Il carabiniere antimafia che ispirò Sciascia
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  19 ottobre 2014
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
All’ingenuo prete spagnolo che, appena tornato da Palermo, gli chiese quale fosse la divisa indossata dai mafiosi, il maggiore dei carabinieri Renato Candida non seppe rispondere. E riportò l’episodio nel suo Questa mafia, il primo dei saggi scritti sul campo intorno al “fenomeno dell’onorata società”, nel 1956 ignorato dallo Stato in Sicilia e soprattutto a Roma. “Avevano fatto intendere a quell’angelo che la mafia fosse una specie di Ordine di Malta”, annotò il nordico Candida aprendo il capitolo intitolato “La mafia di Palermo e il gangsterismo”.
Del libro ormai pochi si ricordano, anche se per i bibliofili rimane un reperto ricercato (su E-bay la terza edizione del 1964 è oggi valutata 500 euro!), mentre remoto appare lo scandalo che provocò all’uscita, spingendo il cardinale Ruffini a tuonare contro quel saggio troppo letto che gettava “fango sulla Sicilia” e a negare al suo autore, durante una pubblica cerimonia, la benedizione.
Fu Leonardo Sciascia a intuire il valore delle 150 cartelle redatte dal comandante dell’Arma trasferito in servizio dal Continente ad Agrigento. Accettò d’incontrare Candida in estate a Racalmuto e lo presentò in autunno all’omonimo e sodale suo editore di Caltanissetta, Salvatore Sciascia, grazie al quale il libro fu pubblicato nel dicembre del ’56, stampato nella tipografia di Cappugi a Palermo.
L’anno dopo, lo scrittore di Le parrocchie di Regalpetra dedicò alcune pagine (poi comprese negli scritti di Pirandello e la Sicilia) all’esordiente “simpatico, spiritoso e autenticamente antifascista” di cui nel frattempo era diventato amico: “La tesi principale del Candida è questa: che nessun reato contro la proprietà e la persona avviene in Sicilia senza l’approvazione della mafia”. Una denuncia assai ardita per l’epoca, sostenuta da una scrupolosa analisi sociologica, economica, storica e psicologica sulle dinamiche dell’evoluzione mafiosa in atto da Favara a Licata, da Palma di Montechiaro a Siculiana, da Bivona a Canicattì, fino a Palermo, la capitale di quel Male al quale il Governo di allora stentava persino a dare un nome.
Per questa ragione Candida (deceduto nel 1998) fu spedito dai superiori alla Scuola dei Carabinieri di Torino, un anno dopo l’uscita del libro per evitare ogni insinuazione di censura.
E a Sciascia non rimase altro che ispirarsi “alla sua figura e ai suoi intendimenti”, sia per il parmense capitano Bellodi del Giorno della civetta (1961) sia per i suoi investigatori scomodi e soccombenti, destinati però tutti a una vittoria morale post mortem.
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