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Maria Messina, la scrittrice cult dei collezionisti

Maria Messina, la scrittrice cult dei collezionisti

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Tipologia:  Articolo

Testata:  La Repubblica, ed. Palermo

Data/e:  13 marzo 2016

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

La sua fu la “voce di dentro” delle donne nella Sicilia di un secolo fa. E ancora oggi non sembra essersi spenta l’eco della tormentata parabola letteraria e umana di Maria Messina, prolifica scrittrice nata ad Alimena nel 1887. Ad alimentarne il culto provvede una rinnovata nicchia di lettori e di studiosi devoti, accanto a un numero crescente di collezionisti delle edizioni primonovecentesche dei suoi 21 libri. Si tratta di romanzi pubblicati da case rinomate come Treves e Ceschina, e di svariate raccolte di novelle stampate a Palermo da Sandron e a Milano da Vallardi: titoli compresi in collane come “La Biblioteca delle Giovani Italiane” della fiorentina Le Monnier, con copertine dove campeggia uno stilizzato mazzo di rose sormontato dal pedagogico incitamento “Per più vedere”. Vezzi bibliofili a parte, in questo caso sappiamo di avere a che fare con un’autentica scrittrice, la cui riscoperta (avvenuta dopo 40 anni di oblio seguiti alla morte, sopravvenuta a Pistoia nel 1944 come conseguenza di una sclerosi multipla manifestatasi precocemente) si deve tutta al fiuto critico di Leonardo Sciascia. Fu lui a selezionare due sue intense storie di emigrazione (“Nonna Lidda” e “La Merica”) per “Partono i bastimenti”, antologia mondadoriana datata 1980. Sciascia si rifece al giudizio di Borgese (per il quale Maria Messina, all’epoca del giovanile exploit, era una talentuosa “scolara di Verga” in cerca di “libertà fantastica”), promuovendo la riedizione per i tipi della Sellerio di alcune tra le migliori prove della scrittrice (dal romanzo-capolavoro “La casa nel vicolo” alle novelle raccolte in “Casa paterna” e “Gente che passa”), e in più rilevando con disappunto la persistente dimenticanza (in tempi di “rivendicazioni femminili e femministe”) nei riguardi di colei che poteva considerarsi la “Katherine Mansfield siciliana”, grazie al malinconico realismo della sua prosa impegnata a decifrare, “in tono minore” ma con sorprendente nitidezza i risvolti psicologici e sociali della  marginalizzata  condizione femminile nelle società rurali e in quelle della piccola borghesia meridionale del proprio tempo.   Fortunatamente la perorazione sciasciana continua a mietere proseliti. E al di là delle suggestioni sociologiche, restano assai intriganti i tormentosi grovigli autobiografici che affiorano nei libri di questa singolare scrittrice. Il cinema non si è accorto di lei, tranne in un caso:lo sceneggiato Rai tratto da “Casa paterna” che Maurizio Diliberto (padre di Pif) diresse nel 1986, affidando il ruolo della frustrata protagonista Vanna alla compianta attrice catanese Mariella Lo Giudice.

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