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Tiffany e King, i cinema che vissero due volte

Tiffany e King, i cinema che vissero due volte

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Tipologia:  articolo

Testata:  la Repubblica / Palermo

Data/e:  sabato, 18 gennaio 2020

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Jean-Luc Godard sosteneva con orgoglio il principio della grandezza, anche fisica, del cinema visto in sala. E così oggi, a un altro dei grandi registi rimasti sul campo, Martin Scorsese, non resta che difendere la visione “larger than life” implorando i fans di non vedere il suo The Irishman, prodotto da una nota piattaforma streaming, miseramenteridotto a microfilm su un tablet da polso.

Legittimo è dunque il sospetto che nella presente epoca di dominio del web, si sia definitivamente smarrito il senso delle proporzioni e il sentimento dell’evento quando si guarda un film.

E allora come mai, all’interno del multiforme mercato dello spettacolo audiovisivo, il cinema ha ancora bisogno dei suoi teatri dove consumare il rito della visione collettiva? Forse vuol dire che l’“andare a cinema” rimane, nonostante la furia dei tempi, una irrinunciabile consuetudine?

Sebbene i più recenti dati Cinetel confermino che non c’è alcuna correlazione tra la moltiplicazione delle sale e l’aumento degli spettatori (che diventano di anno in anno più volubili mentre diminuiscono gli habitué), assistiamo al fenomeno della resurrezione di cinematografi in disuso, parcellizzati in sofisticati multiplex e pronti a contendersi primati di hi-tech e comfort per segnare il divario con le sempre più allettanti modalità domestiche di visione.

Anche a Palermo, la recente riapertura del cinema King di via Ausonia, interdetto da tempo, si aggiunge a quella del recupero, operativo da più di un anno dopo un burocratico calvario dal sapore kafkiano, del Tiffany di viale Piemonte. Entrambe le strutture sono diventate multisale a seguito di un radicale restyling che sembra non deludere nemmeno i palermitani della generazione “anta”, la cui memoria è annodata allo stile delle loro architetture originarie.

Era il 21 marzo del 1973 quando, nella zona settentrionale della città, quella residenziale, l’itinerario battuto dai cinespettatori seriali si arricchì di un nuovo, elegante sito.

Progettato dallo stesso Antonino Accascina a cui si deve il Golden aperto nel ’56 e oggi diventato un auditorium con palcoscenico, il cinema King si presentò come l’avveniristico fiore all’occhiello della catena di locali (i compianti Astoria e Fiamma, insieme all’Abc, al Lux, al Jolly) gestita da quell’imprenditore d’eccellenza che fu Luigi Mangano.

Coloro che comprarono i biglietti per i 908 posti della proiezione inaugurale del Dormiglione di Woody Allen, e poi i migliaia di adolescenti che affollarono per settimane le repliche del campione al botteghino Altrimenti ci arrabbiamo con la ditta Spencer & Hill, rimasero ammaliati dal controsoffitto del suo foyer costituito da prismi di vetro policromo realizzati a Murano, dall’irregolare composizione della sua sala, con i plafond dotati di luci a raggiera, la cui ellittica prospettiva guidava l’occhio verso l’enorme schermo, e dalla sua galleria aggettante fondata su una enorme trave d’acciaio appositamente costruita ai Cantieri Navali.

Nell’attuale nuova multisala dotata di 5 schermi (con bar e panineria annessi) ben poco rimane del pregevole design originario di quel cinema dove passarono blockbuster del filone catastrofico come L’inferno di cristallo, capolavori del made in Italy come Novecento di Bertolucci e la memorabile retrospettiva che, nell’aprile del 1984, permise a una generazione di cinefili la riscoperta di 5 capolavori occultati di Alfred Hitchcock, Vertigo in testa.

Ormai a fare la differenza, più dell’eleganza di architetture e arredi, è l’adeguamento agli standard dei sistemi tecnologici più avanzati. Conformandosi a questi principi il nuovo King, gestito da una società di Enna e Catania (la stessa a cui si deve il Multiplex Planet Cinema La Torre) coordinata da un professionista del cinema in Sicilia come Ginny Perrucci, torna sul mercato con i suoi 570 posti suddivisi in 5 sale, di cui una dotata del sistema audio tridimensionale Dolby Atmos, e tutte con proiettori 2 k e poltrone predisposte a trasformarsi in divanetti “sitting love” muniti di meccanismi basculanti che promettono comode intimità.

Dal canto suo, l’ormai collaudato Cityplex Tiffany da 500 posti dispone, nelle sue 4 sale, di attrezzature tecnologicamente dotatissime e all’avanguardia: proiettori ad alta definizione 4 k della Sony, audio 7.1 con Atmos in sala grande, poltrone modello “sliding” alcune delle quali dotate di funzionale rialzo riservato ai bambini.

Ai fratelli Di Patti (Piero, Saverio, Tonino, Nunzio), tra i più lungimiranti e virtuosi imprenditori che Palermo abbia conosciuto negli ultimi anni, va il merito di aver salvato dall’oblio, riequilibrandone gli spazi e rendendola più accogliente, l’algida struttura a due piani della sala che, a partire dal 1967 fino al 2011 fu gestita prima dall’ex Presidente della Provincia Ernesto Di Fresco e poi dal gruppo Siviglia. Del vecchio Tiffany si ricordano l’ultimo exploit d’incassi, guarda caso col Titanic di Cameron,e i fasti borghesi degli anni Settanta quando diventò il frequentatissimo cinema dei capolavori proibiti, dal plurisequestrato Ultimo tango a Parigi allo scabroso Portiere di notte.

Oggi quella sala rinnovata è diventata la costola tecnologicamente à la page del Cityplex Metropolitan, altra impresa dei fratelli Di Patti che, con la loro gestione valorizzarono, a seguire l’esperienza originaria di Mario Bellone, l’attività del cineteatro omonimo concepito dall’architetto Carpintieri e aperto al pubblico nel 1977.

Dopo alcune prestigiose e seguitissime stagioni teatrali e musicali, inaugurate da uno spettacolo di Fo e Franca Rame il 22 ottobre del 2002, i fratelli palermitani progettarono la conversione in multisala del loro locale, che funziona con successo dal 2009, reagendo al silenzio delle istituzioni locali che persero l’occasione di sostenere l’unico avamposto di eventi spettacolari e culturali situato lungo la rue corridor di viale Strasburgo, un’area su cui avrebbe dovuto essere pianificato lo sviluppo di quella Palermo policentrica, fondata su interessi e richiami collettivi, che, a causa dell’indifferenza (anche attuale) delle amministrazioni, è rimasta un’utopia.

È davvero curioso che, oggi come oggi, in assenza di attività cultural-spettacolari pubbliche e private sul prolungamento dell’asse Terrasanta -Sciuti- Restivo, le multisale cinematografiche siano gli unici teatri aperti.

Segno questo che, dalle nostre parti, il cinema è ancora grande. E che, come l’araba fenice, sa risorgere dalle proprie ceneri.

 

 

 

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