La morte a Venezia (Der Tod in Venedig) di Thomas Mann – Prima edizione italiana del “Quadrante” / Bietti
Autore/i:  Thomas Mann
Tipologia:  Romanzo breve
Editore:  Edizioni del Quadrante, Collana "Romantica", n. 2
Origine:  Milano
Anno:  1930 (28 agosto)
Edizione:  Prima edizione italiana coeva a quella di Fratelli Treves Editori. Seguito dal dramma "Fiorenza" (1907)
Pagine:  (8) 256 ("La morte a Venezia": p. 1 - 106)
Dimensioni:  cm. 19,3 x 13
Caratteristiche:  Brossura muta con sovraccoperta a colori applicata. In copertina un disegno di Marcello Dudovich.
Note: 
Prima edizione italiana di Der Tod in Venedig (1912), romanzo breve di Thomas Mann. Questa edizione fu stampata il 28 agosto 1930 nelle Officine grafiche della S.A.T.E. di Milano per conto delle «Edizioni del Quadrante» (che ne fece il n.2 della sua collana «Romantica»). La
La Casa Editrice Bietti di Milano rilevò la stessa edizione che reca la medesima dicitura di quella delle «Edizioni del Quadrante» e la medesima data del finito di stampare, 28 agosto 1930. Una copia di questa edizione è presente in archivio.
Il volume è in brossura di colore marrone illustrata da fregio riquadrato con titoli in nero ( pp.256, cm. 19 x 13).
Entrambe le edizioni presentano La morte a Venezia, tradotto da A.Scalero, accoppiato a Fiorenza (traduzione di B.Giachetti Sorteni), dramma che esplora un conflitto di passioni e ragioni fra Girolamo Savonarola e Lorenzo il Magnifico nella Firenze del 1492, scritto da Mann nel 1907.
Nella copertina dell’edizione del «Quadrante» campeggia un disegno a colori del grafico Marcello Dudovich (uno dei padri del moderno cartellonismo pubblicitario italiano), con in primo piano la figura stilizzata di Aschenbach, protagonista di La morte a Venezia, che ha come sfondo una porzione di paesaggio del Lido.
Oltre a queste due, c’è un’altra edizione di La morte a Venezia pubblicata nel 1930, quella della Fratelli Treves (vedi scheda in archivio) dove l’opera di Mann apparve insieme a Confessioni di un cavaliere d’industria con le traduzioni di Emma Virgili e Paolo Milano.
Sinossi: 
In un pomeriggio di primavera del 19… Gustav von Aschenbach, scrittore rinomato, esce dalla sua abitazione per una lunga e riposante passeggiata. Arrivato vicino al cimitero della città, mentre aspetta il tram, vede da lontano un uomo singolare, in apparenza uno straniero, che lo fa riflettere sulla possibilità di fare un viaggio per uscire dalla quotidianità. Dopo quell’incontro, lo scrittore viene trattenuto a Monaco fino a quando, nella seconda metà di maggio, decide di partire alla volta di Pola, alla ricerca di un luogo appartato ma facilmente raggiungibile. Così sceglie un’isola dell’Adriatico non lontana dalla costa istriana. Il brutto tempo, gli sgradevoli ospiti dell’albergo dove risiede, insieme al mancato contatto con il mare che desiderava, lo indispongono e, dopo dieci giorni, egli decide di partire per Venezia. A bordo di un traghetto, Aschenbach giunge nella città coperta da nubi, e subito ricorda quando, da giovane, si recava a Venezia via terra. Una volta approdato al Lido, egli viene trasportato all’Hotel des Bains da un gondoliere scorbutico e sgradevole. Tra gli ospiti dell’albergo lo scrittore nota subito un ragazzo estremamente bello, di nome Tadzio. Ogni volta che gli capita d’incrociarlo, Aschenbach non riesce a frenare un acuto turbamento. L’afa che imperversa nella città lagunare lo convince a una repentina partenza, ma un errore nella spedizione del proprio baule lo costringe a prolungare il soggiorno. Intanto si diffonde la voce che il colera, venuto dall’Asia, stia mietendo le prime vittime, anche se le autorità locali tentano di minimizzare il pericolo. Aschenbach non teme l’epidemia, e anzi spera che l’allarme, una volta diffuso, possa consentirgli di rimanere al Lido, da solo con il ragazzo. Una serata, trascorsa di fronte allo squallido spettacolo di un gruppo di suonatori ambulanti, gli rivela la presenza di un ambiguo chitarrista e cantante, capace di provocare l’ilarità degli ospiti dell’albergo. Col passare dei giorni, Aschenbach combatte i segni del proprio decadimento fisico abbandonandosi a un’ossessiva passione per Tadzio, tentando pure di elaborarla intellettualmente. Un giorno, in preda al morbo che ormai lo ha contagiato, egli si reca in spiaggia, sdraiandosi di fronte al mare. Davanti a lui, Tadzio cammina sulla battigia. Non appena il ragazzo incrocia il suo sguardo, Aschenbach muore. E allo scrittore sembra che egli abbia assunto la forma di Ermes, guida delle anime, indicandogli un punto all’orizzonte per traghettarlo a volo “verso benefiche immensità”.
Quando nel 1912, dopo un anno di lavoro, uscì la prima edizione di Der Tod in Venedig, ciò che inizialmente doveva essere soltanto un breve intermezzo al libro di Felix Krull, al quale Thomas Mann stava lavorando in questo periodo, era diventata una novella di novanta pagine. Oggi è considerata opera fondamentale dell’autore, rilevatrice come poche altre, e ha preso posto tra i capolavori della letteratura europea formando una specie di memoria condivisa.
Basti pensare ad alcuni aspetti chiavi del testo: il protagonista Gustav von Aschenbach, uno scrittore dotato di alto senso di responsabilità, vive una costante lotta tra volontà (Wille) per la produzione artistica da una parte e stanchezza e oziosità (Müdigkeit und Müßigkeit) dall’altra, e che nonostante il suo motto preferito “resistere” (Durchhalten) decide di abbandonare il lavoro e di compiere il viaggio fatale a Venezia. Poi il ragazzo, quella “creazione divina” di nome Tadzio, con i suoi capelli lunghi di “color miele” e il braccio “scolpito in modo così morbido”, che fa irrompere la passione e causa il degrado di uno spirito apparentemente saldo, argomento tanto caro a Mann fin dai primi racconti giovanili dell’Ottocento. Ai nomi di Aschenbach e Tadzio si unisce la descrizione manniana della città stessa, il Palazzo Ducale che gli appare come il tempio di una fiaba (Märchentempel) oppure le gondole, “nere come sono solo le bare” con “il sedile più morbido, invitante e riposante del mondo”. Poi ancora, l’ambiente del Lido e del Grand Hotel des Bains con la mondanità che lì si respirava all’inizio del Novecento. Dietro invece si espande la laguna, con il suo odore di marcio e con la sua “foschia da febbre” (Fieberdunst) che genera la malattia, quel pericolo reale qual’era il colera, che però è solo sintomo esterno, un’allegoria, per una malattia interiore che si rivela altrettanto mortale.
Le interpretazioni che offre La morte a Venezia sono diverse e diverse sono le tante letture che sono state “adoperate” nei cent’anni della sua vita. Sono stati messi in evidenza gli immancabili aspetti autobiografici, i riferimenti ai grandi artisti ispiratori, soprattutto Gustav Mahler, August von Platen e Richard Wagner, l’onnipresente binomio di eros e thanatos, le problematiche intorno alla figura dell’artista, la malattia e la décadence.
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