Eccellenze criminali – “Lucky Luciano” di Francesco Rosi
Tipologia:  Articolo
Testata:  La Repubblica, ed. Palermo
Data/e:  9 aprile 2015
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
Che Francesco Rosi fosse autore di opere impegnate a forgiare dubbi più che interpretazioni certe, lo conferma quella parola «fine» che non si legge mai in coda ai suoi film. Non fa eccezione Lucky Luciano, polemico teorema sui mascheramenti del potere (girato nel 1973 dopo Il caso Mattei), la cui copia restaurata sarà presentata stasera al Cinema De Seta (ore 21, ingresso 4 euro) dal giornalista e scrittore Giuseppe Lo Bianco, a chiusura del tributo al cineasta napoletano architettato da Franco Maresco con l’Associazione Lumpen. C’è da dire però che in questo efficace mélange di epica e cronaca, Rosi non esita a individuare la madre di tutte le trattative stato-mafia in quel giro di vite che, durante i giorni della liberazione alleata dopo l’ultimo conflitto mondiale, ridefinì la geografia dell’industria criminale, fondata sul business del narcotraffico e garantita dal do ut des dei potentati politico-istituzionali legati dal Patto Atlantico: un’alleanza che ridusse la Sicilia e l’intero meridione d’Italia a stabilizzanti poli strategici d’illegalità. Così acquista un valore attuale la parabola di Salvatore Lucania detto Lucky Luciano, originario di Lercara Friddi e cresciuto nella periferia violenta della Grande Mela fino a diventare il napoleonico stratega dell’ordine nuovo di Cosa Nostra, facendosi largo con lo sterminio dei boss old style e di ogni rivale. Con un andamento da gangster-movie crepuscolare, sostenuto dall’ understatement recitativo di un Volonté in stato di grazia, il film ne racconta l’ottenebrata figura da untuoso imprenditore degli ultimi anni, quando fu rispedito (nel 1946) dagli Stati Uniti in Italia, come “indesiderato”, per grazia ricevuta dallo stesso procuratore politicante che lo aveva ingabbiato e poi si era fatto corrompere da un travaso di voti mafiosi in suo favore. Durante i flash back che frantumano ogni linearità narrativa, Rosi inscrive la deriva del suo protagonista (dal Mafia summit organizzato all’Hotel delle Palme di Palermo nel 1957 fino alla solitaria morte per infarto nel ‘62 all’aeroporto di Capodichino) nel documentato contesto di quegli intrighi che riguardarono indagini troncate da ordini superiori e connivenze imposte dalla ragion di stato (che in Sicilia e negli Usa mantennero al potere capomafia come Calogero Vizzini e Vito Genovese), concedendosi qualche digressione spettacolare nell’iperrealistica sequenza (assai apprezzata da Scorsese) della mattanza gangsteristica in forma di balletto al rallentatore con l’ironico sottofondo tenorile di Sicilia amara, o in quella dell’esecuzione del confidente interpretato da Rod Steiger, la cui flagrante intensità cita il “nudo” realismo di certi classici noir. Tenendo fede alla propria vocazione documentaria, come antagonista Rosi scelse, nel ruolo di se stesso, Charles Siragusa, ex-agente del Narcotics Bureau che un tempo aveva braccato inutilmente Luciano: due oriundi siciliani sui fronti opposti del Male e del Bene.
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