lunedì, 7 Ottobre 2024

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Teorema, romanzo di Pier Paolo Pasolini – Prima edizione

Teorema, romanzo di Pier Paolo Pasolini – Prima edizione

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Autore/i:  Pier Paolo Pasolini

Tipologia:  Romanzo

Editore:  Garzanti

Origine:  Milano

Anno:  1968 (22 marzo)

Edizione:  Prima italiana

Pagine:  208

Dimensioni:  cm. 19,5 x 13,2

Caratteristiche:  Legatura in tela rossa, sovraccoperta con elaborazione grafica di Fulvio Bianconi di color marrone con titoli in nero e in bianco, ritratto fotografico in bianco e nero dell'autore al retro

Note: 

Prima edizione di Teorema, romanzo che Pier Paolo Pasolini scrisse contemporaneamente alla sceneggiatura del suo omonimo film del 1968. Finito di stampare il 22 marzo 1968 dalla Aldo Garzanti Editore di Milano. Il libro ha avuto 4 edizioni nello stesso anno.

 

COME LEGGERE NEL MODO GIUSTO QUESTO LIBRO

Nota dell’autore

«I primi dati di questa nostra storia consistono, molto modestamente, nella descrizione di una vita famigliare…»; «Crediamo…che non sia neanche difficile (consentendoci quindi di evitare certi non nuovi particolari di costume) immaginare a una a una queste persone…»; «Come il lettore si è già certamente accorto, il nostro, più che un racconto, è quello che nelle scienze si chiama “referto”: esso è dunque molto informativo; perciò, tecnicamente, il suo aspetto, più che quello del messaggio è quello del codice…»; «Com’è brutto e inutile il significato di ogni parabola, senza la parabola!»

Questi sono alcuni interventi personali dell’autore nel corso della storia, o meglio, della parabola: una prosa leggermente «d’arte» provvede a far sì che si tratti, appunto, di una parabola, anziché di un puro e semplice studio sulla «crisi del comportamento» (è questa la formula con cui vorrei definire il presente volumetto).

TEOREMA è nato, come su fondo oro, dipinto con la mano destra, mentre con la mano sinistra lavoravo ad affrescare una grande parete (il film omonimo). In tale natura anfibologica, non so sinceramente dire quale sia prevalente: se quella letteraria o quella filmica. Per la verità, TEOREMA era nato come pièce in versi, circa tre anni fa; poi si è tramutato in film e, contemporaneamente, nel racconto che da cui il film è stato tratto e che dal film è stato corretto. Tutto questo fa sì che il modo migliore per leggere questo manualetto laico, a canone sospeso, su un’irruzione religiosa nell’ordine di una famiglia milanese, sia quello di seguire i «fatti», la «trama», trattenendosi sulla pagina il meno possibile. Quanto al resto, il «discorso libero indiretto» borghese, che, volendo o non volendo, ho dovuto distendere sotto il tessuto della prosa poeticizzante, ha finito col contagiare anche me, fino a dotarmi di un leggero senso dell’umorismo, del distacco, della misura (e rendendomi forse, con grande mia rabbia, meno scandaloso di quanto il tema avrebbe richiesto): tutto comunque, credo, resta sostanzialmente osservato e  descritto da un angolo visuale estremistico, forse un po’ dolce (me ne rendo conto), ma, in compenso, senza alternative.

PIER PAOLO PASOLINI

(Nota dell’autore presente al risvolto di questa edizione)

 

Sinossi: 

« (…) L’autore stesso definisce l’opera: «parabola» e il contenuto «una irruzione religiosa nell’ordine di una famiglia borghese». Non c’è una battuta di dialogo, non c’è una «rappresentazione».(…)

Nella prima parte, dopo la descrizione dei personaggi: il padre, la madre, il figlio, la figlia, la serva, segue la descrizione dei modi in cui tutti i membri della famiglia e, prima di questi Emilia, la serva, si concedono al giovane ospite, Angelo, in una successione di fatti «puramente casuali», perché sono «compresenti e contemporanei».

Nessuna storia e nessuno svolgimento, quindi. Nella seconda parte, altrettanto casualmente, sono descritte le conclusioni di quella eccezionale esperienza: il padre dona la fabbrica agli operai, si spoglia alla stazione di Milano e scompare, nudo e urlante; la madre cerca disperatamente di trovare in altri rapporti sessuali il “rapporto” sconvolgente e misterioso con il giovane ospite; il figlio abbandona tutto per la pittura in una impotente crisi di significati e di valori; la figlia impazzisce per il ricordo di quella esperienza; la serva torna al suo paese e incomincia a fare miracoli.

L’allegoria è facile a cogliersi: l’eccezionale, il miracolo è lo sconvolgimento della vita borghese, basata sulla sicurezza del possesso; il primo borghese della famiglia, il padre industriale, è il primo ad accorgersi di «non possedere» qualcosa.

Lo sconvolgimento avviene attraverso la violenza: negli «allegati» Pasolini riporta un versetto di Geremia: «Mi hai sedotto, Dio, e io mi sono lasciato sedurre, mi hai violentato…», e aggiunge «anche in senso fisico». Dunque Dio, o un’esperienza religiosa, per farsi sentire nel mondo borghese, ha bisogno della violenza, come Cristo nel Vangelo secondo San Matteo nei riguardi dei mercanti nel tempio; perché il mondo borghese ha perduto, anzi non ha mai avuto, una religiosità. Il borghese è conservatore in quanto pensa sempre a “domani”, al suo domani. Il povero, il semplice, l’umile, il “religioso”, no. Così Emilia: «Tu vivi tutta nel presente. / Come gli uccelli del cielo e i gigli nei campi, / tu non ci pensi, al domani». Il titolo della poesia da cui sono tratti questi versi è illuminante: Complicità tra il sottoproletariato e Dio. Per questo Emilia «ragazza di basso costo / esclusa, spossessata del mondo» è «eletta» e va a compiere miracoli tra l’ingenuo stupore e l’ingenua fede dei suoi poveri e semplici compaesani, quasi alla periferia della grande città.

A questo punto, a svelare la parabola interviene lo stesso autore, introducendo un giornalista che pone alla povera gente radunata intorno alla “santa”, una serie di domande, per una «inchiesta sulla santità». Pasolini si scusa col lettore per il linguaggio che dovrà adoperare: quello «usato nel commercio culturale quotidiano – i giornali, la televisione– e, meglio che dozzinale, addirittura volgare».

Ma il discorso è tutto pasoliniano; che di discorso si tratta, e non di domande e risposte. Quei contadini, infatti, non saprebbero rispondere. E le risposte, inoltre, sono nella logica stessa delle domande: «Per quale ragione, secondo lei, Dio ha scelto una povera donna del popolo per manifestarsi attraverso il miracolo? (…) Per la ragione che i borghesi non possono essere veramente religiosi?». Sono definizioni: «Essa (la “santa matta” Emilia) non è una terribile accusa vivente contro la borghesia che ha ridotto – nel migliore dei casi – la religione a un codice di comportamento?». Solo all’ultima domanda non c’è risposta. (…)

Lo stesso accade alla fine della seconda «inchiesta», sulla «donazione». Stabilito che la donazione di una fabbrica da parte del padre-padrone agli operai non è un atto isolato, ma «rappresenta, piuttosto, una generale tendenza di tutti i padroni del mondo moderno»; e che, attraverso una serie di donazioni o di «concessioni», «la mutazione dell’uomo in piccolo borghese sarebbe totale», «fino alla completa identificazione del borghese con l’uomo»; in questo universo borghese saprebbe la borghesia «rispondere alle domande che la storia – che è la “sua” storia – le pone?». A quest’ultima domanda non segue una risposta, né un’altra domanda. Anche qui, dunque, un «ragionamento» si conclude senza possibilità di risposta «logica». A meno di non rispondere: no, ma la negazione, nonché risolvere, aggrava il drammatico problema che l’intervistatore- Pasolini rileva.

Il finale di Teorema conferma questa dolorosa scoperta di Pasolini: le risposte, le soluzioni della «logica», borghese o no, conducono l’uomo per un cerchio vizioso dal quale non si esce se non con il rifiuto della «logica» (ma chi può rifiutarla se essa è nel mondo?). L’urlo inumano che esce dalla gola del padre, nel deserto dove è fuggito, è la risposta assurda, «fuori dalla volontà» di chi «esiste» e di chi «sa» ma non può esprimere: «È un urlo / in cui in fondo all’ansia / si sente qualche vile accento di speranza; / dentro a cui risuona, pura, la disperazione. / Ad ogni modo questo è certo: che qualunque cosa / questo mio urlo voglia significare, / esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine».

A tanto drammatica conclusione giunge questo «manualetto laico, a canone sospeso», come lo definisce Pasolini, che pone i problemi «senza pretendere di risolverli». »

( Tommaso Anzoino, da «Pasolini», La Nuova Italia, «Il Castoro», dicembre 1975)

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