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E “Conversazione in Sicilia” diventò un “fotoromanzo”

E “Conversazione in Sicilia” diventò un “fotoromanzo”

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Tipologia:  Articolo

Testata:  La Repubblica, ed. Palermo

Data/e:  5 ottobre 2014

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

Era il 10 dicembre 1953 quando dalla Cromotipia Sormani di Milano uscivano le prime copie di un’originale iniziativa editoriale targata Bompiani: la versione illustrata da 188 fotografie di Conversazione in Sicilia, romanzo-paradigma del Novecento a quel tempo in espansione.

A dirigere l’impresa, col piglio che ne contraddistingueva il carattere tagliente, era stato l’autore stesso, il messinese Elio Vittorini, già scrittore affermato ed editor temuto, che si era messo a fianco l’allora giovane Luigi Crocenzi, fotografo marchigiano dallo smagliante talento, di lì a poco fondatore con altri colleghi di un attivissimo Centro per la Cultura della Fotografia, fucina di mostre memorabili.

L’occasione celebrativa fu la settima edizione dell’ormai rinomato Conversazione, uscito in prima nel ’41 col titolo Nome e lagrime per Parenti (in 355 copie) e rititolato in quello stesso anno per Bompiani (in 5000 copie).

Un vero classico, il testo esemplare di un letterato la cui opera, scrisse in seguito Italo Calvino, “ha come forma mitica quella del viaggio, come forma stilistica quella del dialogo, come forma concettuale quella dell’utopia”.

Un romanzo ideale per fare brillare la contaminazione tra parola scritta e immagine fotografica, già sperimentata da Vittorini nella sua mitica antologia Americana.

Anche per Conversazione si trattò d’inventare un percorso figurativo parallelo al testo, generatore di nuovi significati e inedite suggestioni.

E così, nel febbraio del 1950, Vittorini e Crocenzi esplorarono la Sicilia (da Comiso a Caltagirone, da Enna a Siracusa, da Piazza Armerina a Petralia Sottana, da Ragusa a Favara e oltre) rubando dettagli e campi lunghi di paesaggi naturali e umani, con un’intenzionalità cinematografica che si rifaceva ai modi del Neorealismo in auge.

Il risultato, che scandisce febbrilmente i capitoli del romanzo, è quello di un foto-film dall’impressionante impatto figurativo che col tempo ha acquistato un suggestivo valore di testimonianza antropologica.

In una nota al termine del libro, Vittorini tenne ad attribuirsi per intero la paternità dell’operazione. E così Crocenzi s’irritò, già provato dai continui rimbrotti dello scrittore insoddisfatto delle prime selezioni (migliaia di scatti per le 168 foto originali pubblicate dentro il testo accanto a immagini di repertorio). Ma alla fine, il burbero siracusano cedette e ammise il connubio autorale. E così anche in Italia poté essere degnamente celebrato il matrimonio tra immagine e parola.

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