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Brancati, i testi teatrali che omaggiavano il Duce

Brancati, i testi teatrali che omaggiavano il Duce

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Tipologia:  Articolo

Testata:  La Repubblica, ed. Palermo

Data/e:  7 maggio 2017

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

Sui propri inizi di drammaturgo votato al credo mussoliniano, Vitaliano Brancati preferiva glissare. “Meglio essere stati fascisti a vent’anni che a quaranta”, si schernì una volta collegando quell’errore di gioventù al suo “Piave”, dramma del 1932 che esaltava la Grande Guerra, senza fare però alcun accenno ai precedenti testi d’esordio pubblicati in elegante brossura per i tipi dello Studio Editoriale Moderno di Catania. E così furono consegnati a un oblio che ne esalta la rarità, sia il dannunziano poema mai rappresentato, “Fedor” (1928), sia il mito in un atto “Everest”, che venne reclamizzato come una “potente visione della civiltà mussoliniana” quando uscì nel maggio del ’31, a un anno di distanza dall’allestimento romano diretto da Stefano Pirandello, figlio di Luigi.

Se “Fedor” reca una dedica dell’autore al proprio eletto maestro Giuseppe Antonio Borgese (di cui non comprendeva la svolta antifascista), “Everest” ospita una enfatica prefazione di Telesio Interlandi, giornalista che diventò (a partire dal ’43) fondatore e direttore  del famigerato quindicinale “La difesa della razza”. Per il suo propagandistico “mito” (che emulava quelli coevi di Pirandello ma che subì l’influenza del Rosso di San Secondo di “La roccia e i monumenti”), Brancati inventò una città ideale, una specie di Shangri-La “inerpicata sull’Everest”, meritevole di essere annoverata in uno dei tanti atlanti dei luoghi fantastici come quello, recente, di Umberto Eco. Qui la vetta “su cui si scoprirà il segno del Condottiero” diventa l’agognata meta di una comunità composta da gente ordinaria disposta a qualunque sacrificio pur di conferire un’aura misticheggiante ai propri ideali piccolo borghesi. Un’esaltazione dell’epica fascista talmente artificiosa da apparire, come sottolineò una volta Sciascia, “assolutamente letteraria”, un tentativo di liberarsi della retorica dannunziana sublimando quella mussoliniana, su cui poi si fondò l’abiura, datata 1936, del Brancati “mutato in se stesso”. A dare valore alle 84 pagine del volumetto provvedono le 8 miniature xilografiche di Beppe Assenza (1905-1985), pittore di Modica che fu amico del poeta Antonio Bruno (oltre che di Brancati), e seguace delle teorie del fondatore dell’antroposofia Rudolf Steiner. Se per alcune sue opere grafiche, Federico Zeri arrivò a definirlo il Kandinskij italiano, queste di “Everest” ne confermano l’intelligente ascendenza espressionista, tra l’altro dimostrando che in un libro, qualche volta, sopravvivono al tempo più le illustrazioni che le parole.

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