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Musco e il cinema, un matrimonio difficile

Musco e il cinema, un matrimonio difficile

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Tipologia:  Articolo

Testata:  La Repubblica, ed. Palermo

Data/e:  25 settembre 2016

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

Degli undici film interpretati dal catanese Angelo Musco, dai tempi del muto fino al 1937 che fu l’anno della sua morte, nemmeno uno ha ancora oggi una sua degna edizione in Dvd. Altrettanto scarsa può dirsi la bibliografia a riguardo, a parte un ormai raro volumetto, curato da Sebastiano Gesù, in occasione di una retrospettiva messinese degli anni Ottanta. Davvero sarebbe ingiusto spiegare la ragione di tale trascuratezza attribuendola all’“intrinseca intraducibilità” che Leonardo Sciascia individuava in quella comicità “locale, dialettale, di parrocchia”, il cui margine, peraltro, Musco fu abile a restringere (sempre a detta di Sciascia) grazie all’“eclatante vitalità” della sua sensibilità di interprete che gli permetteva di “assommare e sintetizzare il comico della vita”.

La verità è che i film in questione non sono memorabili e che i rapporti tra quel magnifico reduce della Commedia dell’arte e il “cinematografo” non furono felici fin dall’inizio. Il suo debutto sullo schermo risale a una versione del “San Giovanni decollato” di Martoglio, datata 1917, dove Musco appare nei panni di Mastru Austinu. Nel febbraio del ’18 a un recensore torinese di quel film non restò che rilevare le stesse perplessità che avrebbero accompagnato, in sede critica, tutte le performance cinematografiche sonore dell’attore: “Se il Musco non avesse già una fama in arte, è certo che dal solo schermo lo si potrebbe giudicare poco più di un Polidor qualsiasi”: ovvero uno da “comica finale”. Tutto il contrario del Musco che appariva sulle scene, secondo il giudizio del mattatore Ruggero Ruggeri, ben capace di “aderire ai sentimenti umani più riposti con abilità soprannaturale”, da virtuoso dell’antimeccanica e del realismo. Tali qualità esibite dal vivo appaiono però assai sacrificate nelle pellicole di successo girate ai tempi dei Telefoni bianchi, quando al divo Musco fu eccezionalmente concesso dalla censura fascista di mantenere l’accento dialettale: dal “Paraninfo” a “L’aria del continente”, da “Fiat voluntas Dei” a “Gatta ci cova”, fino al più godibile “Il feroce Saladino”, ispirato alla rarissima figurina del concorso Perugina. Quanto alla trasposizione di “Pensaci, Giacomino!” di Righelli, lo stesso Pirandello, durante le riprese, fu invitato sul set al cospetto dell’Agostino Toti che Musco volle colorire di lazzi e tic sacrificando il coté patetico. E in quell’occasione, invece di arrabbiarsi per il “tradimento”, l’Autore si divertì moltissimo, come uno spettatore qualsiasi.

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