La mia vita di Giacomo Casanova nella versione di Giovanni Comisso
Autore/i:  Giacomo Casanova (versione di Giovanni Comisso)
Tipologia:  Memoriale
Editore:  Longanesi & C., Collana "Il Cammeo", n. 131
Origine:  Milano
Anno:  1958 (novembre)
Edizione:  Prima. Numerata di milleduecento copie (n.378)
Pagine:  2579 distribuite nei 4 volumi
Dimensioni:  cm. 23 x 15,5 ogni volume
Caratteristiche:  4 volumi, legatura in pelle con fregi e titoli sul dorso in oro. All'interno, 32 litografie di Guido Somaré distribuite nei 4 volumi
Note: 
Celebre versione delle Memorie di Giacomo Casanova a cura dello scrittore Giovanni Comisso. I quattro volumi indivisibili, corredati dalle 32 litografie in nero fuori testo di Guido Somaré, sono stati pubblicati nel novembre 1958 da Longanesi per la collana «Il Cammeo», n.131 (Stabilimento Grafico R. Scotti di Milano).
Edizione numerata di 1200 copie: copia n.378.
I volumi sono in ottimo stato di conservazione.
In GALLERY sono presenti alcune illustrazioni di Guido Somaré composte per questa edizione
Sinossi: 
« Casanova, ritrovandosi nel 1772, a quarantasette anni, in Ancona, dove nella sua gioventù aveva goduto felicemente, volge per la prima volta lo sguardo indietro nella vita e si accorge di aver perduto quel fascino che per lungo tempo gli aveva aperto tante porte della fortuna. Da allora fino alla sua morte subirà un lento, ma irrefrenabile precipitare, che sarà confortato soltanto dal ricordo delle ebbrezze, delle avventure incredibili e delle felici imprese. Da questo ricordare sorgerà la storia della sua vita. Nel 1787, quando da due anni era bibliotecario del conte di Waldstein, aveva pubblicato La storia della mia fuga dai Piombi, che si poteva considerare già scritta nel giorno della fuga, perché ne aveva fatto innumerevoli relazioni orali a quanti lo richiedevano, suscitando sempre attento interesse. Alla fine di questa pubblicazione aveva detto: «Quando mi prenderà la voglia di scrivere la storia di tutto quello che mi è avvenuto, durante i diciotto anni passati percorrendo tutta l’Europa, fino al momento in cui piacque agli Inquisitori di Stato di accordarmi il permesso di ritornare libero nella mia patria, in una maniera che mi fu onorabilissima, comincerò da questa epoca e i miei lettori la troveranno scritta con lo stesso stile, perché non è possibile a uno scrittore averne due, come non vi è un volto che abbia due fisionomie. O la mia storia non apparirà mai o essa sarà una vera confessione». Nel gennaio del 1788 scrive a Ferdinando Opiz: «Per quanto riguarda la storia della mia vita, credo che potrà essere scritta da qualcuno dopo che avrò finito di vivere», ma in una lettera al conte Massimo De Lamberg, alla fine del 1790, dà invece l’annunzio che ha già incominciato a scriverla egli stesso. (…)
Nel luglio del 1793, in altra lettera, sempre a Opiz, dice: «Per quel che riguarda le mie Memorie, credo che le lascerò là, perché dopo l’età di cinquant’anni non posso offrire che tristezza e questo mi rende triste. Le ho scritte solo per divertire i miei lettori, ora li affliggerei e questo non serve».
Da allora, per cinque anni, fino alla morte, avvenuta il quattro giugno del 1798, lavorerà a rivedere queste Memorie, a togliere e ad aggiungere o a rifare molte parti, senza decidersi a pubblicarle sebbene i suoi amici dopo averle lette gli abbiano dato la cetera di avere scritto un libro straordinario. Le Memorie sono state scritte ed elaborate in circa otto anni, dalla fine del 1790 alla sua morte e, come risulta dalla sua lettera a Ortiz, non ha avuto intenzione di continuare i ricordi oltre i cinquant’anni, cioè dopo il suo ritorno a Venezia, nel 1774, sebbene spesso nei capitoli precedenti avverta che avrebbe riparlato di certe persone incontrate dopo quella data. Deve essersi trattenuto dal proseguire, non solo per la tristezza di quest’ultima parte della sua vita, ma per l’ostacolo di dovere narrare e giustificare il massimo avvilimento subìto, quando per la miseria divenne spia stipendiata dagli Inquisitori di Stato.
Il manoscritto delle Memorie ereditato dal nipote Carlo Angioini, venduto all’editore F.A.Brockhaus di Lipsia, venne pubblicato per la prima volta tra il 1822 e il 1828 in un’edizione tedesca curata da Wilhelm von Schütz. Successivamente per incarico dello stesso editore, Jean Laforgue, professore di francese all’Accademia dei Nobili di Dresda, curò un’altra edizione in francese, seguendo il manoscritto che era stato steso in questa lingua. Le due edizioni pure fatte dal testo originale presentano spesso diversità tra loro dovute alla iniziativa dei due compilatori. Così una terza edizione pubblicata a Parigi, tra il 1833 e il 1837, da Paulin-Rozez, presentò ulteriori varianti, che l’editore Brockhaus confermò rispondenti al testo originale, da lui tenuto riservato, e con molta probabilità dovute a stesure trovate tra le carte di Casanova a Dux.
Per questa edizione italiana ci si è serviti dell’edizione francese, apparsa a Parigi nel 1924, presso La Sirène, a cura di Raoul Vèze, che segue l’edizione Laforgue, ma sono state tenute in considerazione le varianti delle edizioni Von Schütz e Paulin-Rozez. Tra più varianti si è scelta quella rispondente al migliore spirito di Casanova per spigliatezza, vivacità e concisione. A differenza di tutte le precedenti edizioni si è cercato di correggere molti nomi di paesi e di persone storpiati per svista di Casanova e dei vari curatori, inoltre, dove è stato possibile, sono stati sostituiti i nomi veri di persone e di luoghi alle semplici iniziali che lo stesso Casanova aveva utilizzato per celarli.
(…) Un rimprovero da fare a Casanova sarebbe quello di non avere usato nelle sue Memorie la lingua italiana, privando la nostra letteratura di un’opera che avrebbe avuto un’influenza decisiva nella nostra narrativa per tutto il secolo scorso. Ha preferito la lingua francese, perché nel Settecento era più diffusa della nostra. Egli stesso aveva constatato, visitando una libreria, a Lodi, che non esisteva nella nostra letteratura un solo buono romanzo in prosa e bisognava servirsi di quelli spagnoli, inglesi e soprattutto francesi. Se le sue Memorie fossero state scritte in italiano, finalmente questa lacuna sarebbe scomparsa.
È tempo ormai che quest’opera sia presa in considerazione non per quello che Casanova narra, ma per come narra: per il suo stile. La rapidità degli avvenimenti e il concatenarsi dell’uno all’altro nel continuo trapiantarsi da una città all’altra per tutta l’Europa, quasi come un’anticipazione del ritmo bellico di Napoleone, danno il pregio della vitalità a questa narrativa. La novità dello stile è scandita dalla rapidità delle carrozze di posta o dei suoi quattro cavalli quando li aveva a disposizione. Non è uno stile da letterato sedentario e misantropo, è uno stile da esaltatore della vita, che colla sua irrequietezza sembra prevedere l’europeo futuro. Nella letteratura italiana allora mancava non solo un buon romanzo in prosa, ma ancora l’idea di uno stile così veloce e denso di avvenimenti. L’azione si fonde col dialogo, il cale diventa azione interiore. Ogni dialogo, attraverso le varie battute, porta sempre a una risoluzione psicologica persuasiva. Ogni dialogo conferma la sua necessità e di venga un’evidente creazione.
Certamente Casanova aveva una memoria terribile, ma ad alcune decine d’anni di distanza, poteva solo ricordar il tema di quei dialoghi, non tutte le battute. Quindi non poteva averli fedelmente riportati, ma li creava scrivendo. Aveva avuto nella sua vita due grandi maestri: la Commedia dell’Arte e Carlo Goldoni, che amava e sosteneva. Dalla Commedia dell’Arte aveva assimilato lo spirito inventivo e da Goldoni quello del realismo. Ma soprattutto l’ambiente particolare di Venezia gli aveva dato l’impulso favorevole. Venezia, quale città chiusa, forma dovunque un salotto ed è la madre del dialogo. Improvvisare un dialogo a Venezia era un poco come al tempo di Petrarca improvvisar sonetti. Era una facoltà diffusa nell’aria. In Venezia, specie nel Settecento, la vita brillava nel dialogo per segnalarsi, imporsi, per attrarre pubblico, donne amate, persone potenti, per togliere la noia e portare alla seduzione, alla convinzione, alla risata finale che avrebbe dato fama all’interlocutore dominante. Il dialogo veneziano matura come un frutto naturale in Goldoni e subito dopo in Casanova, ma con la novità di venire inserito nella prosa narrativa. Casanova, nato sulla scena, aveva sempre delirato per il teatro e sempre aveva avuto il gusto della recitazione per strabiliare e per commuovere gli ascoltatori. I suoi dialoghi hanno tutti una funzione scenica e risolutiva e si devono ritenere rielaborati a distanza col corredo di molta fantasia teatrale. Dovevano essere proprio questi dialoghi col suono delle voci rievocate a dargli nella sua triste vecchiaia quel confortante distacco che lo riportava ai tempi felici. Nello scriverli doveva sentire di comporli come per essere recitati, se prima dell’inizio e dopo la fine, usava nella narrazione il tempo presente, come nelle didascalie teatrali. E rivela questa sua finzione quando spesso soggiunge: «Ella sostenne benissimo la sua parte» oppure: «Così avvenne lo scioglimento della scena».
(…) L’assenza di studi critici sullo stile delle Memorie è dipeso presso gli italiani dall’essere state scritte in francese e presso i francesi dall’essere state scritte da un italiano. Ed è stato infine anche colpa della materia di questa opera, che in prevalenza sensuale ha fatto perdere la testa a chiunque vi si avvicinava, con adesioni folli o con opposizioni oscure dovute a inconsapevoli complessi. Così un’opera tanto importante nella rivoluzione dello stile narrativo è stata messa fuori posto per lungo tempo sotto la qualifica inquietante di oscena. (…) La presente edizione ha lo scopo di contribuire a riportare l’opera di Casanova nella nostra letteratura, ricuperando un capolavoro perduto che le appartiene. Le è stato dato il titolo: La mia vita, che è il primo fissato da Casanova. »
(Giovanni Comisso, brani tratti dalla Prefazione alla presente edizione)
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