Quando Sciascia subì il fascino di Lawrence d’Arabia
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  2 novembre 2014
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Per Leonardo Sciascia, certi libri hanno un cuore di tenebra, un magnetismo oscuro che ci costringe a un’esplorazione pericolosa. Uno di questi libri è stato, per lui, I sette pilastri della saggezza di Thomas Edward Lawrence, tenente colonnello e agente segreto inglese passato alla Storia, con lo pseudonimo di Lawrence d’Arabia, come uno degli animatori della rivolta araba durante la Grande Guerra.
Alla magnifica autobiografia di quel personaggio dallo spirito “tormentato ascensionale gotico”, lo scrittore di Racalmuto dedicò un breve saggio giovanile, misconosciuto perché mai più ripubblicato dopo essere apparso nel numero del novembre 1952 di Galleria, longeva rivista culturale edita a Caltanissetta e da lui stesso diretta fino al ’59. A Sciascia la personalità artistica di Lawrence (morto a 47 anni in un incidente di moto quando si era ormai ritirato a vita privata) sembrava fondarsi su “un conflitto pirandelliano spinto ad una lancinante acuità, estremo, senza via d’uscita”.
Il frenetico avvicendarsi non di una ma di più vite provocò, in quell’eroe saturnino, uno scollamento tra la “forma già fissata” di un limpido ideale e le forme, più segrete e squilibrate, delle troppe identità incarnate fino al fallimento politico ed esistenziale.
Ma quella del “pirandelliano conflitto tra la creatura e il personaggio” non è la sola chiave di lettura compiuta da Sciascia nel suo acuto scritto su Lawrence. Nella fitta e miracolosa tessitura dei Sette pilastri egli individuò “una sommersa immagine di silenzio”. Come se il suo autore, “santo ribelle attore”, nel raccontare la propria impresa d’Arabia, volesse distrarci, nascondendo tra le righe l’incrinatura di un metafisico “grido contro l’esistenza”.
Il grido di un uomo prigioniero volontario in quel deserto che per lui fu un’esperienza di guerra e di svuotamento. Un caos interiore trasfigurato però in uno stile potente dove affiora quell’“energia vitale” per la quale, secondo Emilio Cecchi, sarebbe andato pazzo Nietzsche.
Il “fondo tetro” di quel libro, la “vena di dolore, d’isteria e di paura” che contiene, “corre sotto una prosa luminosa, incantevole, magica”.
È in questa espressione di vitalità ammalata che va colta l’affascinante modernità di Lawrence personaggio–uomo.
Sostiene Sciascia che non possiamo fare altro che riconoscerci nel dramma di quella personalità singolare alla quale “un disordine nell’accadere delle cose creò nell’intimo un traumatico rovescio”. E questo perché anche noi tutti, in effetti, “soffriamo dello stesso male”.
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