Il dramma del chiedere di Peter Handke – Regia di Umberto Cantone
Tipologia:  Spettacolo
Di:  Peter Handke
Regia:  Umberto Cantone
Location:  Santa Maria dello Spasimo, Palermo / Festival di Taormina Arte Teatro
Data/e:  28-29-30 agosto 1998 (edizione Palermo) / 13 - 14 ottobre 1998 (edizione Taormina Arte)
Produzione:  Associazione Culturale Idearte
Cast:  Roberto Herlitzka, Gianpaolo Poddighe, Vincenzo Bocciarelli, Valentina Banci, Bianca Toccafondi, Giuliano Esperati, Massimo Geraci, Franco Javarone
Costumi:  Enzo Venezia
Scene:  Enzo Venezia
Note: 
Un progetto di Ezio Trapani
Traduzione italiana di Michele Cometa
Musiche: Mario Modestini
Direttore di scena: Riccardo Perez
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UN MISTERO MODERNO di Umberto Cantone
Ritrovarsi nel territorio di un teatro possibile (o del suo sogno) dove le parole liberano solo pensieri terminali, contrappunto a un silenzio in grado di restituire la qualità di uno stupore infantile, primitivo, originario.
Il “chiedere” di Handke s’impone come utopia utile per tutti. Esperienza di viaggio e ricerca, dramma e gioco.
Un’esperienza che può dire molto oggi, in una realtà di rovine ideologiche e simulacri estetici e mediali.
Come possiamo ancora riconoscerci, noi e gli altri. Come riconoscere le questioni fondamentali in un epoca di muri crollati e di infinite domande senza risposta?
Questo mistero moderno e minimalista, questa enigmatica metafora sulle estreme possibilità di rappresentare l’irrappresentabile è stato per noi che abbiamo voluto metterlo in scena una specie di psicodramma.
Ognuno degli interpreti è stato chiamato a mettersi in gioco, a esporsi generosamente nell’affrontare sulla scena il coacervo di complessità e sfumature che la struttura stessa del dramma prospetta. Battute e sottotesti, relazioni e astrazioni.
Handke ci ha costretti tutti a capire che la sfida del suo testo enigmatico e proteiforme pretendeva di essere rappresentato con estrema, scandalosa sincerità.
Un’allegoria di figure perdute nella “regione del chiedere”,zona dello scontento universale dove sembrano affluire e gorgogliare le ultime azioni e parole del mondo. Un concerto filosofico.
I personaggi sembrano essere sfuggiti al controllo dell’autore, liberi di scatenare dialetticamente le propria dualità. Il Guastafeste, filosofo-farfalla del pensiero negativo è tutto teso a demolire ironicamente le proprie stesse teorie. Il Guardatore del Muro recita il proprio euforico sgomento evocando un’utopia malinconicamente evanescente, smarrito nel confronto con una realtà sempre più vaporosa e inintelligibile. Due sono le coppie che si specchiano in emblematico contrasto: quella dei vecchi attori, impegnati a invocare i fantasmi di una dimensione lirica ormai tramontata; e quella degli attori giovani a cui spetta l’angoscioso compito di incarnare nevroticamente le domande sul nostro presente, denunciandone l’irrisolvibilità. Altre figure sono il muto Parzival, per il quale la parola è un esercizio rivelatore di nuove ed estenuanti domande. E “Quello del Posto”,maschera da commedia dell’arte a cui spetta il compito di svelare sapienzialmente l’insistenza di pochi ma dirimenti enigmi originari.
Tutti loro contribuiscono alla espressione di questo lancinante rituale del chiedere. E poco importa se da questo gioco usciranno perdenti.
In verità, già fin dall’inizio il dramma sembra essersi consumato. La “zona” dell’azione è il regno di un gioco scenico, dove ogni macchineria ha lasciato spazio alle forze residue di una parola che vorrebbe (vanamente?) lasciare affiorare quel che resta del cosiddetto “spirito umano”.
Intuiamo che, oltre il confine segnato da un muro già crollato, c’è un altro orizzonte. Un’orizzonte inaccessibile. Questo spazio scenico dovrebbe già farci intuire che il “dramma del chiedere” non è destinato a produrre catarsi. Che è un dramma destinato solo a perpetrarsi.
Il punto di fuga, qui, è ancora una volta la realtà (o quello che ne rimane). E, in questo senso, Handke
sembra voler condividere con Pasolini la scelta di andare a scovare il teatro là dove non dovrebbe essere.
E che ogni opera destinata alla vita dei suoi spettatori è un’opera aperta il cui autore sparisce per poi attendere con pazienza da “un’altra parte”. Attendere cosa? Ma naturalmente che il proprio testo venga “tradito” per potersi vivificare e verificare fino all’ultima messa in scena.
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https://www.youtube.com/watch?v=hd46B_Ju6pM