Signorina Giulia
Tipologia:  Spettacolo
Di:  August Strindberg
Regia:  Umberto Cantone
Location:  Santa Maria dello Spasimo, Palermo
Data/e:  17-18-19 agosto 2001
Produzione:  Associazione Culturale Idearte
Cast:  Lucrezia Lante della Rovere, Vincenzo Bocciarelli, Ada Totaro, Salvatore De Franchis, Fabio Gangi, Ivana Testa, Carla Trapani, Patrizia Veneziano / Musici: Miriam Alasia, Wanda Modestini, Maricetta Salvato
Costumi:  Enzo Venezia
Scene:  Enzo Venezia
Note: 
Un progetto di Ezio Trapani
Versione italiana a cura di Luciano Codignola
Musiche originali: Mario Modestini
Aiuto regia: Raffaele Androsiglio
Direttore di scena: Ivan Raia
Assistente alla regia: Luca D’Angelo
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“1945. La quiete di mezza estate è nell’aria, finita è la guerra e la volta celeste ci fa da soffitto. Le porte rimangono aperte stanotte, non si fa altro che festeggiare…”
ANIME IN CUCINA di Umberto Cantone
Nell’accurata didascalia che prepara l’inquietante incipit di Signorina Julie, Strindberg suggerisce, tra l’altro, che il soffitto della grande cucina, dove il suo dramma prende vita, debba svelarsi tutto coperto da decorazioni a soggetti rappresentanti nuvole e fogliame, così come le sue pareti.
In questa nostra versione, la natura stessa, il cielo di mezza estate e il fogliame ritagliati dallo scheletro di un suggestivo teatro naturale (la chiesa dello Spasimo di Palermo) , farà da palcoscenico al mistero del commovente racconto di un sacrificio, a una partitura teatrale nella quale le ragioni del mondo e della storia sembrano ancora coincidere con le ragioni della mente: movimenti sadicamente imperscrutabili.
Tradendo, non senza qualche ansia, le proporzioni della Intime-philosophie e seguendo la traccia delle ultime versioni bergmaniane che inscrivono en abîme la tragica vicenda della mezzadonna di Strindberg e del suo lacerante, inappagato desiderio di amore, intendiamo sperimentare (fino allo spasimo, appunto) la formula del sogno teatrale, ispirati in questo dal Bontempelli di un sublime racconto, “Un’anima in un bar”. La nostra cucina strindberghiana sarà dunque uno spazio simbolico, dove “come negli atri delle reggie, scene di antiche tragedie, tutto vi è liscio, semplificato, ossuto e livido”.
Per noi, infatti, nell’aberrante partita erotica danzata dai due protagonisti, la Signorina e il suo Domestico, a trionfare è soprattutto il segno debolmente forte dell’epica moderna, sciolto in quella riscrittura in chiave analitica del Mito che fu la chiave di Savinio, Pasolini, Camus e Yourcenar. Una dimensione che ci appartiene e nella quale, come scrisse una volta Giacomo Debenedetti, “ci troviamo di fronte a personaggi familiari a un tempo ed estranei, conosciuti e assenti. La loro circolazione sanguigna e umorale non deve essere dissimile dalla nostra; eppure quel sangue ci sembra di altro colore, quegli umori di altra crasi. Camminano sul pianeta terra; eppure la forza di gravità che li tiene attaccati sembra emanare dal suolo di un altro pianeta”.
Quando la nostra scena si trasforma in una scacchiera di luce, geometrico spazio generatore che cita certe stanze di Kubrick e di Lynch, ecco che i quasi-adolescenti Julie e Jean, accanto a Kristin (la cuoca interpretata qui come sonnambula a eyes wide shut, testimone e poi provocatoria suggeritrice durante il gioco al massacro dei due amanti perduti), recuperano tutta la loro consistenza/evanescenza teatrale, epifanicamente proiettata nel paradigma strindberghiano del “Sogno”, scrittura che si consegna come sublime sintesi di tutto quel Novecento di là da venire.
“I personaggi di Strindberg – scrive George Steiner in Morte della tragedia – sono emanazioni del suo spirito angosciato e della sua vita tormentata. Perdono a poco a poco ogni rapporto con un filo conduttore e diventano frammenti, sparsi qua e là da qualche grossa esplosione di energia sotterranea”.
Elaborando esoteriche soluzioni alla sua sinuosa, complessa drammaturgia di senso e sentimenti (in Signorina Julie continue sono le allusioni a streghe e pozioni magiche, a quell’occulto che è l’ immaginato regno di un demiurgo funesto), questi personaggi vivono, debbono vivere, nella Storia – in questa nostra versione il 1945 italiano (crocevia di guerre e di utopie) – come concreti fantasmi di realtà vibrante e incongruamente conflittuale.
La festa di San Lorenzo, a guerra finita, è ombrosa festa di Liberazione per i servi, il domestico-parvenu è un ex partigiano sofferente, euforico, rovesciato come un personaggio di Camus, la Signorina è la figlia del Conte forse alla ricerca della materia di cui è fatto ogni doppio sogno (Eros e Narciso), tragicamente destinata al macello dalla propria naturale sensualità, prigioniera della scena primaria dei suoi infelici dieci anni.
Rispettando ironicamente le unità aristoteliche, la moderna intelaiatura strindberghiana si fa insinuatamente filosofica, si adegua a variegate interpretazioni, facendo così trionfare la propria qualità di classico. E se per noi contemporanei, appare possibile e doveroso elevare la concezione della mezzadonna sottraendola al tremore misogino della inquietata teoretica schopenaueriana, appare evidente la forza simbolica di questi personaggi: li abbiamo voluti simili per età, flessuosi e dilaniati come adolescenti di oggi, impegnati in un musicale fin de partie dove trova spazio la pietas cristologica del respiro strindberghiano . Mezzedonne e mezziuomini in un’aderente prospettiva freudiana, personaggi modernamente perplessi sotto il cielo dello Spasimo che giocano ad estinguersi, socialmente e non solo esistenzialmente, che non esitano di fronte al nulla e ai suoi tanti detour, sfidando la sorte del mondo e la loro, nel donarsi al pubblico della contemporaneità oggi più che mai incerta .
Sono come sonnambuli ad occhi aperti, in una vera notte di mezza estate, dove ogni naturalismo cerca la propria natura, materia di realtà e di sogno, materia di teatro.
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https://www.youtube.com/watch?v=oY_HSFf7HUM