilie in buca e dei grammofoni automatici.
«Go west, young man!». Lasciata la Florida al volante di una Packard, Simenon ha solo un breve momento di esitazione, poi decide: la sua meta sarà l’Arizona. Ci rimarrà per qualche anno, affascinato dalla luce, dal clima, dalla mentalità della gente. Scritto proprio a Tucson nel 1949, e apparso in Francia nello stesso anno, Maigret va dal coroner è il resoconto quasi letterale delle udienze di un’istruttoria preliminare alla quale lo scrittore aveva assistito, e dà modo a Simenon di esprimere, per bocca del commissario, alcune considerazioni tutt’altro che banali sull’American way of life. In America (tranne una volta, da pensionato) Maigret non tornerà più: a differenza del suo autore, non ama viaggiare.
♦ FÉLICIE (Félicie est là, in Signé Picpus, Gallimard 1944), traduzione di Ida Sassi, Gli Adelphi, n. 192, giugno 2001. Pp. 139 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Se ne sarebbe ricordato in seguito, di quell’attimo, e non sempre con piacere. Per anni, in certe ridenti mattine di primavera, i colleghi del Quai des Orfèvres avrebbero conservato l’abitudine di rivolgersi a lui con un misto di serietà e di ironia:
«Senti, Maigret…».
«Che c’è?…».
«C’è Félicie!».
E allora lui la rivedeva, sottile, con i suoi vestiti chiassosi, i grandi occhi color nontiscordardimé, il naso impertinente, e il cappello poi, quel terrificante cappellino rosso piazzato in cima alla testa con una lunga penna verde cangiante infilzata come una freccia.
«C’è Félicie!».
Il commissario sbuffava. Lo sapevano tutti che Maigret si metteva a sbuffare come un orso quando qualcuno gli ricordava Félicie, quella ragazza gli aveva dato più filo da torcere di tutti i «duri» che aveva spedito in galera.
« Nell’autunno del 1940 Simenon si trasferisce in Vandea, a Fontenay-le-Comte, dove, come semprre abbagliato da tutto ciò che spira opulenza e aristocrazia, affitta un’ala del cinquecentesco castello di Terre-Neuve. Michael Ragon, un ragazzo del luogo poi diventato scrittore, lo ricorda così: «Non che fosse bello. Di media statura, tarchiato, portava occhiali di tartaruga come un notaio e si pettinava alla moda, coi capelli tutti all’indietro. Ma le costose stoffe dei suoi abiti, le camicie fantasia, le cravatte sgargianti gli davano un aspetto attraente… Mi appariva come il prototipo stesso della distinzione, della disinvoltura, della ricchezza, della gioia di vivere». Qui, nell’estate del 1941, Simenon compone Félicie, pubblicato da Gallimard nel 1944 ».
♦ LA PRIMA INCHIESTA DI MAIGRET (La première enquête de Maigret (1913), Presses Cité 1949), traduzione di Alessio Catania, Gli Adelphi, n. 196, ottobre 2001. Pp. 178 + 6 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
A dire il vero, il mestiere che aveva sempre sognato non esisteva. Da ragazzo, al paese, aveva come l’impressione che un sacco di gente non fosse al posto suo, o prendesse una strada sbagliata unicamente perché non aveva le idee chiare.
E immaginava un uomo di infinita saggezza, e soprattutto di infinita perspicacia, al tempo stesso medico e sacerdote, un uomo in grado di intuire con un’occhiata il destino delle persone … Un uomo da consultare come si consulta un medico. Una specie di accomodatore di destini. E non solo perché intelligente – forse non aveva neanche bisogno di un’intelligenza eccezionale –, ma perché capace di vivere la vita di chiunque, di mettersi nei panni di chiunque.
Maigret non aveva mai parlato di questo con nessuno. Né osava pensarci troppo seriamente per paura di sentirsi ridicolo. Non potendo portare a termine gli studi di medicina, era comunque entrato nella polizia, per caso. Ma era stato poi veramente un caso? E i poliziotti non sono qualche volta proprio degli accomodatori di destini?
« Nell’autunno del 1948 Simenon convive – in un sobborgo di Tucson, Arizona, dall’esotico nome di Tumacacori – con tre donne: la moglie Tigy, l’amante Denyse, e la famosa Boule, l’indispensabile cuoca-governante: una situazione, come lui stesso ammetterà, «un po’ equivoca». Nel marzo di quell’anno scrive uno dei suoi romanzi più neri (e più belli), La neige était sale; in agosto, La fond de la bouteille; e in ottobre si mette a raccontare, come in un mito di fondazione, il “debutto” di Maigret: che vediamo qui, ventiseienne, appena sposato e non ancora commissario, abbozzare per la prima volta gesti e comportamenti che nel futuro romanzesco del personaggio sono già diventati suoi tratti distintivi. La prima inchiesta di Maigret apparve in Francia nel 1949 ».
♦ MAIGRET AL PICRATT’S (Maigret au Picratt’s, Presses Cité 1951), traduzione di Giulio Minghini, Gli Adelphi, n.200, novembre 2001. Pp. 177 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Attraverso la porta socchiusa, videro il dottor Pasquier che si rimetteva il cappotto e riponeva gli strumenti nella borsa. Sul tappetino bianco di pelle di capra, ai piedi del letto ancora intatto, giaceva un corpo: un abito di raso nero, un braccio bianchissimo, dei capelli dai riflessi ramati.
È sempre un dettaglio di poco conto a commuovere di più. In quel caso, Maigret si sentì stringere il cuore scorgendo, accanto a un piede che ancora calzava la scarpa dal tacco alto, l’altro piede scalzo, con le dita che si distinguevano attraverso il collant di seta chiazzato di fango e con una smagliatura che dal tallone saliva fin sopra il ginocchio.
« A Lakeville, un ameno villaggio di poco più di tremila anime sperduto tra i boschi e i laghi del Connecticut, Simenon assapora il fascino discreto della Nuova Inghilterra – e si sente davvero a casa: «Sembra di stare nei Vosseges e al tempo stesso nella foresta di Fointainebleau» scrive entusiasta l’8 agosto 1950. Da cinque anni vive negli Stati Uniti, e la tentazione di diventare «membro del club» è sempre più forte. «Georges Simenon… A new American» titola perentorio il «Lakeville Journal». Rinuncerà alle sue radici? Nell’immensa e stravagante Shadow Rock Farm, nel dicembre del 1950, viene composto Maigret al Picratt’s, apparso in Francia l’anno successivo ».
♦ LE MEMORIE DI MAIGRET (Les mémoires de Maigret, Presses Cité 1951), traduzione di Marco Bevilacqua, Gli Adelphi, n.207, marzo 2002. Pp. 143 + 7 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
«Lo so benissimo che questi libri sono pieni zeppi di imprecisioni tecniche. Inutile star lì a elencarle. Sappia che sono volute e gliene spiegherò la ragione … Provi a raccontare a qualcuno una storia qualsiasi. Se non la ritocca un po’, apparirà inverosimile, inventata. Con qualche aggiustatina, invece, sembrerà più vera di quanto non sia».
Enfatizzava queste ultime parole come se si trattasse di una scoperta sensazionale.
«Rendere le cose più vere di quanto non siano, tutto qua. Ed è proprio così che ho fatto con lei, Maigret: l’ho resa più vero di quanto non sia!».
Sulle prime restai senza fiato. Da quel povero commissario che ero (quello «meno vero di quanto non fosse»), non seppi cosa rispondere.
Nel frattempo il giovanotto, con ampi gesti e una punta di accento belga, cercava di dimostrarmi che le mie inchieste, così come le aveva raccontate lui, erano più plausibili – non escludo che abbia detto «più esatte» – di come le avevo vissute io.
« Per imperscrutabili alchimie della memoria, i cinque Maigret scritti nel corso del 1950 a Lakeville, Connecticut, sono tutti ambientati a Parigi. Fra questi ha un posto speciale Le memorie di Maigret, apparso a stampa l’anno seguente, in cui Simenon si diverte a creare un dissacrante gioco di specchi: perché qui è il personaggio a parlare in prima persona di se stesso e del suo autore, e a mettere i puntini sulle i con un tono fra il burbero, il burocratico e lo scherzoso. Con immenso spasso del lettore, peraltro, che finisce per sentirsi del tutto frastornato nel balenio ironico dei riflessi incrociati ».
♦ LA FURIA DI MAIGRET (Maigret se fâche, Presses Cité 1947), traduzione di Margherita Belardetti, Gli Adelphi, n. 212, giugno 2002. Pp. 145 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
La matassa era ingarbugliata, senza dubbio. Ernest Malik aveva ragione a guardare Maigret con quel sorrisetto tra il sarcastico e lo sprezzante. Quella faccenda non faceva per lui. Si sentiva a disagio. Era un mondo a lui estraneo, che stentava a ricostruire.
Anche l’ambiente gli dava ai nervi per quel tanto di artificioso che vi avvertiva. Ville imponenti con parchi deserti e persiane chiuse, giardinieri che andavano e venivano per i viali, e il pontile, le barche minuscole dalla vernice impeccabile, le auto lucide come specchi ferme nei garage…
E quei tipi pieni di sussiego, quei fratelli e quelle cognate che probabilmente si detestavano ma che, fiutato il pericolo, facevano quadrato contro di lui.
« Ville sontuose sulla Senna. Solidità e ricchezza. E gente altezzosa, gelidamente condiscendente: gente marcia, minacciosa, infettata dall’avidità. È in questo ambiente che, in La furia di Maigret (composto a Parigi nel giugno del 1945 e apparso due anni più tardi), il commissario, ormai in pensione, si trova catapultato. Soprattutto di fronte a Ernest Malik, il figlio dell’Esattore, e suo vecchio compagno di scuola. Perché l’irresistibile scesa di Malik è, come ogni passage de la ligne, responsabile di caos, disordine, anomia. È brutto, e deprimente, «vedere l’uomo completamente a nudo». Ma il piccolo borghese Maigret non può sottrarsi al suo compito: trovare un rimedio, sanare la ferita, conciliare ».
♦ MAIGRET E L’AFFITTACAMERE (Maigret en meublé, Presses Cité 1951), traduzione di Giulio Minghini, Gli Adelphi, n.214, settembre 2002. Pp. 164 + 8 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
A tutta prima aveva creduto che fosse un po’ svitata. Ora si chiedeva se quella esuberanza non fosse dovuta al fatto che lei recitava, non solo per ingannarlo, non solo per nascondergli qualcosa, ma per il puro piacere di interpretare un ruolo. «Si diverte molto, signorina Clément?». «Mi diverto sempre, commissario». Questa volta lo guardò con tutto il suo ritrovato candore. Nelle scuole femminili c’è quasi sempre almeno una ragazzina di una spanna più alta delle altre e con quelle stesse forme prosperose. A tredici o quattordici anni assomigliano a enormi bambole di pezza, con gli occhi chiari che non vedono niente della vita e un sorriso trasognato sulle labbra. Ma era la prima volta che Maigret ne conosceva una di quarant’anni. «
Il 19 febbraio del 1951 muore André Gide, il solo fra i suoi contemporanei che Georges Simenon abbia considerato un “maestro”. Con lui – caso rarissimo– Simenon si è aperto anche su argomenti molto intimi; a lui, in una lettera del ’48, ha confessato: «Fino al 1946… non ho mai parlato dell’amore se non come di un accidente, o addirittura di una malattia vergognosa… Da un anno a questa parte ho la sensazione di vivere una vita nuova, piena e succosa come un frutto». Con Denyse lo scrittore ha in fatti conosciuto la passione. E proprio una celata, dolente passione è la chiave di questo Maigret e l’affittacamere, che porta appunto la data del febbraio 1945 e che apparve a stampa lo stesso anno ».
♦ L’AMICA DELLA SIGNORA MAIGRET (L’amie de Madame Maigret, Presses Cité 1950), traduzione di Massimo Scotti, Gli Adelphi, n.218, novembre 2002. Pp. 164 + 8 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Prese un autobus al volo, e quando arrivò davanti alla porta di casa si stupì di non sentire i soliti rumori in cucina né odore di cibo. Entrò, passò per la sala da pranzo dove la tavola non era ancora apparecchiata, e alla fine trovò la signora Maigret che, in sottoveste, si stava togliendo le calze.
La situazione era così insolita che non disse neanche una parola, e lei, vedendo i suoi occhi sgranati, scoppiò a ridere.
«Seccato, Maigret?».
Nel suo tono c’era un buonumore quasi aggressivo che non le conosceva. Sul letto giacevano il suo vestito più elegante e il cappello delle grandi occasioni.
«Dovrai accontentarti di una cena fredda. Sono stata talmente occupata che non ho trovato il tempo di preparare niente. D’altra parte tu non torni quasi mai a mangiare in questi giorni!».
« Che sappiamo della signora Maigret? Non molto, a dire il vero. Che si chiama Louise, o forse Henriette. Che è originaria dell’Alsazia e grassottella. Che è un’ottima cuoca. Che vive in perenne attesa del marito, il quale, come ogni commissario che si rispetti, non ha orari. L’amica della signora Maigret, scritto a Carmel, California, nel dicembre 1949 e pubblicato in Francia l’anno seguente, ci riserva una sorpresa. Per la prima volta la devota, schiva consorte del commissario esce dall’ombra. Vuole rendersi utile. Indaga per suo conto, e con un certo successo. Zittisce il marito: «Non è roba da uomini». La signora Maigret ha perso la testa? Niente affatto. Semplicemente, è la moglie del più celebre commissario della Polizia giudiziaria. E vuole dimostrarlo ».
♦ MAIGRET E LA STANGONA (Maigret et la grande perche, Presses Cité 1951), traduzione di Emma Bas, Gli Adelphi, n. 222, febbraio 2003. Pp. 163 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Quel giorno, nella casa di rue de la Ferme, tutti i collaboratori di Maigret rimasero stupiti del suo comportamento. Fin dal mattino avevano notato qualcosa di inusuale nel modo in cui dirigeva le operazioni…
Quando aveva dato le disposizioni iniziali, il commissario aveva nello sguardo un lampo di gioia addirittura feroce; poi aveva sguinzagliato i suoi uomini per tutta la casa come se lanciasse una muta di cani su una pista fresca, incitandoli con l’atteggiamento più che a parole.
Ormai sembrava trattarsi di una questione personale fra lui e Guillaume Serre. Anzi, veniva quasi il sospetto che gli eventi avrebbero seguito un altro corso, che il commissario avrebbe preso una decisione diversa, e in un momento diverso, se il dentista di rue de la Ferme non fosse stato più vigoroso di lui, sia fisicamente che moralmente.
« In Maigret e la stangona (scritto a Lakeville, Connecticut, nel 1951 e apparso a stampa nello stesso anno) tre personaggi, che il commissario si trova di fronte e con i quali interagisce costantemente, acquistano uno spessore e una nettezza tali da renderli memorabili: Ernestine Jussiaume, detta la Stangona, l’ex prostituta schietta e sbrigativa che per proteggere il suo uomo che si è cacciato nei guai è finanche pronta a collaborare con la polizia; la vecchia e solo apparentemente mite signora Serre, inquietante figura di madre amorevole e possessiva; e soprattutto il dottor Serre, una specie di gigante taciturno che alla forza tranquilla di Maigret oppone la propria pacata, inattaccabile solidità ».
♦ MAIGRET, LOGNON E I GANGSTER (Maigret, Lognon et les gangsters, Presses Cité 1952), traduzione di Laura Frausin Guarino, Gli Adelphi, n. 230, giugno 2003. Pp. 169 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
In fondo Maigret non era poi così arrabbiato come voleva far credere. Pozzo era un osso duro, e la cosa non gli dispiaceva. Non gli dispiaceva neppure doversela vedere con dei tizi contro i quali la polizia americana si era rotta le corna. Veri duri, che giocavano pesante. MacDonald non aveva forse detto che Cinaglia era un killer? Non sarebbe stato male, di lì a qualche giorno, telefonare a Washington e dire, con aria distaccata: «Hello, Jimmy!… Li ho incastrati!».
« Jean Gabin interpretò, fra il 1959 e il 1963, tre film ispirati alle inchieste di Maigret: Maigret tend un piège, di Jean Delannoy; Maigret et l’affaire Saint-Fiacre, ancora di Delannoy; e Maigret voit rouge, tratto da Maigret, Lognon et les gangsters, per la regia di Gilles Grangier. È un Maigret storico, quello di Gabin, che riscuote anche il plauso di Simenon: «Gabin ha fatto un lavoro sbalorditivo, che mette persino un po’ a disagio: non riuscirò più a vedere Maigret se non con la sua faccia». Scritto a Lakeville (Connecticut), nel settembre del 1951, Maigret, Lognon e i gangster apparve in Francia l’anno seguente ».
♦ LA RIVOLTELLA DI MAIGRET (Le revolver de Maigret, Presses Cité 1952), traduzione di Pia Cillario, Gli Adelphi, n.234, settembre 2003. Pp. 165 + 7 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Erano tutti troppo disinvolti, troppo sicuri di sé. Il più esasperante era il responsabile della reception, con la sua marsina impeccabile e il colletto duro non sciupato dal sudore. Aveva preso in simpatia Maigret, o forse provava pena per lui, e di tanto in tanto gli rivolgeva un sorriso di complicità e insieme di incoraggiamento, come se, al di sopra del viavai degli anonimi clienti, gli dicesse: «Siamo tutti e due vittime del dovere professionale. Posso fare qualcosa per lei?».
Maigret gli avrebbe volentieri risposto: «Portarmi un panino».
Aveva sonno, caldo e fame. Quando, pochi minuti dopo le tre, aveva chiesto un altro bicchiere di birra, il cameriere si era mostrato scandalizzato come se l’avesse visto entrare in chiesa in maniche di camicia.
«Mi dispiace, sir. Il bar è chiuso fino alle cinque e mezzo, sir!».
Il commissario aveva borbottato qualcosa come: «Selvaggi!».
Nel giugno del 1952, quando scrive La rivoltella di Maigret (che apparirà alla fine dello stesso anno), Simenon è appena tornato da un lungo tour europeo, nel corso del quale ha ricevuto, prima in Francia e poi nel suo paese natale, un’accoglienza trionfale: è stato omaggiato, acclamato, intervistato, e finanche eletto membro della reale Accademia di lingua e letteratura francese del Belgio. Peccato solo, come annota il suo più autorevole biografo, Pierre Assouline, che quel viaggio abbia «dato alla testa» alla moglie Denyse, che ormai «si è convinta di essere Madame Georges Simenon, mentre lui stesso ha sempre fatto fatica a convincersi di essere Georges Simenon»…
♦ MAIGRET A SCUOLA (Maigret à l’école, Presses Cité 1954), traduzione di P. N. Giotti, Gli Adelphi, n. 239, novembre 2003. Pp. 158 + 8 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Maigret procedeva con estrema cautela e aveva l’impressione di camminare sulle sabbie mobili. Non poteva andare troppo in fretta. Una parola sbagliata e il ragazzino si sarebbe irrigidito, e a quel punto non gli avrebbe più cavato fuori niente.
«Soffri perché non sei come gli altri?».
«E perché sarei diverso dagli altri? Chi gliel’ha detto?».
«Immagina che io abbia un figlio che va a scuola, che gioca per le strade del quartiere. I suoi compagni direbbero:
«“È il figlio del commissario!”.
«E lo tratterebbero in modo diverso dagli altri. Mi capisci?
«Tu sei il figlio del maestro».
Il ragazzino lo guardò più a lungo, con maggiore insistenza.
« All’approssimarsi del suo cinquantesimo compleanno, Simenon accetta di ospitare per cinque giorni a Shadow Rock Farm il giornalista Brendan Gill. Da questo colloquio-bilancio nascerà uno dei celebri profiles del «New Yorker», apparso nel gennaio del 1953: tredici pagine calibratissime, frutto di una sapiente regia (Simenon rivela ad esempio che un racconto di Natale, scritto in due giorni, gli ha fruttato qualcosa come 30.000 dollari), e destinate, insieme al reportage di poco successivo di «Life», a consacrare ufficialmente anche negli Stati Uniti la sua immagine di scrittore. A quello stesso 1953 risale la stesura di Maigret a scuola, pubblicato in Francia l’anno successivo ».
♦ MAIGRET SI SBAGLIA (Maigret se trompe, Presses Cité 1953), traduzione di Barbara Bertoni, Gli Adelphi, n. 244, febbraio 2004. Pp. 161 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Nel corso della sua carriera Maigret aveva interrogato migliaia, decine di migliaia di persone: alcune occupavano posizioni di prestigio, altre erano famose per la loro ricchezza e altre ancora figuravano tra i più intelligenti criminali internazionali.
Eppure attribuiva a quell’interrogatorio un’importanza che non aveva mai attribuito a nessun altro, e non per la posizione sociale di Gouin né per la fama di cui godeva in tutto il mondo.
Capiva che Lucas fin dall’inizio del caso si chiedeva perché non andasse direttamente a fare delle domande precise al professore, e che ancora adesso il brav’uomo era sconcertato dal malumore del capo.
Maigret non poteva confessare la verità né al suo ispettore né ad altri, e nemmeno a sua moglie. A essere sinceri, non osava formularla chiaramente neanche a se stesso.
« Nel corso del 1953 Simenon scrive tre romanzi che hanno come protagonista il famoso commissario: il primo è appunto Maigret si sbaglia, che, terminato in marzo, verrà pubblicato lo stesso anno. Ma scrive anche tre «romanzi-romanzi». La stesura (che avviene in uno stato di trance) dura non più di due settimane. Quello che invece Simenon trova intollerabilmente noioso è rileggersi. Pur sapendo che si tratta di un’operazione indispensabile per eliminare le eventuali scorie “letterarie”, detesta passare alcune ore «seduto sul suo povero didietro a fare un lavoro da maestrina». E ammette che sono proprio i Maigret a dargli più grattacapi, visto che li scrive direttamente a macchina ».
♦ MAIGRET HA PAURA (Maigret a peur, Presses Cité 1953), traduzione di Rossella Daverio, Gli Adelphi, n. 253, giugno 2004. Pp. 163 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
«L’atmosfera della città restava inquietante. La gente sbrigava le faccende di sempre, ma nello sguardo dei passanti si coglieva una certa angoscia: sembrava che camminassero più in fretta, come per paura di veder spuntare di colpo l’assassino. Maigret avrebbe giurato che di solito le casalinghe non stavano in gruppo sulle porte, come facevano adesso, a parlare sottovoce tra di loro.
«Tutti lo seguivano con lo sguardo e a lui sembrava di leggere sui visi una domanda silenziosa. Avrebbe fatto qualcosa? O lo sconosciuto avrebbe potuto continuare a uccidere impunemente?
«Alcuni gli rivolgevano un saluto timido, come per dirgli:
«Sappiamo chi è lei. Ha fama di condurre in porto le inchieste più difficili. E non si lascerà impressionare da certi personaggi, lei».
« Il diario di un amico di Simenon, Maurice Dumoncel, ci permette di entrare nell’immensa ed eccentrica Shadow Rock Farm di Lakeville, nel Connecticut, dove Maigret ha paura fu scritto nel marzo del 1953 (e la prima edizione è di quello stesso anno): «Locali ampi, letto immenso (matrimoniale), bagni, cucine, biancheria, ecc. … Governante, segretaria, cameriera di colore giovane e bella, cuoca, aiuto cuoca. Un tenore di vita da milionari. È lo stesso Simenon a farmelo notare, non senza un certo compiacimento: tanto ormai non potrebbe più rinunciarvi. Colazione semplice e raffinata in una sala da pranzo quasi europea: dal caviale alla charlotte al cioccolato. Il vino, un borgogna, è solo per me e John Sargent quando viene ».
♦ MAIGRET E L’UOMO DELLA PANCHINA (Maigret et l’homme du banc, Presses Cité 1953), traduzione di Lucia Incerti Caselli, Gli Adelphi, n. 255, settembre 2004. Pp. 171 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ).
Ma c’era anche la questione delle scarpe gialle. Quelle scarpe c’entravano forse qualcosa con l’interesse che Maigret provava nei confronti del signor Louis? Il commissario non osava confessarlo a se stesso. Anche lui, per anni, aveva sognato di indossare delle scarpe color becco d’oca. All’epoca erano di moda, insieme a quei cappotti color beigiolino talmente corti da sembrare giacche da camera.
Una volta, appena sposato, aveva deciso di comprarsi delle scarpe gialle, ma già solo a entrare nel negozio si era quasi sentito arrossire. Guarda caso, era proprio il negozio in boulevard Saint Martin, di fronte al Théâtre de l’Ambigu. Non aveva osato metterle subito, e quando a casa aveva scartato il pacchetto davanti alla moglie, la signora Maigret l’aveva guardato lasciandosi scappare una risatina.
«Non avrai per caso intenzione di metterle?».
Non se le mise mai. Sua moglie andò a restituirle al negozio, con la scusa che gli facevano male.
« Come tutti i grandi scrittori, Simenon sapeva che ogni personaggio – anche se è soltanto una comparsa – ha diritto un nome che “suoni giusto”; e spesso ripescava dal fondo della memoria nomi di persone che aveva incrociato nel corso della sua vita. Maigret e l’uomo della panchina (scritto negli Stati Uniti nel 1952 e apparso a stampa l’anno seguente) ci riserva due di questi piccoli clins d’oeil: un ispettore della Buoncostume, Dumancel, e un poliziotto ucciso in servizio, Machère, portano il nome del direttore delle collane di romanzi popolari e quello del segretario generale della maison Tallandier, una delle prime case editrici che avevano accettato di pubblicare i suoi libri alla fine degli anni Venti ».
♦ LA TRAPPOLA DI MAIGRET (Maigret tende un piège, Presses Cité 1955), traduzione di Luciana Cisbani, Gli Adelphi, n. 259, novembre 2004. Pp. 163 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret ). Questa edizione esibisce una fascetta di colore blu con la scritta: «Da questo romanzo il film per Canale 5 interpretato da Sergio Castellitto».
A mano a mano che il tempo passava, tutti cominciavano a dar segni di nervosismo e perfino Maigret perdeva un po’ la sua sicurezza.
Niente lasciava supporre che proprio quella sera sarebbe successo qualcosa. Anche se l’assassino avesse deciso di uccidere di nuovo per far sapere di essere sempre in libertà, avrebbe benissimo potuto agire la sera seguente, o quella dopo ancora, oppure otto o dieci giorni più tardi. Ed era impensabile tenere mobilitati a lungo tutti quei poliziotti.
Altrettanto impensabile era riuscire, per un’intera settimana, a mantenere un segreto condiviso da tante persone.
E se invece l’uomo avesse deciso di agire subito?…Quando gli sarebbe scattato il raptus? In quel momento, mentre loro erano occupati a tendergli una trappola, per tutti quelli che avevano a che fare con lui era un uomo come gli altri. C’era chi gli parlava, o lo serviva a tavola, o gli stringeva la mano. E lui rispondeva, sorrideva, forse rideva anche.
« Nel febbraio del 1955 Simenon decide, praticamente da un giorno all’altro, di lasciare gli Stati Uniti e di stabilirsi con tutta la famiglia in Costa Azzurra. Da quel momento è di umore euforico: «Hip hip hip urrà!» scrive a Sven Nielsen, il suo editore. «Mi sento come un pesciolino nell’acqua!». Poche settimane dopo ha già traslocato alla Gatounnière, una sontuosa villa a sette chilometri da Cannes. Non ci resterà a lungo: di lì a qualche mese, riafferrato dalla sua irrequietezza, cambierà di nuovo casa (in una delle ultime interviste dirà a Bernard Pivot di averne avuto in tutto trentatré). Nel frattempo però avrà scritto due romanzi “duri” e questo formidabile La trappola di Maigret, che sarà pubblicato nell’autunno dello stesso anno ».
♦ MAIGRET E IL MINISTRO (Maigret chez le ministre, Presses Cité 1955), traduzione di Fernanda Littardi, Gli Adelphi, n. 263, marzo 2005. Pp. 177 + 4 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Allora Maigret fece qualcosa che avrebbe potuto costargli caro. Perché non aveva niente da guadagnare, e semmai tutto da perdere, a misurarsi con un avversario potente e scaltro come Mascoulin.
Quello, in piedi, gli stava tendendo la mano. In un lampo il commissario si ricordò di Point e della storia delle mani sporche.
Non stette a considerare i pro e i contro, prese la tazza del caffè ormai vuota e se la portò alle labbra, ignorando la mano che gli veniva offerta.
Lo sguardo del deputato si incupì e il fremito all’angolo della bocca, lungi dall’attenuarsi, si accentuò.
Disse soltanto:
«Arrivederla, signor Maigret».
Aveva intenzionalmente calcato sul «signor», come parve al commissario? Se sì, era una minaccia appena camuffata, perché significava che Maigret non si sarebbe fregiato ancora a lungo del titolo di commissario.
« Nei confronti della politica e di chi la fa Jules Maigret nutre esattamente la stessa diffidenza che ha sempre caratterizzato l’atteggiamento del suo creatore. In questo Maigret e il ministro, scritto a Lakeville, nel Connecticut, nell’aprile del 1954 e apparso a stampa lo stesso anno (in un’edizione a tiratura limitata mentre quella più comune è del 1955), Maigret si trova, suo malgrado, a dover indagare su una torbida vicenda in cui sono coinvolti uomini politici pronti a usare qualunque mezzo, compreso il ricatto, per accrescere il proprio potere, giornalisti privi di scrupoli, ex poliziotti corrotti, loschi faccendieri, funzionari ministeriali avvezzi a ogni intrigo: il che consente a Simenon di fustigare, per bocca del suo commissario, la decadenza dei costumi politici della Quarta Repubblica ».
♦ MAIGRET E LA GIOVANE MORTA (Maigret et la jeune morte, Presses Cité 1954), traduzione di Laura Frausin Guarino, Gli Adelphi, n. 271, giugno 2005. Pp. 163 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Maigret non voleva ammetterlo, ma quello che lo lasciava più perplesso era il volto della vittima. Per il momento, ne conosceva un solo profilo. Che fossero le contusioni a darle quell’espressione imbronciata? Sembrava una bambina, una bambina di cattivo umore. I capelli scuri, morbidissimi, buttati indietro, erano naturalmente ondulati. Sotto la pioggia, il trucco si era un po’ sciolto, e questo, anziché invecchiarla o imbruttirla, la rendeva ancora più giovane e attraente.
« Che Maigret intrattenga con Torrence, Lucas, Janvier e, soprattutto, il giovane Lapointe rapporti di tipo più familiare che professionale, e che i suoi fidi collaboratori vedano in lui le patron e insieme una sorta di padre è evidente a tutti i fedeli lettori delle inchieste. Ma il lato paterno del commissario non è meno evidente nei casi in cui la vittima sia una giovane donna, soprattutto se fragile e misteriosa, dal passato oscuro e terribile: come la Arlette di Maigret al Picratt’s – e come la Louise Laboine di Maigret e la giovane morta, scritto a Lakeville nel gennaio del 1954 e pubblicato in Francia quello stesso anno. Forse perché i Maigret hanno perso una bambina di pochi mesi? »
♦ MAIGRET PRENDE UN GRANCHIO (Un échec de Maigret, Presses Cité 1956), traduzione di Carla Scaramella, Gli Adelphi, n. 273, settembre 2005. Pp. 154 + 4 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Mentre si faceva la barba, Maigret si sentiva in colpa. Forse perché provava un astio personale nei confronti di Fumal? A un tratto si domandò se aveva compiuto fino in fondo il suo dovere. Il macellaio all’ingrosso si era presentato per chiedergli protezione. Certo, si era comportato in modo aggressivo, si era fatto raccomandare dal ministro e aveva rivolto al commissario minacce appena velate.
Ciò nonostante lui era tenuto a fare il suo mestiere. Aveva davvero fatto tutto il possibile? Si era recato di persona in boulevard de Courcelles, ma non si era preso la briga di controllare ogni porta, ogni uscita, pensando di rimandare quel compito al giorno dopo, così come quello di interrogare i domestici uno per uno …
Avrebbe agito diversamente se l’uomo non gli fosse stato antipatico, se non avesse avuto un vecchio conto in sospeso con lui, se si fosse trattato di qualunque altro importante uomo d’affari di Parigi?
« Nel marzo del 1956, quando scrive Maigret prende un granchio (che apparirà a stampa pochi mesi dopo), Simenon si è già stancato di quella che al suo arrivo in Europa, un anno prima, gli era sembrata la casa dei suoi sogni, La Gâtounière a Mougins, e si è trasferito con l’intera famiglia al Golden Gate, una grande villa sulle alture di Cannes. Ma neanche qui resterà a lungo; ben presto l’irrequietezza lo spingerà di nuovo a cambiare, e nella primavera del 1957 deciderà di andare a vivere in Svizzera, dove nel corso di un viaggio a bordo della sua macchina nuova (una Mercedes cabriolet 300S decappottabile) ha adocchiato, a venti chilometri da Losanna, una dimora degna di lui: il castello di Échandens ».
♦ MAIGRET E IL CORPO SENZA TESTA (Maigret et le corps sans tête, Presses Cité 1955), traduzione di Margherita Belardetti, Gli Adelphi, n. 277, ottobre 2005. Pp. 169 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
«Ce l’hai?».
«Credo».
«Una cima?».
«Non ne ho la minima idea».
Jules Naud aveva agganciato qualcosa con la sua gaffa. Dopo un po’ riuscì a smuovere l’oggetto e nuove bolle d’aria salirono in superficie.
Lentamente estrasse la pertica, e quando l’arpione arrivò a pelo dell’acqua affiorò uno strano pacchetto legato con lo spago, con la carta di giornale ormai a brandelli.
Era un braccio umano, intero, dalla spalla alla mano: in acqua aveva assunto un colorito livido e una consistenza da pesce morto.
« Lo stile e i procedimenti narrativi impiegati nei Maigret conoscono nel tempo una sensibile evoluzione: le descrizioni, in particolare, si assottigliano, lasciando sempre più spazio ai dialoghi, il che, oltre a dare al lettore l’illusione di condurre un’indagine parallela a quella del commissario, consente a Simenon di rivelare “in diretta” la psicologia dei personaggi. È in virtù di tale evoluzione che i Maigret appaiono via via più simili ai romans durs, cui li accomuna ormai il progetto di mostrare «l’uomo nudo». Composto a Lakeville (Connecticut) nel gennaio 1955, Maigret e il corpo senza testa è apparso in Francia quello stesso anno ».
♦ MAIGRET SI DIVERTE (Maigret s’amuse, Presses Cité 1957), traduzione di Valeria Fucci, Gli Adelphi, n. 282, marzo 2006. Pp. 159 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Sui giornali del mattino non c’era nulla. Si accontentavano di riproporre, con minori dettagli, quanto pubblicato il giorno prima sui fogli della sera.
Improvvisamente si era creato un vuoto, come se il caso fosse giunto a un punto morto. Si sentiva frustrato. Il suo primo pensiero fu: «Ma che diavolo fanno?».
Pensava a Janvier e agli altri del Quai des Orfèvres: risolvere il problema era il loro mestiere, no? Passarono diversi minuti prima che il suo senso dello humour riprendesse il sopravvento e lui riuscisse a farsi beffe di se stesso.
Aveva reagito da lettore medio: non gli avevano servito la sua sbobba biquotidiana e ne era indispettito. Per un momento, al pari del grande pubblico, aveva avuto l’impressione che la polizia non facesse il suo dovere…
« In questo Maigret si diverte (scritto a Cannes nel 1956 e apparso l’anno seguente) a divertirsi, più ancora del commissario, è l’autore stesso – e il lettore con lui. Avendo deciso di mettere il proprio eroe nella condizione di non poter recarsi né tefonare in ufficio (Maigret ha giurato alla moglie di prendersi due settimane di ferie, sia pur rimanendo a Parigi), Simenon deve trovare tutti gli stratagemmi narrativi per far sì che il commissario scopra l’assassino con i soli elementi che apprende dai giornali, come un qualsiasi uomo delle strada. Maigret si trasforma così in un detective dilettante; e arriva al punto da inviare a Janvier, che lo sostituisce, delle lettere anonime ».
♦ GLI SCRUPOLI DI MAIGRET (Les scrupules de Maigret, Presses Cité 1958), traduzione di Margherita Belardetti, Gli Adelphi, n.290, giugno 2006. Pp. 155 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Maigret non sapeva da che parte cominciare, un po’ come il tizio di quella mattina. «Anche se lei non è specializzato in psichiatria, mi piacerebbe sentire il suo parere su una storia che mi hanno appena raccontato. È venuto in ufficio da me un uomo sulla quarantina, apparentemente normale. Mi ha parlato senza scalmanarsi, senza esagerare, misurando le parole. È sposato da dodici o tredici anni, se ben ricordo, e da ancora più tempo abita in avenue de Châtillon». Pardon, che si era acceso una sigaretta, ascoltava con attenzione. «Si occupa di treni elettrici». È ingegnere ferroviario?». «No, intendevo i trenini giocattolo»… «Che delitto ha commesso?». «Nessuno, almeno credo. È venuto a dirmi che sua moglie, da un po’di tempo, ha intenzione di ucciderlo».
Che Simenon avesse il pallino della medicina è cosa nota: non solo ha spesso dichiarato che se non fosse diventato scrittore avrebbe fatto il medico, ma ha addirittura prestato questa sua mania a Maigret (che ha dovuto interrompere gli studi alla Facoltà di Medicina di Nantes). Meno noto è forse che Simenon aveva una grande passione anche per la psichiatria, tanto che ha a lungo sognato di incontrare Jung – il quale peraltro adorava i suoi romanzi. Ed è un vero e proprio caso clinico quello che il commissario deve affrontare in Gli scrupoli di Maigret – scritto a Noland nel dicembre 1957 e apparso in Francia l’anno successivo –, preludio a L’ours en peluche (1960) e, soprattutto, a Les anneaux de Bicêtre (1962), che indagheranno «il più sconcertante degli esseri: l’uomo malato».
♦ MAIGRET E I TESTIMONI RECALCITRANTI (Maigret et les témoins récalcitrants, Presses Cité 1959), traduzione di Ugo Cundari, Gli Adelphi, n. 293, settembre 2006. Pp. 155 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Dopo tanti anni nella polizia, certo non credeva più a Babbo Natale, né alla morale edificante dei libri di favole e alle illustrazioni di Épinal, con i ricchi da una parte e i poveri dall’altra, gli onesti e i mascalzoni, e le famiglie modello riunite, come dal fotografo, attorno al patriarca sorridente.
Eppure, senza rendersene conto, ritornava spesso con la memoria alla sua infanzia, e davanti a certe realtà rimaneva scosso come un ragazzino.
Raramente lo era stato altrettanto. In casa Lachaume si era davvero sentito mancare il terreno sotto i piedi e ancora adesso aveva in bocca un sapore amaro e provava il bisogno di riprendere possesso del suo ufficio, di installarsi pesantemente dietro la sua scrivania, di accarezzare le sue pipe – come per assicurarsi dell’esistenza di una realtà quotidiana.
« Nell’ottobre del 1958, quando scrive Maigret e i testimoni recalcitranti (apparso a stampa l’anno seguente), Simenon è sull’orlo della depressione: il suo secondo matrimonio sta andando in pezzi, e la moglie sprofonda ogni giorno di più nella nevrosi e nell’alcolismo. Neanche Maigret è di buonumore, in questi primi giorni di novembre, costretto com’è a indagare su un omicidio avvenuto nella periferia di Parigi, in una casa che ha «qualcosa di cupo, di opprimente», dove tutti gli oppongono un ostinato silenzio; e poi, di colpo, a due anni dalla pensione, si sente vecchio, e come se non bastasse gli è stato affiancato un giovane giudice istruttore che pretende di condurre l’inchiesta a modo suo ».
♦ MAIGRET IN CORTE D’ASSISE (Maigret aux Assises, Presses Cité 1960), traduzione di Laura Frausin Guarino, Gli Adelphi, n. 299, ottobre 2006. Pp. 137 + 3 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
D’improvviso ci si trovava immersi in un universo spersonalizzato, dove le parole di tutti i giorni erano come monete fuori corso, dove i fatti più quotidiani si traducevano in formule oscure. La toga nera dei giudici, l’ermellino, la toga rossa dell’avvocato generale accentuavano ancor più quell’impressione di rituale immutabile dove l’individuo veniva annullato.
Eppure il presidente Bernerie conduceva i dibattimenti con la massima pazienza e umanità. Non metteva fretta ai testimoni, non li interrompeva quando sembravano dilungarsi in dettagli inutili.
Con altri magistrati, più rigidi, a Maigret era capitato di stringere i pugni per la stizza e l’impotenza.
Anche oggi sapeva di aver dato solo un riflesso spento, schematico, della realtà. Tutto ciò che aveva appena detto era vero, ma non era riuscito a far sentire il peso delle cose, la loro intensità, il loro fremito, il loro odore.
« Se nelle prime inchieste il commissario mostra una spiccata tendenza ad assumere il ruolo di giustiziere – si pensi a Liberty Bar, del 1932 – in quelle del dopoguerra, e in particolare in Maigret in Corte d’Assise (scritto nel novembre del 1959 e pubblicato l’anno successivo), a essere messo in discussione è lo stesso apparato giudiziario: soprattutto, Maigret ha sempre meno fiducia nei processi, rituali immutabili dove l’individuo viene riassunto in poche frasi e annullato. «Comprendere e non giudicare» (Simeon se l’era fatto stampare sugli ex-libris) potrebbe dunque essere anche il motto di Maigret: un ideale di giustizia forse utopistico, ma non sprovvisto di calore umano ».
♦ MAIGRET E IL LADRO INDOLENTE (Maigret et le voleur paresseux, Presses Cité 1961), traduzione di Andrea Forti, Gli Adelphi, n. 302, marzo 2007. Pp. 141 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Maigret aveva dovuto occuparsi di Honoré Cuendet altre due volte, la seconda dopo un grosso furto di gioielli in rue de la Pompe, a Passy.
Il fatto era avvenuto in un appartamento di lusso in cui, oltre ai proprietari, vivevano tre domestici. La sera prima i gioielli erano stati appoggiati su una toeletta, nel boudoir attiguo alla stanza da letto, la cui porta era rimasta aperta tutta la notte.
Né il signore né la signora D, che pure dormivano nel loro letto, avevano sentito alcunché. La cameriera, che dormiva allo stesso piano, era sicura di aver chiuso la porta a chiave e di averla trovata la mattina dopo chiusa allo stesso modo. Nessuna traccia di scasso. Nessuna impronta.
Dato che l’appartamento si trovava al terzo piano, era impossibile che qualcuno vi si fosse arrampicato. E non c’era neanche un balcone che permettesse di raggiungere il boudoir da un appartamento vicino.
«La serie dei “Maigret”» scriveva del marzo del 1962 l’autorevole critico letterario dell’«Express» Boileau-Narcejac «è ormai confluita nell’opera di Simenon. Fra un romanzo come Maigret e il ladro indolente e un romanzo come Il treno non ci sono più differenze sostanziali. Invecchiando, Maigret si confonde con il Simenon dell’età matura». Anche in questo Maigret e il ladro indolente (scritto nel gennaio 1961 e apparso in quello stesso anno), più che la soluzione dell’enigma poliziesco, al commissario (e a Simenon) interessa penetrare il mistero di una personalità davvero fuori dell’ordinario ».
♦ MAIGRET SI CONFIDA (Une confidence de Maigret, Presses Cité 1959), traduzione di Margherita Belardetti, Gli Adelphi, n.311, giugno 2007. Pp. 152 + 6 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
E se quella sera Maigret aveva iniziato di colpo a parlare era per distogliere l’amico dai suoi pensieri, certo, ma soprattutto perché la telefonata ricevuta da Pardon aveva risvegliato in lui sentimenti non dissimili da quelli che agitavano il dottore.
Non era senso di colpa: Maigret, del resto, detestava quell’espressione. Ma neppure rimorso.
Entrambi erano a volte costretti, in virtù del mestiere che avevano scelto, a prendere una decisione da cui dipendeva il destino degli altri. Nel caso di Pardon un destino di vita o di morte.
Nel loro atteggiamento non c’era nulla di romantico. Né sconforto, né ribellione. Solo una certa serietà venata di malinconia.
« Nel corso di un’intervista rilasciata nel 1975 a Francis Lacassin, Simenon ha dichiarato: «Non credo che ci siano colpevoli. L’uomo è così disarmato nei confronti della vita che immaginarlo colpevole significa quasi farne un superuomo. Non biasimo un capo di Stato perché è un Rastignac orgoglioso e pronto a sacrificare tutto sull’altare della sua misera gloria più di quanto non biasimi un barbone perché vive sotto i ponti e magari frega un portafoglio. Ci sono persone che sono spinte al crimine dalla società». Dichiarazione illuminante, che spiega come mai Maigret sia un vittimologo non meno che un detective. Scritto nel maggio del 1959, Maigret si confida è apparso in quello stesso anno ».
♦ MAIGRET SI METTE IN VIAGGIO (Maigret voyage, Presses Cité 1957), traduzione di Leopoldo Carra, Gli Adelphi, n. 314, settembre 2007. Pp. 159 + 7 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Quella gente gli dava sui nervi, c’era poco da fare. Di fronte a loro era nella stessa posizione dell’ultimo arrivato in un club, per esempio, o in una classe, che si sente impacciato perché non conosce ancora le regole, le abitudini, le parole d’ordine, ha vergogna e pensa sempre che gli altri lo prendano in giro.
Era convinto che John T. Arnold, così disinvolto, a suo agio con banchieri e re in esilio, a Londra come a Roma, a Berlino come a New York, si fosse divertito della sua goffaggine e l’avesse trattato con una condiscendenza lievemente compassionevole.
Al pari di tutti, forse anzi meglio di tanti altri visto il mestiere che faceva, Maigret sapeva come si trattano certi affari e come si vive in certi ambienti.
Ma era una conoscenza teorica, non vissuta in prima persona. E c’erano dei particolari che lo disorientavano.
Per la prima volta aveva l’occasione di entrare in contatto con un mondo a parte, di cui la gente comune apprende qualcosa solo grazie ai pettegolezzi dei giornali.
« Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, Simenon ha intensamente frequentato il bel mondo parigino – e non solo quello. Ha conosciuto (vi accenna nelle Memorie intime) «banchieri, proprietari di giornali, produttori»; ha pranzato «con ogni sorta di personaggi i cui nomi si leggono sui giornali». Eppure non se ne trovano molti, di personaggi così, nei suoi romanzi. «Lo stesso Maigret» ci tiene a precisar Simenon «li avvicinava solo quando vi era assolutamente costretto dalle sue indagini, ma lo faceva con riluttanza e si sentiva a disagio». Come il lettore potrà constatare in questo Maigret si mette in viaggio, scritto nell’estate del 1957 e apparso a stampa l’anno seguente ».
♦ MAIGRET E IL CLIENTE DEL SABATO (Maigret et le client du samedi, Presses Cité 1962), traduzione di Giovanna Rizzarelli, Gli Adelphi, n.319, novembre 2007. Pp. 136 + 6 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
«Una volta, circa due anni fa, sono tornato a casa all’improvviso e ho trovato mia figlia da sola in cucina… Mi sembra di rivederla… Era seduta per terra… Le ho chiesto:
“Dov’è la mamma?”.
Lei ha risposto, indicando la camera da letto:
“Di là!”.
Aveva solo cinque anni. Loro due non mi avevano sentito arrivare e li ho trovati mezzi nudi. Prou sembrava scocciato. Mia moglie, invece, mi ha guardato dritto negli occhi.
“Ecco! Finalmente lo sai!…” ha detto».
Nel castello di Echandens, dove Maigret e il cliente del sabato è stato scritto nel febbraio del 1962 – e dello stesso anno è l’uscita a stampa –, Simenon riceve non di rado la visita di illustri colleghi: come W. Somerset Maugham, che si dichiara ormai «scrittore disoccupato» e prepara le sue memorie. Maugham, dopo essere stato da lui a colazione, gli invia dunque un puntuale resoconto della loro conversazione, pregandolo di correggere eventuali inesattezze; non senza stupore, Simenon troverà nelle due cartelle dattiloscritte questa gemma di humour corrosivo: «Per quanto mi riguarda, non conosco maniera migliore di passare il tempo su un volo Nizza-Atene o Rangun-Singapore che leggere un romanzo di Simenon».
♦ MAIGRET E LE PERSONE PERBENE (Maigret et les braves gens, Presses Cité 1962), traduzione di Annamaria Carenzy Vailly, Gli Adelphi, n. 324, marzo 2008. Pp. 146 + 6 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Provava il bisogno di non allontanarsi da rue Notre-Dame-des-Champs. Alcuni dicevano che Maigret voleva fare tutto da solo, persino una cosa seccante come i pedinamenti, quasi non avesse fiducia nei suoi ispettori. Non capivano che sentire la gente vivere, cercare di mettersi nei loro panni, era invece per lui una necessità.
Se fosse stato possibile, si sarebbe addirittura trasferito dai Josselin, si sarebbe seduto a tavola con le due donne, avrebbe magari accompagnato Véronique a casa sua per rendersi conto del modo in cui lei si comportava con il marito e i figli.
Avrebbe voluto fare lui la passeggiata che faceva Josselin tutte le mattine, vedere ciò che vedeva lui, fermarsi sulle stesse panchine.
« Dal 1957 al 1964 Simenon prende in affitto il castello di Échandens, nel cantone di Vaud. Alla scelta di vivere in Svizzera non è estranea la predilezione dello scrittore per la calma, la serenità, la vita appartata. Ma neppure, probabilmente, i non indifferenti vantaggi fiscali che offre il Paese. In questo periodo, in effetti (anche su suggerimento di una società fiduciaria di Losanna), Simenon afferma di non esercitare attività lucrative (?), e data tutti i suoi romanzi (fra cui questo Maigret e le persone perbene, terminato nel settembre del 1961 e apparso a stampa l’anno seguente): «Noland», come dire: da nessuna parte ».
♦MAIGRET E I VECCHI SIGNORI (Maigret et les vieillards, Presses Cité 1960), traduzione di Barbara Bertoni, Gli Adelphi, n.331, giugno 2008. Pp. 143 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Di certo la signora Maigret si aspettava che lui la chiamasse per dirle che non tornava a cena, come spesso succedeva durante un’indagine.
Rimase quindi stupita nell’udire, alle sei e mezzo, i passi del marito per le scale, e aprì la porta nel preciso istante in cui arrivava sul pianerottolo.
Era più serio del solito, serio e sereno al tempo stesso, e la signora Maigret non osò fargli domande quando, per salutarla, la strinse a lungo tra le braccia senza dire nulla.
Non poteva sapere che era appena riemerso da un passato lontano, da un futuro un po’ meno lontano.
“Cosa c’è per cena?” chiese alla fine, come per liberarsi da un peso.
« Nel 1960 Simenon presiede la giuria del Festival di Cannes: è un’annata eccezionale, e si contendono la palma registi come Minnelli (A casa dopo l’uragano), Brook (Moderato cantabile), Antonioni (L’avventura), Buñuel (Violenza per una giovane), Fellini (La dolce vita), Bergman (La fontana della vergine). La giuria si spacca: da un lato i sostenitori di Antonioni, dall’altro quelli di Fellini, guidati da Simenon. Sarà La dolce vita ad avere la meglio – e sarà il preludio di una grande amicizia. Di lì a un mese, nel giugno, Simenon compone Maigret e i vecchi signori, apparso nello stesso anno ».
♦ MAIGRET PERDE LE STAFFE (La colère de Maigret, Presses Cité 1963), traduzione di Marina Karam, Gli Adelphi, n.334, settembre 2008. Pp.133 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Aveva gli occhi spalancati, come persi nel nulla, la schiena curva e il passo lento e pigro.
In quei momenti, le persone intorno a lui e soprattutto i suoi collaboratori pensavano che si stesse concentrando. Niente di più falso. Maigret aveva un bel dire, ma nessuno gli credeva. In realtà, ciò che faceva era un po’ ridicolo, addirittura infantile. Prendeva un briciolo d’idea, un pezzettino di frase e se lo ripeteva come uno scolaro che cerca di farsi entrare in testa la lezione. Gli capitava anche di muovere le labbra, di parlare a bassa voce, da solo nel bel mezzo dell’ufficio, sul marciapiede, dovunque.
E quello che diceva non sempre aveva senso. A volte sembrava una battuta.
«Ci sono stati casi di avvocati uccisi da un cliente, ma non ho mai sentito parlare di clienti uccisi dal loro avvocato…».
« Place Pigalle, place Blanche, rue Lepic – l’intero quartiere di Montmatre, con i suoi bar, i suoi night-club, i suoi alberghetti a ore, e con la sua fauna di malavitosi di piccolo cabotaggio e di boss della vita notturna, nonché ovviamente di ballerine, spogliarelliste, prostitute. Un quartiere che il giovane Simenon ha molto frequentato negli anni Venti e Trenta (anche se il preferito rimaneva pur sempre Montparnasse) e dove, in questo Maigret perde le staffe (scritto nel 1962 e apparso l’anno seguente), riporta, dopo anni di assenza, un commissario meno riluttante di quanto si possa immaginare: dato che, in fondo, a lui quel mondo sta simpatico ».
♦ MAIGRET E IL BARBONE (Maigret et le clochard, Presses Cité 1963), traduzione di Laura Frausin Guarino, Gli Adelphi, n. 339, novembre 2008. Pp. 142 + 6 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Un barbone era stato aggredito sotto il pont Marie e gettato nella Senna in piena, ma per miracolo se l’era cavata e il professor Magnin non riusciva a capacitarsi della sua rapida ripresa.
Era un delitto senza vittima, insomma, si sarebbe quasi potuto dire senza assassino, e nessuno si preoccupava del Dottore, tranne Léa la cicciona e, forse, due o tre barboni.
Eppure Maigret dedicava a quel caso lo stesso tempo che avrebbe dedicato a un dramma da prima pagina. Sembrava ne facesse una questione personale, e dal modo in cui aveva appena annunciato il suo colloquio con Keller si sarebbe potuto credere che si trattava di qualcuno che lui e sua moglie desideravano incontrare da tempo.
« Come mai in Maigret e il barbone (composto nel maggio 1962 e pubblicato l’anno successivo) il commissario si appassiona tanto al caso di François Keller, l’inoffensivo, muto barbone che qualcuno ha tentato di uccidere? Come mai ha la perturbante sensazione di capirlo? Forse perché Keller, come Jean Darchambaux – il bruto non meno silenzioso del Cavallante della «Providence» –, un tempo era un medico, e ha compiuto un drammatico passage de la ligne. Ma forse anche perché Maigret, pur appartenendo alla brava gente, ha passato la maggior parte del suo tempo a contatto con «l’altra faccia del mondo» e ne conosce il linguaggio segreto. Un misterioso sapere che si paga con l’innocenza ».
♦ MAIGRET SI DIFENDE (Maigret se défend, Presses Cité 1964), traduzione di Fernanda Littardi, Gli Adelphi, n.344, marzo 2009. Pp. 150 + 8 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
«Leggi…» disse mettendo davanti a Janvier la deposizione della ragazza.
Alla ventesima riga Janvier arrossì, così come era arrossito Maigret al mattino in questura.
«Chi mai si è permesso di…».
Bravo Janvier! Lui e Lucas erano i più vecchi collaboratori di Maigret e fra loro tre non servivano tante parole per capirsi.
Subito, senza bisogno di pensarci sopra, Janvier era arrivato alla stessa domanda, quella che Maigret, essendo direttamente coinvolto, ci aveva messo più tempo a formulare.
«Chi c’è dietro?».
«È proprio quello che vorrei sapere… Chi c’è dietro…».
«Quando la casa è terminata,» afferma un proverbio cinese «vi entra il dolore». A Épalinges, su un ampio terreno affacciato sul lago di Losanna, Simenon (che non ha mai posseduto una casa) si è fatto costruire «la sua Xanadu», come dice Pierre Assouline: una residenza grandiosa, che ha curato in ogni dettaglio. Maigret si difende è il primo romanzo scritto dopo il laborioso trasloco: terminato nel luglio del 1964, apparirà a stampa lo stesso anno. Nella vasta e lussuosa dimora di Épalinges, Denyse, la seconda moglie di Simenon, trascorrerà però solo brevissimi, burrascosi periodi, mentre soggiornerà sempre più a lungo nelle cliniche psichiatriche.
♦ LA PAZIENZA DI MAIGRET (La patience de Maigret, Presses Cité 1965), traduzione di Margherita Belardetti, Gli Adelphi, n.350, giugno 2009. Pp. 153 + 5 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Maigret si sentiva meno leggero di quando si era svegliato quel mattino nell’appartamento inondato di sole, o di quando, sulla piattaforma dell’autobus, assaporava le immagini di una Parigi variopinta come le illustrazioni di un libro per bambini.
La gente aveva la mania di interrogarlo sui suoi metodi. Alcuni sostenevano addirittura di saperli analizzare, e allora li guardava con una sorta di beffarda curiosità, visto che lui, il più delle volte, improvvisava, basandosi semplicemente sull’istinto.
« Le petit saint, compiuto nell’ottobre 1964, è datato non più «Noland (Vaud)» ma «Épalinges (Vaud)», e il suo protagonista, Louis Cuchas, è un uomo in pace con se stesso: segni inequivocabili di una ritrovata serenità – se non di una vera e propria resurrezione – dopo le terribili tempeste coniugali. Merito dell’affettuosa presenza di Teresa, entrata in casa Simenon come cameriera nel 1961. E come sempre del lavoro: gli artisti, l’ha detto un giorno Chaplin chiacchierando con Simenon e Miller, hanno la fortuna di non dover spendere mai un soldo quando si sentono in crisi: «Voi vi mettete a scrivere, io giro un film, e per un po’ siamo guariti. E, come se non bastasse, ci pagano pure». È in questo clima che, nel marzo 1965, nasce La pazienza di Maigret, pubblicato quello stesso anno ».
♦ MAIGRET E IL FANTASMA (Maigret et le fantôme, Presses Cité 1964), traduzione di Valeria Fucci, Gli Adelphi, n. 354, luglio 2009. Pp. 152 + 6 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
«È permesso, cara?… Sto facendo visitare la casa al commissario Maigret, il capo della Squadra Omicidi… Dico bene, commissario?…».
Maigret rimase come sbigottito: al centro dell’atelier dalle pareti a vetrata, in piedi davanti a un cavalletto, si ergeva una figura bianca che gli ricordò la parola pronunciata da Lognon: il fantasma…
Quello che indossava la signora Jonker non era il solito camice da pittore, somigliava piuttosto alla tonaca di un frate domenicano, ed era di una stoffa morbida e pesante come quella di un accappatoio.
Perdipiù, la moglie dell’olandese portava un turbante bianco del medesimo tessuto. Con la mano sinistra teneva una tavolozza e nella destra stringeva un pennello. I suoi occhi neri si posarono su Maigret con curiosità.
« Annus horribilis, il 1963. Simenon ha sempre confusamente sospettato che la dipendenza della moglie dall’alcol avesse cause psichiche, ma ora, notando un peggioramento dei sintomi del suo malessere (ossessione morbosa della pulizia, mitomania, diffidenza spinta fino alla paranoia), e grazie anche ai testi di psichiatria di cui è appassionato lettore, si convince che Denyse soffre di gravi disturbi mentali. La cuvée 1963 è, inevitabilmente, scarsa (“solo” tre romanzi) – ma di qualità: subito dopo aver terminato questo Maigret e il fantasma (che apparirà a stampa l’anno seguente), Simenon comincia infatti a scrivere La camera azzurra ».
♦ IL LADRO DI MAIGRET (Le voleur de Maigret, Presses Cité 1967), traduzione di Elda Necchi, Gli Adelphi, n.360, ottobre 2009. Pp. 173 + 7 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Fece per voltarsi, e intravide un giovane sul cui volto si leggeva un’emozione che, lì per lì, non riuscì a capire.
Doveva avere meno di venticinque anni ed era senza cappello, con i capelli scuri in disordine, mal rasato. Aveva l’aria di uno che non ha dormito, che è reduce da ore difficili o penose.
Sgusciando verso il predellino, saltò giù dall’autobus in corsa. In quel momento erano all’angolo di rue Rambuteau, non lontano dalle Halles, di cui si percepiva l’odore intenso. Il giovane si mise a camminare svelto, voltandosi come se avesse paura di qualcosa, e imboccò rue des Blancs-Manteaux.
D’un tratto, senza una ragione precisa, Maigret portò la mano alla tasca posteriore dei pantaloni, dove teneva il portafoglio.
Per poco non si precipitò anche lui giù dall’autobus: il portafoglio era sparito.
« È intorno alla metà degli anni Sessanta che Simenon incontra per la prima volta Ian Fleming, da tempo suo grande ammiratore (mentre Simenon confesserà di avere scarsa simpatia per James Bond e per un genere che gli pare «stereotipato, schematico, artificioso»). «Lei aspira a scrivere un grande romanzo?» gli chiede Fleming. «Non un grande romanzo letterario» risponde Simenon. «Un vero romanzo, tutto qui». «Quindi non intende scrivere qualcosa come Guerra e pace?». «Ma figuriamoci. E lei?». «Io? Io non aspiro neanche a scrivere un vero romanzo. Quando avrò finito coi James Bond penso che non scriverò più del tutto. Sono quasi arrivato al capolinea». Compiuto a Épalinges l’11 novembre 1966, Il ladro di Maigret apparve a stampa l’anno successivo ».
♦ MAIGRET E IL CASO NAHOUR (Maigret et l’affaire Nahour, Presses Cité 1966), traduzione di Annamaria Carenzi Vailly, Gli Adelphi, n.364, febbraio 2010. Pp. 167 + 7 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Si sforzava, suo malgrado, di immaginare quella coppia di stranieri eleganti, sbucata Dio solo sa da dove nello studio di un modesto medico di quartiere. Pardon aveva capito subito che quei due non appartenevano al suo mondo, né a quello di Maigret o della gente che, come loro, abitava attorno a rue Picpus.
Capitava spesso, al commissario, di imbattersi in personaggi di quel tipo, che a Londra, New York o Roma si sentono come a casa propria, prendono l’aereo come gli altri prendono il métro, scendono in alberghi di lusso e, a qualunque latitudine, ritrovano le loro abitudini e i loro amici.
È una sorta di massoneria internazionale, e non solo del denaro, bensì di un certo stile di vita, di certi atteggiamenti, e anche di una certa morale, diversa da quella del comune mortale.
Con loro Maigret non si sentiva mai del tutto a proprio agio, e a stento reprimeva un’irritazione che si sarebbe potuto scambiare per invidia.
« Il 1966 è un anno cruciale per Simenon: è quello in cui, per l’ultima volta, Denyse cerca di riconciliarsi con il marito, di riconquistare la sua fiducia, il suo sostegno, il suo amore. «Fin dai tempi di New York» scriverà lui nelle Memorie intime «volevo guarirla. Guarirla da se stessa. Guarirla dal bisogno, che risaliva alla sua gioventù, di essere diversa da com’era. Guarirla da quell’esigenza di brillare che… vedevo trasformarsi a poco a poco in esigenza di dominare». Ma ormai Simenon ha gettato la spugna; i medici, del resto, sono stati categorici: far tornare Denyse a casa sarebbe come decidere di suicidarsi. Scritto proprio nel 1966 a Épalinges (Vaud), Maigret e il caso Nahour uscirà a stampa l’anno seguente ».
♦ MAIGRET E’ PRUDENTE (Maigret hésite, Presses Cité 1968), traduzione di Simone Verde, Gli Adelphi, n.372, giugno 2010. Pp. 170 + 6 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
«Signor Maigret, ha sbagliato a venire prima di ricevere la seconda lettera. Adesso tutti sono in allarme, il che rischia di far precipitare gli eventi. Ormai il delitto può essere commesso da un momento all’altro, e sarà anche per colpa sua.
La credevo più paziente, più riflessivo. Pensa davvero di poter scoprire i segreti di una famiglia in un pomeriggio?
È più ingenuo e forse più vanitoso di quanto pensassi. A questo punto non posso più aiutarLa. L’unica cosa che posso consigliarLe è di proseguire l’inchiesta senza prestar fede a quello che le diranno.
La saluto, malgrado tutto, con ammirazione».
« Attirato da una lettera anonima che preannuncia un omicidio, Maigret si ritrova a due passi dall’Eliseo, nell’immensa, sontuosa casa di un giurista di fama internazionale, invischiato in una rete di rapporti gelidi e perturbanti. E scopre, con stizza, di muoversi suo malgrado con circospezione – di essersi messo «a camminare in punta di piedi… come sulle uova». Non a caso, sulla «busta gialla» che documenta la fase di preparazione di questo romanzo – composto a Épalinges fra il 24 e il 30 gennaio 1968 e pubblicato quello stesso anno –, figurano due icastici titoli poi abbandonati da Simenon in favore di Maigret è prudente: Maigret sur la pointe des pieds e Maigret marche sur des œufs ».
♦ MAIGRET A VICHY (Maigret à Vichy, Presses Cité 1968), traduzione di Ugo Cundari, Gli Adelphi, n. 376, agosto 2010. Pp. 174 + 8 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Il commissario si accese la pipa e sfogliò il giornale in cerca della pagina dedicata alla cronaca locale. La vista di una sua foto su due colonne … gli fece arricciare il naso. Accanto a lui si distingueva in parte la figura della moglie e dietro, più sfumate, due o tre facce anonime. « MAIGRET INDAGA? Per discrezione, avevamo sinora omesso di segnalare ai nostri lettori la presenza a Vichy di una celebrità, il commissario Maigret, il quale si trova qui non per dovere professionale ma per approfittare, come tanti altri illustri personaggi prima di lui, delle proprietà curative delle nostre acque.
Chissà, però, se il commissario saprà resistere alla tentazione di occuparsi del misterioso caso di rue du Bourbonnais … Saranno le cure ad avere la meglio o…»
« In una Dictée del gennaio 1974 Simenon non nasconde la sua soddisfazione per essere riuscito a infilare in un’intervista alla radio svizzera una frase «che ad alcuni non sfuggirà»: «Quando mi hanno chiesto se il mio ideale di donna sia la signora Maigret, ho risposto prontamente di sì». Del resto, già in Maigret a Vichy, che è di alcuni anni prima (scritto nel 1967, appare a stampa l’anno seguente), la signora Maigret ha un ruolo di primo piano, e la sua è una presenza rasserenante e teneramente ironica. Ma c’è di più: proprio l’immagine della coppia formata dal commissario e da sua moglie è una delle chiavi che consentirà la messa a fuoco della personalità dell’assassino ».
♦ MAIGRET E IL PRODUTTORE DI VINO (Maigret et le marchand de vin, Presses Cité 1970), traduzione di Elda Necchi, Gli Adelphi, n. 381, novembre 2010. Pp. 167 + 7 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
«Spero che questa lettera non si perda nei vostri uffici e che lei la leggerà di persona … Mi stupisce che i giornali non rivelino quale fosse la vera personalità di Oscar Chabut. Possibile che nessuno, fra quelli che hanno contattato, abbia detto loro la verità?
Invece si parla di lui come di un uomo di grande valore, audace e caparbio, che con le sue sole forze ha creato una delle più importanti aziende vinicole.
È davvero sconfortante! Quell’uomo era un farabutto, gliel’ho detto e lo ripeto, pronto a sacrificare chiunque alla sua ambizione e alla sua mania di grandezza. Tanto che mi chiedo se in fondo non fosse pazzo.
È difficile credere che un uomo sano di mente possa comportarsi come faceva lui. Nei rapporti con le donne, prevaleva il bisogno di infangarle. Voleva possederle tutte, ma per svilirle e sentirsi superiore. Del resto si vantava delle sue conquiste senza preoccuparsi della loro reputazione».
Simenon lo ha spesso sottolineato: la stesura, fulminea e spossante, dei suoi romanzi comportava una vera e propria mobilitazione psichica e si accompagnava talora a somatizzazioni estreme. Succede, non a caso, anche al commissario, quando un’indagine lo coinvolge emotivamente: come in Maigret e il cliente del sabato, e come in questo Maigret e il produttore di vino, compiuto a Épalinges il 29 settembre 1969 e apparso in Francia l’anno successivo: dalle prime avvisaglie di un oscuro disagio («Gli doleva la testa… e si sentiva la fronte madida di sudore») sino all’esplodere liberatorio dei sintomi, e al materno intervento della signora Maigret: «Gli portò il termometro e lui lo tenne in bocca senza protestare per cinque minuti. “Trentotto”. “Domani, se hai ancora la febbre, telefono a Pardon, che tu lo voglia o no”».
♦ L’AMICO D’INFANZIA DI MAIGRET (L’ami d’enfance de Maigret, Presses Cité 1968), traduzione di Marina Karam, Gli Adelphi, n. 384, marzo 2011. Pp. 163 + 7 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Chissà che ne era degli altri ragazzi della sua classe… Non aveva più rivisto nessuno. Crochet, che era figlio di un notaio, doveva aver rilevato lo studio del padre. Orban, uno dolce e grassottello, aveva intenzione di studiare medicina. Qualcuno magari era andato a vivere altrove, in Francia o all’estero.
Perché, fra tutti, doveva capitargli di ritrovare proprio Florentin, e in circostanze così spiacevoli? Si ricordava la pasticceria, anche se lui non c’era entrato spesso. Altri studenti, di famiglie più benestanti della sua, si riunivano lì per mangiare dolci e gelati, in uno scenario fatto di specchi, marmi e decori dorati, in un’atmosfera calda e zuccherosa. Per le signore della città, una torta non era buona se non era di Florentin.
E adesso Maigret scopriva una bottega di robivecchi polverosa e cupa, dai cui vetri, che con ogni probabilità non erano mai stati lavati, filtrava una luce fioca.
Dopo la separazione da Denyse, gli anni di Épalinges sono per Simenon tranquilli e fecondi. È qui che, nel 1968, scrive L’amico d’infanzia di Maigret (apparso a stampa lo stesso anno). Tra gli ospiti della grande dimora, il più noto è sicuramente Charlie Chaplin, che vive non lontano da lì e vi si reca parecchie volte insieme all’intera famiglia. Simenon ha un’immensa ammirazione per l’amico, e non solo sul piano artistico. Per esempio, giudica perfetta la coppia che Chaplin forma con la moglie Oona («una delle rare donne che avrei voluto sposare se l’avessi incontrata prima»), e dichiara al figlio minore che Teresa (la donna accanto alla quale ha trovato la serenità) è per lui «quello che Oona è per Chaplin».
♦ MAIGRET E L’UOMO SOLITARIO (Maigret et l’homme tout seul, Presses Cité 1971), traduzione di Simona Mambrini, Gli Adelphi, n. 394, giugno 2011. Pp. 156 + 8 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
La stanza era piuttosto spaziosa, e i vetri delle due finestre erano stati rimpiazzati da cartoni e carta da pacchi. Il pavimento sconnesso, con larghe fessure tra i listelli di legno, era ingombro di un incredibile ciarpame, oggetti per lo più rotti e totalmente inutilizzabili.
Colpiva, in particolare, sopra una branda di ferro coperta da un vecchio pagliericcio, un uomo completamente vestito e palesemente morto. Il petto era coperto di sangue rappreso, ma il volto aveva conservato un’espressione serena.
L’abbigliamento da barbone strideva con il volto e le mani. Era piuttosto anziano e aveva lunghi capelli argentei dai riflessi azzurrini. Anche gli occhi erano azzurri, ma la loro fissità metteva a disagio e Maigret glieli chiuse.
Portava baffi bianchi leggermente arricciati e un pizzetto, bianco anche quello, alla Richelieu.
Per il resto era rasato di fresco, e Maigret ebbe un’altra sorpresa notando le mani estremamente curate.
«Sembra un vecchio attore nel ruolo di un barbone» mormorò.
« Maigret e l’uomo solitario reca la data del 7 febbraio 1971: Simenon lo compose dunque a ridosso della morte della madre Henriette, che si era spenta a Liegi due mesi prima. Una madre di cui aveva sempre parlato in maniera tagliente («Era avara, spilorcia. Non ha mai capito perché volessi fare lo scrittore. il suo sogno era vedermi pasticciere. Io a l forno e lei dietro alla cassa: era questa la vita felice che immaginava per noi. Un giorno l’ho messa in Pedigree. Un ritratto duro, lo riconosco, ma inequivocabile»), e che gli aveva ispirato nel 1967 il personaggio di Marguerite Doise, la protagonista del Gatto – una donna che solo l’odio più implacabile unisce al compagno della sua vita. Provvederà Lettera a mia madre, nel 1974, a saldare i conti: e ad avvicinarlo drammaticamente alla verità di un rapporto arduo non meno che indistruttibile ».
♦ MAIGRET E L’OMICIDA DI RUE POPINCOURT (Maigret et le tueur, Presses Cité 1969), traduzione di Annamaria Carenzi Vailly, Gli Adelphi, n. 397, agosto 2011. Pp. 167 + 7 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).
Sporgendosi dalla ringhiera, la signora Maigret guardava il marito scendere le scale con passo pesante un po’ come avrebbe guardato uno scolaro che andava ad affrontare un esame difficile. Lei non ne sapeva molto di più dei giornali, ma quel che i giornali ignoravano era con quanta energia suo marito si sforzava di capire, con quanta concentrazione affrontava certe inchieste. Era come se si immedesimasse con quelli a cui dava la caccia e soffrisse i loro stessi tormenti.
In Maigret e l’omicida di rue Popincourt (scritto nel 1969 e apparso a stampa lo stesso anno) assistiamo a un faccia a faccia tra Maigret e l’assassino molto simile a una seduta di psicoterapia. Pochi mesi prima era arrivato a Épalinges un quintetto di medici – fra i quali tre psichiatri – inviato dalla rivista svizzera «Médecine et hygiène» a intervistare Simenon. La cui personalità – dai meccanismi della creazione ai sensi di colpa infantili, dal ruolo terapeutico della scrittura all’abuso di alcol, dall’idealizzazione della figura paterna all’ossessione per l’ordine – venne attentamente esaminata dai cinque luminari, che alla fine ammisero: «Grazie a lei, signor Simenon, siamo riusciti a capire che cosa accade nella mente di un criminale».
♦ LA PAZZA DI MAIGRET (La folle de Maigret, Presses Cité 1970), traduzione di Valeria Fucci, Gli Adelphi, n. 402, novembre 2011. Pp. 156 + 8 (elenco volumi pubblicati dalla collana Gli Adelphi e titoli di Le inchieste di Maigret).