mercoledì, 23 Ottobre 2024

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Footlights di Charles Chaplin – Prima edizione italiana

Footlights di Charles Chaplin – Prima edizione italiana

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Autore:  Charles Chaplin

Tipologia:  Romanzo preparatorio per la sceneggiatura e altri scritti

Film di riferimento:  Luci della ribalta (Limelight, Usa 1952). Scritto e diretto da Charles Chaplin. Fotografia di Karl Struss. Assistente alla regia: Robert Aldrich. Musica di Charles Chaplin. Con Charles Chaplin, Claire Bloom, Buster Keaton, Sydney Chaplin, Norman Lloyd, Marjorie Bennett, Mollie Glessing, Nigel Bruce, Barry Bernard

Editore:  Edizioni Cineteca di Bologna

Origine:  Bologna

Anno:  2014 (novembre)

Caratteristiche:  Legatura in cartone lucido rinforzato con illustrazione fotografica in bianco e nero (Chaplin in "Limelight", fotografia del 1952 di W.Eugene Smith), titoli in bianco e in verde su fondo nero, dorso in verde con titoli in bianco e in nero

Edizione:  Prima italiana

Pagine:  222

Dimensioni:  cm. 29 x 25

Note: 

Edizione italiana di Footlightsromanzo breve scritto nel 1948 da Charles Chaplin come sviluppo del trattamento e come preparazione della sceneggiatura di Luci della ribalta  (Limelight, 1952). Il volume contiene anche La storia di Calvero (soggetto del film desunto da un dattiloscritto privo di titolo, scritto da Chaplin) e Il mondo di Limelight, saggio dello storico del cinema e biografo chapliniano David Robinson, che ricostruisce la vicenda artistica e produttiva del film. L’edizione italiana è stata pubblicata nel novembre 2014 dalle Edizioni Cineteca di Bologna, identica a quella in lingua inglese e in lingua francese pubblicate nello stesso anno. La traduzione in lingua italiana dei testi di Chaplin è di Marisa Sestito, quella dei testi di Robinson è di Cristiana Querzè. Il volume è illustrato da 132 immagini, riproduzioni di fotografie di scena e di set in bianco e nero e riproduzioni iconografiche a colori, nel testo e fuori testo.

INDICE DEL VOLUME

PREFAZIONE di David Robinson

FOOTLIGHTS – EVOLUZIONE DI UNA STORIA di David Robinson

FOOTLIGHTS  – romanzo di Charles Chaplin

LA STORIA DI CALVERO – racconto di Charles Chaplin

IL MONDO DI LIMELIGHT  ( Scuotendo l’albero // Dalla sceneggiatura al film // La Londra di Limelight // Il Music Hall della famiglia Chaplin // I balletti di Leicester Square // Ritratto di famiglia // Epilogo )

 

Sinossi: 

« Prima di essere uno dei grandi film della maturità artistica di Chaplin, Limelight (1952) nasce in forma di romanzo: un romanzo breve scritto nel 1948, intitolato Footlights, custodito dagli Archivi Chaplin e rimasto inedito per oltre sessant’anni. Ambientata nella Londra del 1914, profondamente calata in un mondo perduto di memorie personali, questa prova letteraria è un caso unico nella carriera di Chaplin e risplende per la vivezza dello stile, l’equilibrio narrativo, la libertà con cui si muove tra la vivacità colloquiale (che confluirà inalterata nel film) e il respiro dickensiano di descrizioni e caratteri.

David Robinson, biografo e più eminente studioso chapliniano, conduce il lettore alla piena comprensione di questo tesoro d’archivio, “storia di una ballerina e di un clown” che affonda le radici in un lontano, breve ma decisivo incontro nel 1916 tra Chaplin e Nijnsky. Il mondo di Limelight è il racconto del making del film e insieme una emozionante ricostruzione della Londra degli anni Dieci: prendono vita nelle sue pagine le strade e i teatri di Soho, gli impresari e gli spettacoli d’arte varia, il music-hall, i palcoscenici e il variopinto pubblico dell’Empire e dell’Alhambra, i balletti di Leicester Square… Il libro è illustrato da documenti e fotografie inedite e da rarissime testimonianze iconografiche di Londra così com’era negli anni della formazione chapliniana. » (Dalla nota editoriale apparsa sul retro di questa edizione)

 

« Racconta David Robinson, che è da tempo il massimo esperto su vita e opere di Charles Chaplin, che nel 1936 il grande attore/regista disse a Jean Cocteau che “un film è come un albero: se lo scuoti, tutto quello che si stacca ed è superfluo cade a terra, lasciando solo quello che è essenziale”, e questa è una massima che tutti i giovani registi di film e documentari o semidocumentari, oggi e proprio oggi, dovrebbero mandare a memoria (…). Il caso di Limelight, l’ultimo capolavoro di Chaplin (ché un Re a New York non fu all’altezza delle aspettative e La contessa di Hong Kong sembrò un’opera fuori tempo) è una dimostrazione di quest’assunto, e Robinson fa bene ad aprire il lungo saggio che accompagna il “romanzo”, che Chaplin scrisse per preparare il film, con un capitolo intitolato “Scuotendo l’albero”. Quella preparazione del film, ci informa Robinson, durò tre anni, e di essa fa parte Footlights, il “romanzo”, una delle tappe di un accostamento documentato anche attraverso un breve soggetto successivo, La storia di Calvero. Footlights è bensì un “trattamento”, non un vero romanzo, ha la velocità e l’asciuttezza dei trattamenti, senza approfondimenti psicologici e descrizioni d’ambiente. Sarà la sceneggiatura definitiva, anzi quella desunta dal film, a fare testo, anzi sarà il film, perché è quello il punto d’arrivo, l’albero senza il superfluo. Sconcertato dal fiasco commerciale e dalle reazio in ostili della critica americana a Monsieur Verdoux, (…) Chaplin pensò di tornare alla Londra dei suoi anni di formazione. Aveva vagheggiato, prima di Monsieur Verdoux, un film sulla danza ispirato a Nijinsky, che aveva ammirato e conosciuto nel 1916. Paulette Goddard – la monella di Tempi moderni e del Dittatore, allora sua moglie – vi avrebbe avuto un ruolo affine a quello di Claire Bloom in Limelight. Poi aveva immaginato Calvero – infine un suo doppio – in un’epoca precisa della storix dello spettacolo, e in un luogo preciso, la Londra di Soho, di Leicester Square e del suoi teatri,nel 1914, quando Chaplin era già in America. Era un mondo che conosceva benissimo, era il mondo in cui era cresciuto: i vicoli di Londra, la Londra raccontata dall’amato Dickens; le tavole del palcoscenico, gli spettacoli popolari tra attrazioni e clown, balletti e anzi, il music-hall in cui lavoravano i suoi genitori e in cui egli aveva fatto i suoi primi passi di attore, ancora bambino. Ma non gli bastarono i ricordi, fece fare ricerche e ne fece egli stesso sulla storia della sua famiglia. (…) Dopo un’anteprima hollywoodiana amicale, la prima del film ebbe luogo a Londra il 16 ottobre del 1952, seguita dalle trionfali prime a Parigi e a Roma (dove un gruppetto di fascistelli tentò una contestazione, divertendo molto Chaplin che rifiutò di denunciarli), egli stava rientrando in America in piroscafo assieme ai suoi quando gli arrivò la notizia che il ministro della Giustizia, non avendo mai rinunciato alla cittadinanza inglese, gli abrogava il permesso di ritorno negli Usa in quanto straniero. La caccia alle streghe era già cominciata e sapeva scegliere i suoi obiettivi tra i nomi notissimi dello star system. Chaplin e famiglia fecero marcia indietro, e Chaplin tornò in America per pochi giorni (e fece malissimo) solo nell’aprile del ’72 per ricevere un miserabile Oscar alla carriera, il primo Oscar assegnato al più e al più noto, ma al meno addomesticabile dei cineasti hollywoodiani. Questo per la storia del film, ricostruita da Robinson con affettuosa complicità ma anche con uno scrupolo di documentazione che rende assai godibile pure le pagine che non riguardano il film, ma la storia del teatro popolare londinese. Visto e rivisto, Luci della ribalta è un grande, un bellissimo film, che però ha sofferto, rispetto ai precedenti del suo regista, di una notevole diffidenza da parte della critica, che lo giudicò a suo tempo vecchio, compiaciuto, senile, sentimentale, narcisistico… Certamente Chaplin non sfidava più le opinioni correnti, non affondava il suo coltello nelle piaghe della società come aveva fatto nei grandi film degli anni Trenta-Quaranta, non esaltava l’individuo che cerca di sopravvivere alla miseria e al potere, all’oppressione industriale e alla società massificata; certamente parlava più apertamente di sé e con qualche compiacimento, ma la sua versione di un’antica storia ha la precisione e il fascino di un ambiente perfettamente ricostruito e la serena disperazione di un artista che sa d’invecchiare, che si sente superato nel suo vigore di uomo e nella vitalità della sua arte. Il film ricorda il mito di Pigmalione, su fino a Svengali e a Scarpette rosse, ma soprattutto  la storia cento volte raccontata della Scuola delle mogli di Molière, della conquista della saggezza di un non più giovane Arnolfo nei confronti della sua giovane protetta, una storia che già René Clair aveva ricordato nel 1946 in Il silenzio è d’oro, nell’ambiente del cinema muto. Luci della città è un film che regge benissimo alla prova del tempo, e che riconquista il suo splendore nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna al pari di Tempi moderni o delle vecchie e splendide comiche mute. (…) »

(Goffredo Fofi, da «Albero senza il superfluo», recensione al libro apparsa in Il Sole 24 Ore/Domenican.355, domenica 28 dicembre 2014)

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