Quando Dolci denunciò lo “Spreco” siciliano
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  22 marzo 2015
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
«Questa terra è come una delle tante sue bambine nei vicoli dei suoi paesi, bellissime sotto le croste, i capelli scarmigliati, nei cenci sbrindellati: e già s’intravede come tra anni quel volto potrebbe essere nobilmente vivo, ma pure come in altre condizioni quel volto potrebbe rinchiudersi patito e quasi incattivito».
Ci appare ancora corruscamente oracolare la metafora della Sicilia bambina che apre uno dei libri più epifanici del poeta sociologo Danilo Dolci, nota figura di lucido intellettuale votato all’azione, triestino di nascita e siciliano per scelta (morì a Trappeto nel 1997).
Spreco fu pubblicato da Einaudi il 25 giugno del 1960 ed è diventato raro perché in attesa di riedizione dal 1962.
Frutto di un’indagine sullo stato di miseria in alcune zone agricole della Sicilia occidentale, questo titolo è ricordato come una delle testimonianze della lotta da militante umanitario di Dolci, che lo curò da promotore del celebre convegno a Palma di Montechiaro, svoltosi nell’aprile di quell’anno (presenti, tra gli altri, Sciascia, Carlo Levi, Ignazio Buttitta, Li Causi e Giorgio Napolitano allora segretario del PCI isolano), dove si commentarono i dati sulle subumane condizioni d’igiene e di salute delle popolazioni di quelle terre, insieme a quelli relativi all’arretratezza dei metodi di coltivazione e della dispersione delle acque nei territori sottomessi allo status quo della mafia e della politica democristiana imperante (da Palma a Cammarata, Roccamena, Corleone, Menfi).
Ma la polpa letteraria e visuale di questo j’accuse che suscitò indignazione ideologica e provvedimenti solo parzialmente correttivi, s’impone oggi con una speciale forza evocativa. Dolci s’impegnò con ispirata empatia a trascrivere i racconti dei sopravvissuti all’allucinante quotidianità di quel degrado: i vermi che rodono dentro e fuori i vivi come i morti, l’annichilente convivenza con i fetori fangosi e il marciume delle fiumare, la demoniaca nevrosi maturata fra malattie condivise da uomini e animali, la cronaca “parlata” del martirio del sindacalista Placido Rizzotto. Come corredo iconografico risalta, fuori testo, il magnifico reportage in bianco e nero del fotografo antropologo André Martin. Un libro potente, dal quale sbalzò uno dei tanti sfregi sull’infantile volto di Sicilia. Sfregi le cui cicatrici permangono ancora deturpanti nell’odierno work in progress dello sviluppo senza progresso.
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