QUANDO PIRANDELLO S’INVAGHI’ DI MURNAU – Sul libro “Sei personaggi in cerca d’autore” – Novella cinematografica / Edizioni Casagrande
Tipologia:  Articolo
Testata:  Il Corriere del Ticino
Data/e:  13 giugno 2017
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Ricorre in questi giorni il 150. anniversario della nascita di Luigi Pirandello e, numerose, fioriscono le iniziative editoriali e non, per celebrare il grande drammaturgo. Tra le più interessanti se ne segnala una di casa nostra con la pubblicazione da parte delle edizioni Casagrande di Bellinzona di uno dei testi meno conosciuti del premio Nobel per la letteratura: la versione cinematografica dei Sei personaggi in cerca d’autore . Scritta originariamente in tedesco da Pirandello e ora proposta con un’inedita traduzione del germanista Michele Cometa (autore, tra l’altro, di Il teatro di Pirandello in Germania), la sceneggiatura dei Sei personaggi non fu mai realizzata. Pirandello avrebbe voluto affidarne la regia al leggendario Friedrich Murnau ma, per varie ragioni, non se ne fece nulla. Ce lo racconta nel dettaglio Umberto Cantone, regista e studioso di cinema e di teatro che ha anche curato la fondamentale introduzione al volume.
Se è vero che ogni capolavoro è la rappresentazione di un luogo del pensiero, non v’è dubbio che questo valga soprattutto per quel paradigma del teatro contemporaneo che ancora oggi rimane Sei personaggi in cerca d’autore.
Di quel luogo sappiamo che è stato l’approdo di tante poetiche rivelatrici e seminali, che va identificato come una specie di non-luogo – un palcoscenico nudo o uno schermo nero – e che tutto ciò che vi accade non è che la proiezione dell’ossessione che conquistò il suo inquietato artefice nato proprio 150 anni fa, lo scrittore di Girgenti Luigi Pirandello, quando questi lasciò che proprio da quel vuoto emergessero (“non come fantasmi, ma come realtà create”) i suoi Personaggi decisi a riprendere in mano il proprio destino liberandosi dalle catene del copione.
Una volta attivato l’incessante laboratorio della sua opera più importante, il narratore che si era fatto drammaturgo volle utilizzare quella materia magmatica anche dopo aver scardinato con essa la forma teatro.
Per dare corpo alle ombre di quei Personaggi che da tempo lo perseguitavano pretendendo di “essere composti in un romanzo” (come egli confessò già nel ’17 in una lettera al figlio Stefano), e che s’imposero come fantasmatiche presenze in qualche novella fino ad acquistare, una volta sulla scena, un mitologico spessore fatto brillare dal rivoluzionario allestimento berlinese di Max Reinhardt nel ’23, a Pirandello non restò che entrare letteralmente in campo.
Lo fece assecondando la propria vocazione di sperimentatore nel concepire una versione cinematografica dei Sei personaggi che prevedeva la presenza di se stesso come attore protagonista nel ruolo del Poeta, nient’altro che un doppio dell’ Autore.
Ben tre furono le stesure del “trattamento” (qualcosa di più che un soggetto e di meno che una sceneggiatura) per quel film mai realizzato: le prime due all’epoca del muto, 1926 e 1928, e la terza nel 1935, quando il sonoro si era già affermato.
Quella del ’28, pubblicata in questi giorni dalle Edizioni Casagrande, è la stesura più compiuta, e appare, per la prima volta in Italia, tradotta direttamente dal tedesco, che è la lingua in cui Pirandello la scrisse insieme allo sceneggiatore viennese Adolf Lantz.
Quando, nel 1930, fu edita, come “novella cinematografica”, prima dalla berlinese Heimar Hobbing e poi, in lingua francese, da «La Revue du Cinéma», lo scrittore aveva già rinunciato, e non senza qualche rammarico, a perseguire il suo progetto destinato allo schermo. Un progetto che, per lui, era ben diverso dalle tante trasposizioni di proprie commedie e novelle a cui lo aveva sottoposto la lucrosa routine dell’industria dei film, allora nel pieno della sua Golden Age a Hollywood come in Europa. Pirandello aveva immaginato il suo Sei personaggi cinematografico come un fantasmagorico testo parallelo dove far lievitare una certa sostanza freudiana del dramma originario e molto altro.
E così si era recato a Berlino, nel ’28, con in tasca un contratto stipulato dalla casa di produzione “Feldner und Samle” per il suo film, intenzionato a scriverne il trattamento stravolgendo quel “Prologo al racconto cinematografico” del ’26 che voleva utilizzare come spunto. Prima di partire, aveva pure rivelato al redattore del mussoliniano “Il Popolo d’Italia”, Enrico La Rocca, il nome del regista adatto all’impresa e con cui sembrava avere già stretto un accordo, il Friedrich Wilhelm Murnau dell’espressionistico Nosferatu. “Solo lui potrà capirmi” – aveva dichiarato fiducioso all’interlocutore prima di apprendere con disappunto, una volta arrivato a Berlino, che Murnau si era già trasferito a Hollywood dove era stato scritturato per alcuni progetti.
Ancora una volta sorpreso dalla cinica disinvoltura dei “cinematografari”, e dopo avere rescisso il contratto tedesco, Pirandello non esitò comunque a chiudersi, con il sodale Lantz, in una camera dell’Hotel Herculeshause, dove finalmente compose in cinque giorni il decisivo “trattamento”. Una volta uscito da quella stanza, però, aveva già dimenticato tutto.
Negli anni a seguire, quando anche a Hollywood era diventato un vero e proprio brand culturale (specialmente dopo il successo al botteghino del film tratto dalla sua commedia Come tu mi vuoi con Greta Garbo), lo scrittore continuò a parlare, seppure con qualche ritrosia, del progetto cinematografico dei Sei personaggi in svariate interviste, insistendo sul proprio schema che prevedeva “l’azione sviluppata su tre piani: quello della creazione artistica, quello della finzione teatrale e della vita reale”.
La fabula del “trattamento” pubblicato da Casagrande prevede, nella prima scena, che il Poeta interpretato da Pirandello venga sorpreso, mentre è nel suo studio, da una fitta nebbia, nella quale appaiono fantasmatiche figure che lo costringono ad uscire in piena notte. Così egli s’imbatte in una ragazza vestita a lutto pedinandola poi fino alla sua abitazione dove lei abita con la Madre. Da qui si sviluppano, con un andamento onirico, gli avvenimenti che evocano, senza mai duplicarla, la trama dell’opera teatrale.
La presenza del Padre viene fortemente ridimensionata per lasciare spazio al protagonismo assoluto del Poeta e allo svolgersi di una tragedia familiare che nel film è appena sfiorata. Alla ragazza, che presto scopriamo essere la Figliastra, spetta il compito di far crescere la tensione attorno alla minaccia incestuosa che rischia di consumarsi nell’equivoca casa di moda della signora Melloni (alias Madama Pace).
Il finale è ambientato in un teatro dove si svolge una replica dei Sei personaggi , e nel quale s’inaugura un gioco di scatole cinesi degno di un film di David Lynch: la Figliastra, seduta in un palco, prima assiste a un fatale abbraccio tra l’attrice che la incarna sulla scena e il Padre, come prodromo al fatale incesto scongiurato solo dalla melodrammatica irruzione materna, per poi rimanere così sconvolta dalla scena da arrivare a “contorcersi in un urlo spasmodico”, mentre il Poeta, spettatore-voyeur di tutto e occultato dalle quinte, esce beffardamente in ribalta a prendersi gli applausi del pubblico.
In questa allucinata e perturbante versione, la prospettiva del testo teatrale dei Sei personaggi appare dunque grottescamente rovesciata: non sono più i Personaggi a inseguire il Poeta bensì è il Poeta a braccare i Personaggi, rispecchiando così la volontà pirandelliana di sondare gli aspetti più segreti e nudi della realtà lacerata, dei suoi simboli come della sua rovinata metafisica. Anche se negli anni che seguirono la delusione berlinese, Pirandello ricevette almeno un’altra decina di allettanti proposte hollywoodiane per il suo film rimasto sulla carta – e questo al punto di arrivare a scrivere nel ’35 (e quindi un anno prima di morire) un’altra versione del suo trattamento – gli fu presto chiaro che Sei personaggi non sarebbe mai arrivato sullo schermo.
A esorcizzare la sua delusione nei riguardi di quella macchina-cinema per la quale egli non esitò infine a manifestare “il più grande schifo” (come scrisse in una delle sue ultime lettere all’amata Marta Abba), non restò che il torso di quel progetto incompiuto arrivato fino a noi. Una novella cinematografica in cui Pirandello, svelatosi nei panni dell’Autore, poté finalmente spingere nell’oblio i suoi ossessivi Personaggi, non prima di aver succhiato loro la linfa vitale. Come una specie di Nosferatu.
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