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Rarità, gola e pigrizia, i piaceri di Brancati

Rarità, gola e pigrizia, i piaceri di Brancati

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Tipologia:  Articolo

Testata:  La Repubblica, ed. Palermo

Data/e:  26 gennaio 2014

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

All’alba di questo 2014, non è solamente per celebrare l’ anniversario della prematura morte di Vitaliano Brancati (vittima illustre nel 1954 di un caso di “malasanità” ante litteram) che conviene rileggerei fendenti letterari contenuti nella sua raccolta de “I piaceri”. Ironiche e meditate, quelle «parole all’ orecchio» così attuali vanno ascoltate anche come la testimonianza di una sicilianità felice. Si può scegliere di comprarne l’ ultima edizione plastificata oppure, con qualche spicciolo in più, si può recuperare la bella e rara “prima” pubblicata nella mitica collana “Letteraria” della Bompiani. È anche per una felicità del tatto che un libro come “I piaceri” va letto sfogliando la sua carta originaria dalla grammatura povera (era il 1943), con la legatura in brossura spillata e la bella sovraccoperta rossa dove campeggia un carro stilizzato disegnato da uno dei grafici (Munari in testa) che hanno fatto la storia di quelle irripetibili edizioni. «Per felicità non s’ intende la gaiezza, ma quella che una volta si chiamava poesia»: ed è con felicità che lo scrittore di Pachino c’ impartisce la sua lezione di vita, non esitando a indicare gli avversari eletti. Se la prende con i seguaci del “profondismo” («Niente confonde l’ uomo medio come la chiarezza»), diffida di chi non ama sia i piaceri della tavola («Gli uomini più fastidiosi e crudeli seguono una dieta») sia quelli della ragione («Comprendere! Cosa c’ è di meglio?»), rimproverando pure quelli che, ascoltando la musica, la «convertono subito in immagini». E poi tesse i suoi sapienti elogi della «laboriosità della pigrizia», del discorrere non sulle donne ma «sulla donna», dei doveri dell’ amicizia, persino della crudeltà e della maldicenza. Il «migliore argomento», utile a questo sublime studio antropologico, rimangono per lui i siciliani. Brancati ne cita lucidamente difetti e vizi, annodando i suoi giudizi alla memoria amorevole di un passato fatto di piccole cose che si fanno grandi. I piaceri, appunto. Ed ecco: il suo spleen, che ha per modelli Leopardi e Stendhal, non costeggia mai fronti nostalgici e si schermisce utilizzando l’ arma tagliente dell’ umorismo. Un’arma che Brancati sa rivolgere anche contro se stesso esibendo, all’unisono coni suoi conterranei, un primato di evoluta acutezza. Da siciliano ben sicuro che «una società provvista d’ironia, anche se del tutto scomparsa, sarà sempre moderna».

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