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Maigret burbero e campagnolo rivive al cinema De Seta

Maigret burbero e campagnolo rivive al cinema De Seta

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Tipologia:  Articolo

Testata:  la Repubblica / Palermo

Data/e:  Venerdì 10 maggio 2019

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

Che Simenon e il cinema si attraessero vicendevolmente come dei “réciproques synonymes”, se ne accorsero ben presto quei critici che si abituarono a registrare, a partire dal 1932, l’effluvio di adattamenti sul grande schermo dei romanzi e racconti del prolificissimo scrittore belga, conosciuto dai più come l’inventore del personaggio del commissario Jules Maigret.

Eppure non c’è monografia dedicata ai film di derivazione simenoniana (fino ad oggi 15 tratti dal ciclo delle inchieste di Maigret e 44 dai cosiddetti romanzi “duri”) che non sottolinei il tradimento operato nei riguardi di quella cospicua materia narrativa dalla maggior parte dei registi scesi in campo.

Del resto, come sanno i più accaniti tra i lettori del nostro, c’è più cinema fra le righe di un suo libro che nella relativa versione cinematografica, caratteristica che esalta una delle qualità più celebrate delle opere di Simenon (e il motivo del loro ancora attuale successo), ovvero la capacità di conferire, in maniera sempre fluida e organica, una impressionistica dimensione visiva a ciò che scrive.

Ma non si può che riconoscere quanto questo esemplare dialogo tra letteratura e cinema, fatto di consonanze e discordanze, abbia prodotto negli anni non pochi esiti felici. Due di questi sono sicuramente i film arrivati sugli schermi del cinema De Seta, grazie all’iniziativa dell’Associazione Lumpen di Franco Maresco in collaborazione con l’Institut français di Palermo.

Si tratta di due gioielli del cinema simenoniano ammirevolmente restaurati dalla Fondazione Cineteca di Bologna. Un vero delitto è stato perdersi, per i più distratti, la proiezione del 3 maggio scorso di “Panique” (1946) che Julien Duvivier intagliò magistralmente, mantenendone l’impressionante asprezza, dal romanzo “Il fidanzamento del signor Hire”, con l’interpretazione, al contempo mimetica e straniata, di Michel Simon.

Non meno imperdibile è la prova offerta da un altro grande attore del cinema francese, Jean Gabin, protagonista del film programmato stasera (ore 21, presentazione di Eric Biagi e di Ena Marchi, editor del Simenon pubblicato da Adelphi): “Maigret e il caso Saint-Fiacre”, diretto nel 1959 da quel solido mestierante che fu Jean Delannoy.

Tra tutti i Maigret incarnati sul grande e piccolo schermo (l’ultimo in ordine di tempo è Rowan Atkinson infelicissimo nel ruolo almeno quanto lo fu, qualche anno fa, il nostrano Sergio Castellitto, entrambi in tv), quello di Gabin è il più saturnino, burbero e abbastanza campagnolo da piacere allo stesso Simenon che lo lodò almeno quanto l’amico Pierre Renoir e l’italiano Gino Cervi, così umano e così terragno.

La vicenda del “caso Saint-Fiacre” è un approccio ideale al mondo di Maigret, dato che si svolge interamente a Moulins, sua cittadina d’origine dove egli è richiamato dall’allarmato messaggio di un’amica d’infanzia, la contessa del castello dove il padre del commissario svolgeva le funzioni di fattore.

Al compimento del delitto annunciato, l’indagine prende corpo seguendo un andamento da whodunnit deduttivo che per lo scrittore è l’occasione per un ruvido affondo, venato di malinconia, che ha come obiettivo le miserie della provincia francese.

Delannoy insegue le taglienti sottigliezze di Simenon, affidando al sardonico ghigno di Gabin la materializzazione di quella visione implacabile della dimensione umana su cui si fonda la materia, ancora ribollente, di cui sono fatte le sue storie.

 

 

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