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L’ignoto film capostipite dei “mafia movie”

L’ignoto film capostipite dei “mafia movie”

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Tipologia:  Articolo

Testata:  La Repubblica, ed. Palermo

Data/e:  3 luglio 2016

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

La frase di lancio sul manifesto alludeva al capolavoro di Pietro Germi che, nel 1949, aveva sbancato al botteghino e fatto incetta di Nastri d’argento: “Al nome della legge risponde la legge dell’onorata società”. Così volle farsi trash Gente d’onore (1967), uno dei capostipiti del mafia movie, filone fruttuoso destinato a suscitare l’indignazione di tutti (fuorché dei cinefili), almeno “fino a quando ci sarà memoria di una realtà che si è voluta mistificare”, come una volta ha scritto Leonardo Sciascia a proposito de Il siciliano di Cimino. Diventato col tempo una rarità cult, anche per merito di una trama iperbolicamente pasticciata che potrebbe far gola a Quentin Tarantino, Gente d’onore è stato sottratto all’oblio solo di recente, grazie all’edizione in Dvd della Medusa Video, sulla cui copertina campeggia l’aplomb latino di Folco Lulli,  corpulento villain del nostro cinema più popolare, che di questo film è stato il demiurgo, avendolo scritto, diretto e interpretato. Chissà cosa spinse quel sanguigno caratterista fiorentino, ex eroe partigiano poi richiestissimo dai maestri (De Santis, Lattuada, Soldati, Monicelli e, addirittura, il Clouzot di Vite vendute), a imbarcarsi nell’impresa di questo bizzarro western d’ambientazione sicula però girato a Latina e dintorni (tranne un paio di location nelle piazze di Palermo). Storia di sette killer mafiosi che Cosa nostra vuole fare fuori almeno quanto i carabinieri, e che per questo macinano chilometri con la promessa di un imbarco verso l’agognato “continente”. Finiranno vittime di “fimmini” volitive e di “giuda” implacabili, tutti tranne il protagonista Folco Lulli che, in conclusione, si libera della coppola e, travestitosi da vedova con tanto di veletta, fa giustizia del turpe boss che ha venduto lui e i suoi picciotti. Un film come questo (o come La legge della mafia, prodotto un anno prima dalla Astor Film di Mario Bianchi, fotografo di Marsala, e dopo il debutto sparito pure dai dizionari), oltre a produrre divertimento involontario buono a solleticare il senno di poi, ci fa capire quale fosse, in quegli anni, l’idea corrente circa il “paese dove solo i morti hanno la bocca aperta”. Gente d’onore uscì nello stesso anno di A ciascuno il suo, il primo dei numerosi adattamenti sciasciani che a quel tempo funzionarono da efficace antidoto all’immaginario dominante. Prima che l’epica della mafia e dell’antimafia finissero, in forma di omologante fiction da prime time, nello stesso tritacarne del Midcult televisivo.

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