Il degrado dell’Albergheria nel reportage del 1892
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  29 gennaio 2017
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Di questo titolo del 1892 risultano ormai rari gli esemplari della prima edizione Sonzogno, con le originarie 90 dispense protette da una vistosa copertina rossa ambita da chi non si accontenta di copie rabberciate o deturpate da macchie d’umidità e fioriture copiose. Per tutti coloro che ignorano il maniacale motto di Giorgio Manganelli, secondo il quale un libro non è altro che il supporto della sua copertina, “La Sicilia illustrata” di Gustavo Chiesi, tomo di 720 pagine adornate da 336 “finissime incisioni dal vero”, è disponibile in recenti riedizioni e anche on line visto che appare integralmente “caricata” nell’archivio digitale della Harvard University. È comunque da segnalare sia ai cultori del cartaceo sia a quelli del virtuale la riscoperta di questo reportage che, trent’anni dopo l’unificazione, contribuì a ridisegnare l’idea dominante della Sicilia, allora considerata l’emblema di un profondo Sud geograficamente esotico e storicamente arretrato. Del suo autore Chiesi, giornalista engagé nato a Campogalliano nel 1855 e morto 54enne ad Adis Abeba, si conosce il travaglio di deputato repubblicano in odore di socialismo (reduce da anni di confino) poi trasformatosi in promulgatore d’italico colonialismo. È pure noto che, prima della svolta, ad attizzarlo per l’impresa siciliana provvide il suo autorevole collega di partito Napoleone Colajanni. Furono proprio i puntuti studi sociologici del combattivo parlamentare di Castrovillari a ispirare le pagine più intriganti di “La Sicilia illustrata”, quelle che ne fanno qualcosa di diverso da un atlante cartolinesco buono a essere più sfogliato che letto. E così, mescolato all’epifanico diario di viaggio (prima tappa il porto di Palermo, ultima il lago di Pergusa) supportato da dotte notazioni storico-geografiche e da cronache aneddotiche sugli splendori (anche gastronomici) isolani, spiccano gli affondi sulle persistenti contraddizioni socio-economiche del territorio, insieme a un’illuminante disanima circa le “cause della Mafia”, deleterio costume criminale affermatosi come antidoto all’iniquità governativa dei Borboni. Da buon panflettista, Chiesi non si sottrasse alla polemica tranchant nemmeno di fronte al palermitano Teatro Massimo, a quel tempo ancora incompiuto e abbandonato “per dissensi tra la ditta costruttrice e il municipio”: secondo lui i cinque milioni fino ad allora spesi a edificare quella “malinconica rovina” avrebbero potuto essere più virtuosamente impiegati per sottrarre al degrado “la vergogna permanente dell’Albergheria”.
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