Il cinema in rosa di Vittorio Sala
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  21 settembre 2014
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
A stemperare la programmatica cupezza dei registi del Neorealismo, pronti a esporre i “panni sporchi” dell’Italia traumatizzata dal Caos bellico, provvidero certi volitivi mestieranti del Grande schermo che si fecero ottimistici cantori della Ricostruzione e del Miracolo economico guidato dalla Democrazia Cristiana al potere.
Uno di questi è stato Vittorio Sala (1918-1996), cineasta eclettico, palermitano di nascita e romano d’adozione, che brillò da esordiente al Centro Sperimentale di Cinematografia firmando, alla fine degli anni Trenta, divulgativi film d’arte sul Pinturicchio, sulla “Luce degli impressionisti” e su Palermo normanna.
Dal dopoguerra in poi, dopo una parentesi da critico cinematografico de “Il Popolo”, Sala continuò ad alimentare la propria vocazione di documentarista prima con brevi “tranches de vie” pittoreschi (come “Erice città del silenzio” o come “Notturno” del 1950 sulle briose “ore piccole” romane) e poi con cortometraggi di propaganda governativa come “Le case per gli italiani” (1958), movimentata storia di una coppia di fidanzatini in cerca di abitazione utilizzata per illustrare, con l’ausilio di grafici e dati statistici degni delle odierne “slide” renziane, il Piano di edilizia pubblica INA–Casa promosso da Fanfani, inossidabile ministro e “agrimensore” della Dc.
Anche quando si misurò con i lungometraggi di finzione, Sala non rinunciò alla propria rosea e vitalistica weltanschauung diventando un giocoso artigiano dei generi, sul setsempre “divertente, capriccioso e assillato da problemi di donne” (come lo ricorda qualche collega).
Tutti i suoi film (reperibili oggi in Dvd) ostentano lo stile “Dolce vita da esportazione”: dal pepato musicarello “Canzoni nel mondo” del 1963 (un inno alla procacità femminile con Mina, Dean Martin e uno stuolo di esotiche spogliarelliste), al peplum “La regina delle amazzoni”, girato come un varietà scollacciato, al fumettistico e molto glamour “Berlino– Appuntamento per le spie”, fino a un paio di commedie vacanziere che anticiparono i cine-panettoni dei Vanzina.
In una di queste, “Costa azzurra” del 1959, Sala osò l’inosabile e, con una disinvoltura poco democristiana, montò l’esibizione sexy di un travestito, per di più affidando ad Alberto Sordi il ruolo di un coatto in trasferta dorata che accetta le avances sessuali di un regista gay in cambio di un provino, poi convinto a desistere dalla manesca consorte. E così il film fu vietato ai minori di anni 16 e passò alla Storia come il primo queer-movie all’italiana diretto da un fanfaniano doc.
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