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Cagliostro visto da Landolfi per uno sceneggiato

Cagliostro visto da Landolfi per uno sceneggiato

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Tipologia:  Articolo

Testata:  la Repubblica / Palermo

Data/e:  domenica 1 ottobre 2017

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

 

A riprova della persistente validità della lezione tramandataci dal Liberty Valance di John Ford secondo la quale ogni volta che la realtà incrocia la leggenda a vincere è sempre quest’ultima, andate a visitare il sito eBay alla voce “Cagliostro”, riferita al soprannome di quell’avventuriero dai poteri magnetici che fu il palermitano Giuseppe Balsamo (1743-1795). Scoprirete che, nel fluttuante mercato del vintage editoriale, un albo a fumetti del 1954, dedicato alle sue imprese più fantasiose, è valutato il doppio di una delle rare fonti storiche da cui attinge la sua biografia, quel “Compendio della vita e delle gesta” dove Giovanni Barbieri, fiscale pontificio, elaborò nel 1791 le ragioni accusatorie del Sant’Uffizio al processo per eresia che condannò il “conte” a finire i suoi giorni nell’angusto e fetido “pozzetto” della fortezza di San Leo.

Ma a celebrare l’epica cagliostrana provvede pure una perla misconosciuta, le 60 sofisticate pagine dei quadri scenici con cui il più esoterico degli scrittori del nostro Novecento letterario, Tommaso Landolfi, rende omaggio al mito che aveva già ammaliato giganti come Goethe e Schiller, con l’esibita tentazione di rispecchiarvisi.

Pubblicato da Vallecchi nel 1963, “Scene dalla vita di Cagliostro” ha in copertina il bel profilo saturnino di un giovane Giorgio Albertazzi in costume settecentesco, e questo perché il dramma landolfiano fu scritto per un “originale televisivo” Rai messo in onda il 14 maggio del 1961 (e nel frattempo andato perduto), dove al mattatore toscano spettò il compito di regalare un aplomb “casanoviano” al personaggio del titolo.

Rimane poco della corrosiva vena fantastica di Landolfi in questo lineare ordito drammaturgico dove lo scrittore si fa emulo del prediletto Puskin conferendo un denso andamento lirico all’ascesa e caduta di Cagliostro, qui tratteggiato come un sapiente presago del proprio amaro destino di perseguitato, un metafisico disilluso a confronto con l’amata moglie che finirà per denunciarlo, con il potere che prima lo lusinga e poi lo azzanna, con i suoi discepoli pronti a trasformarsi in aguzzini, fino all’atroce martirio da recluso.

Che Landolfi scelga la leggenda lo dimostra poi la macabra scena conclusiva che dà emblematico rilevo alla favola dei militi della Cisalpina (nel 1797 che vide l’invasione napoleonica degli Stati Pontifici), intenti a irrompere nella fortezza di San Leo e a dissotterrare il cadavere di Balsamo, per usare il suo teschio come calice brindando alla salute dei liberatori.

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