Il palermitano che disegnò i siparietti di Carosello
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  23 ottobre 2016
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Del cinema coraggiosamente sofisticato di Manfredo Manfredi, eclettico artmaker (pittore, scenografo, regista di animazione) palermitano di nascita (1934) e di formazione romana, si conosce ancora troppo poco. Manca una degna antologia della sua produzione filmica in Dvd, anche se a garantirne qualche assaggio provvedono non di rado la Cineteca di Bologna, “Fuori Orario” su Raitre, o qualche festival per spettatori illuminati (come il Palermo Comic Convention che gli ha dedicato una retrospettiva nel settembre dello scorso anno). È pure vero che quelli di Manfredi sono objet troppo rigorosi e anomali per finire nello stesso circuito dei cartoni animati votati al blockbuster e alla “prima serata”: chiamiamoli pure “cortuscolari” (come vuole il neologismo coniato ad hoc da Enrico Ghezzi: cortometraggi crepuscolari), schegge di una pittura animata che non rinuncia al lirismo anche quando affronta scottanti temi civili. Evidenti tracce di un’intenzionalità guttusiana, assieme ai retaggi delle radici sicule, sono rintracciabili fin dall’esordio di Manfredi, in coppia col sodale Gomas, per la rinomata casa di produzione romana Corona Cinematografica: il cartoon “Ballata per un pezzo da 90” che, nel 1966, evocò la storia di Serafina Battaglia, pioniera dei testimoni di mafia, con un problematico punto interrogativo a fare da sigillo dopo la parola “fine”. Lo stesso tono esibiscono i successivi “Terùn” (sui meridionali al Nord) e “Su sambene no est aba” (sul banditismo sardo), fino alla svolta intimistica di “Dedalo”, l’affacciarsi di un ossessivo punto di vista maschile sull’universo femminile, che procurò a Manfredi, tra gli altri riconoscimenti, una nomination all’Oscar nel 1976. I successivi decenni, alimentati da una brillante routine a servizio di sigle e scenografie televisive (andando a ritroso, ricordiamo almeno i celeberrimi siparietti di Carosello da lui disegnati nel 1963), l’hanno visto impegnato in sempre più raffinate sperimentazioni. Della sua produzione degli anni Novanta rimangono rilevanti le animazioni di due canti dell’Inferno dantesco per una serie Rai poi abortita e la trasposizione di “Le città invisibili” (1998) di Calvino, dove i disegni appaiono rimpiccioliti rispetto al fotogramma per moltiplicare l’effetto di straniamento nello spettatore. Un talento inquietato, quello di Manfredi, che della sua infanzia palermitana ama ricordare soprattutto le rovine provocate dal bombardamento degli aerei alleati: un ideale paesaggio “cortuscolare”.
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