“L’Ora” di Georges Simenon
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  10 agosto 2013
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
IL 7 GIUGNO DEL 1930 “L’ORA” DI PALERMO PUBBLICO’, PRIMO FRA TUTTI I QUOTIDIANI ITALIANI, UN ROMANZO A PUNTATE DI GEORGES SIMENON, L’AUTORE DELLE STORIE DEL COMMISSARIO MAIGRET. FINO A OGGI SI CREDEVA CHE “IL CONTRABBANDIERE GENTLEMAN” DI GIORGIO SIM FOSSE APPARSO PER LA PRIMA VOLTA SUL SETTIMANALE “IL GAZZETTINO ILLUSTRATO” E, NEL 1931, SU “LA STAMPA” DI TORINO.
Verificare è stato facile, con un semplice raffronto di date. Mi è bastato avere scoperto il riquadro in prima pagina che, nel numero del 7 giugno 1930 del più rinomato dei quotidiani siciliani, L’Ora di Palermo, annunciava al suo interno una nuova puntata di Il contrabbandiere “gentleman”, romanzo scritto da “Giorgio” Sim, trasparente pseudonimo italiano di Georges Simenon, futuro artefice del celeberrimo commissario Maigret.
La mia indagine è stata breve, frutto di elementari collazioni. Mi ero imbattuto nel primo romanzo di Simenon pubblicato da un quotidiano italiano.
Fino a oggi, secondo le bibliografie più scrupolose, l’iniziativa sembrava da ascrivere a La Stampa, che in questi anni non ha mancato di farsene un vanto. Ma in realtà il quotidiano di Torino ospitò quel titolo solamente un anno dopo, dal 14 marzo al 3 maggio del 1931, a seguire la pubblicazione nel settimanale veneziano Il Gazzettino Illustrato, avvenuta nell’ottobre 1930, comunque quattro mesi dopo quella de L’Ora.
Fu dunque palermitano il primo quotidiano ad avere pubblicato un Simenon in Italia. Un primato che Palermo può godersi fino a quando qualche ricercatore, più scrupoloso di noi, riuscirà a smentirlo.
Chiunque collezioni edizioni simenoniane sa infatti di avere a che fare con un corpus sterminato, una nebulosa editoriale la cui cronologia può ancora oggi essere messa in discussione.
E sappiamo bene quanto sia impossibile scindere l’irrequieta personalità dello scrittore alla sua smisurata produzione che continua a imporlo come uno degli esempi più luminosi di bulimia creativa della letteratura novecentesca.
Parliamo di un incredibile corpus che comprende non solamente i 146 romanzi e i 143 racconti pubblicati da Simenon col proprio nome completo, ma anche i 76 romanzi e i 27 racconti del ciclo Maigret e, in più, i 191 romanzi e i 1076 racconti del primo periodo della sua attività, siglati con decine di fantasiosi pseudonimi.
In Francia, il pantagruelico banchetto imbandito da questo stacanovista della scrittura è stato quasi interamente pubblicato e catalogato. In Italia, invece, resta ancora molto da tradurre.
A partire dal 1932, la Mondadori si è impegnata a diffondere con successo l’opera di Simenon attraverso una ventina di collane dedicate sia ai long sellers della serie Maigret sia ai cosiddetti romans durs (i non-Maigret) che da noi hanno conosciuto una reale popolarità solo in tempi recenti, grazie alla loro sistematica pubblicazione, ancora in corso, da parte della casa editrice Adelphi, dal 1985 a oggi proprietaria dei diritti italiani dello scrittore.
Il romanzo in 45 puntate apparso su L’Ora, Il contrabbandiere “gentleman”, appartiene alla stagione del tirocinio, l’iniziale fase “alimentare” nel corso della quale il giovane Simenon si allenò, per usare una sua definizione, “a impastare il gesso”, impadronendosi dei più segreti meccanismi del mestiere e trasformandosi in un efficiente promoter di se stesso.
Una febbrile dedizione all’esercizio della scrittura che, prima di produrre una nuova “commedia umana”, produsse una serie di racconti e romanzi dei generi più svariati (dall’avventuroso al sentimentale, dal thriller al fantasy): pura letteratura d’appendice, dove a dominare è soprattutto l’intreccio, a uso e consumo di pubblicazioni periodiche a basso costo.
Per quanto riguarda le edizioni italiane, ce ne rammentano alcuni titoli Marco Biggio e Andrea Derchi, gli autori di Simenon in Italia, indispensabile guida bibliografica dello scrittore: Ritorno!, Cuore di bambola, Vita infranta, Un’ombra nella notte, La stretta tragica, e altri simili che lo scrittore firmava una volta Jean du Perry e un’altra volta Giovanni Dorsage o Germano D’ Antibes o Gastone Vialis, e più spesso Georges Sim.
Il contrabbandiere “gentleman”, ovvero Destinées, fu pubblicato per la prima volta dalle edizioni Fayard di Parigi nel 1929 e, in Italia mai diffuso in volume (si conta pure un ripescaggio del 1999 nel supplemento Tuttolibri di La Stampa quando ha voluto celebrare il proprio illusorio primato). E’ l’avvincente narrazione delle peregrinazioni di una coppia d’immigrati a New York: il parigino “Giacomo” Arbaud e la figlia di un coltivatore irlandese, “Elsa” O’Neil. I due vivono una serie di traumatiche, avventurose vicissitudini che li separano, a causa dei loschi affari di lui, corriere della droga tra la Grande Mela e Parigi e, di conseguenza, costantemente braccato dalla polizia. Per definire un prodotto letterario come questo, basta prendere come riferimento le categorie relative al romanzo popolare postulate da Antonio Gramsci nei quaderni di Letteratura e vita nazionale. In Il contrabbandiere “gentleman” c’è il “tipo sentimentale” e c’è quello “di puro intrigo”, in un singolare mélange di poliziesco e thriller con esotici sconfinamenti nel genere “avventuroso-geografico”. Anche in questa iniziale prova di muscoli, dunque, Simenon confermò la propria vocazione di sperimentatore applicando a modo suo le regole del romanzo d’appendice.
Il contrabbandiere Giacomo, per sfuggire all’ispettore Jackson (che somiglia allo Javert de I Miserabili), si traveste da vecchia signora come un cavaliere da cappa e spada, si ritrova invischiato in una guerra tra gang rivali e, a dispetto della sua novella sposa Elsa, s’invaghisce della femme fatale di turno, come un qualunque villain da romanzo pulp.
La riconciliante svolta finale, alla maniera di Carolina Invernizio, prevede che la coppia protagonista riesca a coronare il proprio sogno di normalità: l’ultima puntata narra di Elsa e Giacomo in fuga, a bordo di una motocicletta, verso un’agognata “fattoria in Arizona”, che lascia prevedere per loro un futuro da rispettabili esponenti della middle class.
Al di là di tali stilemi, Il contrabbandiere “gentleman” esibisce lo schizzo di quelle architetture sulle quali, da lì in poi, andrà a fondarsi l’originalissimo edificio romanzesco di Simenon. Tipicamente simenoniane appaiono certe acri notazioni sulla società statunitense, assieme all’abile tratteggio psicologico di protagonisti e comprimari (perduti tra la folla come nel celebre film di King Vidor), e ad affondi di cinico umorismo col contrappunto di lancinanti passaggi come questo: “In solitudine vanno a morire le bestie feroci, quando sentono che la vita le abbandona, per il pudore di celare cosa sarà un cadavere”.
Insomma, questo prodotto della preistoria simenoniana non è del tutto privo di fascino. Come poi abbia fatto Destinées a finire sul tavolo della redazione palermitana de L’Ora è presto detto.
Il romanzo faceva parte di un pacchetto di titoli (tra i quali La collana della regina di Alexandre Dumas padre) ceduto al giornale dall’Agenzia Letteraria Internazionale che, dal 1898 per qualche decennio, acquistò i diritti di alcuni feuilletons da pubblicare a puntate su periodici nazionali.
La traduzione di Il contrabbandiere “gentleman” è attribuita a un certo Giulio Bazzi che potrebbe essere uno degli pseudonimi dietro ai quali si nascondeva il fondatore dell’Agenzia, Augusto Foà, un bizzarro intellettuale poliglotta che arrotondava così lo stipendio d’impiegato in una società telefonica.
A Foà va dunque riconosciuto il merito di essere stato il primo agente letterario italiano di Simenon, avendo importato una parte della sua iniziale produzione. Dubito che sia possibile rintracciare nell’archivio storico de L’Ora una copia del contratto che riguardò i diritti di pubblicazione del romanzo.
A sottoscriverlo pare che sia stato il giornalista Nino Sofia che, dal 1927 al 1932, su incarico del proprietario Filippo Pecoraino, diresse il quotidiano, per alcuni mantenendo una relativa indipendenza che seppe tenere testa ai diktat censori del regime mussoliniano, e per altri contribuendo alla definitiva fascistizzazione della testata.
In ogni caso, è un segno di lungimiranza, se non di coraggio,avere ospitato, tra quelle controllate colonne, le gesta del moderno Rocambole di Giorgio Sim.
A solleticare i lettori italiani c’era la scelta di ambientare la vicenda a New York, che per l’ Italietta di allora era un modello di corruzione ma anche di libertà.
E c’era pure il sulfureo ribellismo di Giacomo Arbaud che anticipa quello degli outsiders anarcoidi del Simenon maturo, poi descritti in capolavori come La vedova Couderc, La neve era sporca, Il fuorilegge, Il cargo, Pioggia nera.
Il primato de L’Ora, da ora in avanti consegnato alle bibliografie ufficiali, svela dunque una piccola ma significativa apertura culturale, e la sua scoperta -che ho il piacere di divulgare- è da considerare un tributo alla gloriosa testata di Palermo, costretta a interrompere traumaticamente le pubblicazioni nel 1992.
Quel romanzo remoto, indicatore di uno straordinario talento in progress, fu pubblicato dal quotidiano palermitano come appendice estiva (nell’ultima pagina e a taglio basso) dal 7 giugno al 16 agosto, con un paio d’interruzioni strategiche (probabilmente la traduzione era in corso d’opera) che lasciarono spazio alle conclusive puntate di un altro feuilleton, Le passioni di una ragazza corsa, scritto da Gaston Richard.
Perché i lettori non perdessero nemmeno un capitolo di Il contrabbandiere “gentleman”, L’Ora offrì un abbonamento promozionale per tutto il periodo della sua pubblicazione al costo di 33 lire e 20 centesimi.
Era il 1930 e un anno dopo sarebbe uscito negli Stati Uniti Santuario, lo scabroso exploit letterario di William Faulkner che avrebbe cambiato le prospettive del romanzo (non solo del romanzo popolare), la storia di un gangster assai poco “gentleman” e della sua vittima diciassettenne stuprata sull’altare del crimine senza redenzione. In quello stesso 1931, Simenon diede alle stampe il suo primo Maigret della serie, l’inchiesta di Pietr-le Letton.
Per l’occasione utilizzò finalmente il proprio nome per esteso, e così poté avventurarsi nel maelstrom della sua fruttuosa carriera di letterato antiletterario.
Da quella svolta in avanti, Simenon continuò a percorrere con maggiore determinazione il sentiero impervio della sua indagine primaria, condivisa con i grandi scrittori del Novecento.
L’indagine dolorosa, e fatalmente autoriflessiva, sull’“uomo nudo”. Sulla materia di cui noi tutti, nel bene e nel male, siamo fatti. »
Umberto Cantone
- GALLERY -