giovedì, 23 Gennaio 2025

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Medea di Pier Paolo Pasolini – Sceneggiatura Garzanti

Medea di Pier Paolo Pasolini – Sceneggiatura Garzanti

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Autore:  Giacomo Gambetti (a cura di)

Tipologia:  Sceneggiatura cinematografica e note sul film

Film di riferimento:  Medea (Italia/Francia/Germania, 1970) di Pier Paolo Pasolini. Sceneggiatura di Pier Paolo Pasolini. Fotografia di Ennio Guarnieri. Scenografia di Dante Ferretti. Costumi di Piero Tosi. Con Maria Callas, Massimo Girotti, Laurent Terzieff, Giuseppe Gentile, Margareth Clementi, Paul Jabara, Gerard Weiss, Sergio Tramonti, Luigi Barbini, Franco Jacobbi, Anna Maria Chio, Piera Degli Esposti, Graziella Chiarcossi

Editore:  Garzanti, Collana "Film e Discussioni"

Origine:  Milano

Anno:  1970 (2 aprile)

Caratteristiche:  Legatura in cartone telato di color bianco muta, sopraccoperta con illustrazione fotografica in bianco e nero, titoli in bianco e in grigio su fondo nero. All'interno 66 fotografie di scena e di set in bianco e nero e fuori testo

Edizione:  Prima

Pagine:  158

Dimensioni:  cm. 22 x 16

Note: 

Prima edizione della sceneggiatura di Medea (1970) di Pier Paolo Pasolini edita da Garzanti nella collana «Film e discussioni» a cura di Giacomo Gambetti. Nel volume, finito di stampare il 2 aprile 1970, sono presenti, accanto alla sceneggiatura, il trattamento, alcune note e poesie  scritte per il film e durante il film da Pasolini. Con 66 fotografie di scena e di set in bianco e nero fuori testo.

 

INDICE

Introduzione a Medea di Giacomo Gambetti

Maria Callas: Sono per una Medea non aggressiva  Conversazione con Giacomo Gambetti

«Visioni della Medea» –  Trattamento di Pier Paolo Pasolini

Dialoghi definitivi di Medea di Pier Paolo Pasolini

Poesie scritte durante la lavorazione di Medea: A un’ora e cinquanta da New York / A proposito dei miei propositi di leggerezza / Preghiera su commissione / Tarso da lontano / Lokanta / Lungo le rive dell’Eufrate / Comunicato all’ANSA (Dove sono?) / Comunicato all’ANSA (Il mondo visto da una clinica) / Endoxa / Ossessione soteriologica / Comunicato all’ANSA (Nazional-Popolare) / Ancora sull’orso / The e mele / Callas / Dopopranzo nella Regione di Kayseri / Osservazioni sul sole / La couvade / Sui padri / Puer / Poema poetico / Bacchiocchio / Coccodrillo / La ricerca del relativo / La voce di Ford come sottofondo / Lettera dall’interno di una sezione di poesia

I titoli di testa 

Sinossi: 

Jolco, città in riva alla laguna, una città di termiti, preistorica. Nella reggia, un vecchio afferra un bimbo ancora in fasce e fugge attraverso la parte bassa della città, tra alveari di fango, poi guada correndo il fiume, corre lungo le rive del mare, scompare affannato lontano. L’uomo è Esone, re spodestato dal crudele fratellastro Pelia. Di fronte a lui, ormai esausto, appare un Centauro a cui egli affida il bambino.

Passano gli anni. Nella casa lacustre del centauro, il bambino che si chiama Giasone ha ormai cinque o sei anni. Il Centauro parla al bambino degli Dei, gli rivela come è cominciato il mondo: il Dio Creatore, Urano e il suo sposalizio con la Terra, la nascita del Mostro che taglia i genitali al vecchio Dio Padre. Passa altro tempo. Il Centauro continua a educare Giasone, ormai adolescente, e lo conduce in un posto dove s’intravede la zona dove alberga la Dea della Terra con le sue Ninfe: «Mi raccomando, non andare da quelle parti», gli dice. Più tardi, Giasone disubbidisce all’ammonimento. Quando arriva nella zona a lui proibita, le Dee lo accolgono e giocano con lui. Ma Giasone è concupito da Demetra che lo attira a  sé, contro la sua bianca carne materna.

Si torna nella casa lacustre del Centauro, il quale è sempre stato una “soggettiva” di Giasone. Visto ora da lui, il Centauro è un uomo che ha perso le sue forme favolose. Anche l’educazione che Giasone riceve ha preso una piega diversa: il Centauro è sempre più prosaico e normale, sempre più colto e intelligente, e il suo approccio alla religione spinge l’allievo alla razionalizzazione e alla demistificazione. Giasone viene spinto a coltivare le proprie ambizioni mondane. Adesso occorre, per lui, sostituire il successo terreno alla metafisica. E il successo si ottiene attraverso lo scetticismo e la tecnica. Lo stesso Centauro ha subìto una trasformazione in tecnico: le sue case sono diventate una officina e ai suoi ordini lavorano degli operai che fabbricano le armi. A Giasone non resta che riconquistare il suo posto di re, usurpatogli dal complotto di Pelia.

Siamo nella regione barbara e “lunare” della Colchide, nella città di Ea, dove si trova il Vello d’oro, potente reliquia di un caprone sacro appartenuta a Frisso e inviata dagli dei per salvare Giasone. È in corso un rito di fertilità della terra, un sacrificio umano alla presenza dei figli del re Eeta, un uomo e una donna: quest’ultima è Medea, sacerdotessa di Ecate, dea della morte, che guida il rito sacrificale. La vittima, un  viene immolata, smembrata e il suo sangue è usato per fertilizzare la terra. La lunga sequenza del sacrificio avviene nel silenzio, solo Medea pronuncia delle parole che chiarificano il senso del rito: « Dà vita al seme, e rinasce il seme».

Ecco, tutto è pronto per il destino illuministico, laico e mondano di Giasone che, insieme a un gruppo di avventurieri, si reca a Jolco per sfidare Pelia. Quando arriva alla reggia, Giasone si accorge che il re usurpatore lo sta aspettando. Pelia si dice disposto a concedergli il regno purché Giasone conquisti il Vello d’oro, simbolo dell’assolutezza e della perennità del genere umano. Giasone accetta la sfida e torna dal Centauro che prepara una grande nave (Argo, la prima nave della storia) in grado di raggiungere la Colchide, che sta al di là del mare.

Giasone e gli Argonauti affrontano la difficile traversata e, quando incontrano una tempesta, temono di non arrivare in porto. La nave viene tirata in secco. Oltre a Giasone, ci sono Ercole ragazzo, i due selvaggi Dioscuri, Orfeo il cantore, il nobile Peleo e l’intellettuale Peleo, insieme a un’altra ventina di giovani. Spinti da una furia incontrollabile, gli avventurieri assalgono, depredano e uccidono chiunque capiti loro a tiro, arrivando a saccheggiare pure il tempio della città di Ea. Qui c’è Medea, che aveva previsto l’impresa e aveva sognato il bel volto di Giasone prima che egli approdasse. Quando i due s’incrociano nel luogo dove è eretto l’Albero Sacro al quale è appeso il Vello d’oro, Medea s’innamora di Giasone e decide il proprio destino. Di notte, si fa aiutare dal fratello adolescente Apsirto a rubare il Vello d’oro, e insieme a lui fugge su di un carro.

Canti di catastrofe salgono nel giorno in città, alla notizia dell’accaduto. Il re Eeta raduna l’esercito e si lancia all’inseguimento della figlia Medea, la quale uccide il fratello lanciando brandelli del suo corpo lungo il tragitto di fuga per costringere l’uomo a fermarsi più volte. Il sovrano torna al suo villaggio a restituire i resti del figlio alla moglie piangente affinché abbiano degna sepoltura.

Medea si unisce a Giasone e, con un gesto terribile di amore e dedizione, gli dona il Vello. Insieme raggiungono la nave degli Argonauti e tornano a Jolco. Lontana dalla propria terra, Medea ha una crisi spirituale: non sente più la voce del sole e della terra e, mentre ascolta il canto degli Argonauti, ella avverte il disastro del cambiamento. Ma Giasone arriva per condurla alla sua tenda, e Medea trova pace nell’atto d’amore.

Ora Giasone può recarsi a consegnare il Vello d’oro e a rivendicare il regno di Jolco. Pelia non mantiene la promessa e Giasone, con sprezzo, preferisce puntare ad altre e più ambiziose conquiste.  Prima di lasciare il palazzo, le ancelle di Pelia preparano Medea per le nozze con Giasone.

Sono trascorsi 10 anni. Giasone e Medea vivono a Corinto, hanno avuto due figli, ma Giasone ha da poco abbandonato Medea per chiedere in sposa la giovanissima Glauce, figlia del re Creonte. Umiliata e lasciata sola con i figli, Medea soffre e comincia a meditare vendetta. Creonte prima le ordina di lasciare la città (perché impaurito dalle sue facoltà malefiche) e poi, impietosito dal suo dolore, le concede un giorno di tempo per partire. Rientrata in casa, Medea si abbandona a una visione, in cui la casa è invasa da bestie, e poi ha un deliquio.

Giasone incontra il Centauro, ormai sdoppiato: il Centauro-animale lascia al Centauro-uomo il compito di spiegare i sentimenti amorosi che ancora legano Giasone a Medea: quest’ultima, per il Centauro, vive un conflitto interiore tra l’attuale sua realtà mondana e quella spirituale, scandita dai rituali del suo passato nella Colchide. Ma Giasone non sa rendersene conto e, di nascosto a Medea, si diverte spensierato in attesa delle nuove nozze.

Medea si rende conto che 10 anni sono trascorsi invano e di essere rimasta «un vaso pieno di un sapere non mio». Così sogna la Colchide, parla col sole fino a giungere a negare tutto quello che credeva di avere conquistato: Giasone merita la sua vendetta, ed ella donerà a Glauce le proprie antiche vesti dopo averle maledette. Tali vesti, portate dai figli di Medea in dono alla nuova sposa di Giasone, dovranno prendere fuoco. Medea sogna Glauce in preda alle fiamme.

Medea fa chiamare Giasone e lo implora di perdonarla prima che lei lasci la città. Invece di perdonarla, Giasone giace un ultima volta con la sua prima sposa. Medea lascia che si addormenti e poi compie quello che il sogno le ha suggerito: richiama i figli e affida loro le vesti da donare a Glauce. Poi riesce a strappare a Giasone la promessa d’intercedere presso Creonte affinché lasci vivere i suoi figli a Corinto.

Giasone e i due figli giungono alla reggia di Corinto. Terrorizzata dal dono e dalla visione dell’antica vita del suo promesso sposo, Glauce corre fuori il palazzo e si uccide lanciandosi dall’alto delle mura della città. A imitarla è il padre Creonte, sconvolto dalla consapevolezza dei poteri esoterici di Medea.

Vendicatasi della sua contendente in amore, Medea può mettere in atto la sua vendetta nei confronti di Giasone. Arrivata a casa, in preda a una quieta determinazione, chiama i figli a uno a uno, li lava prima di condurli a riposare e poi, prima di metterli a letto, li accoltella.

L’indomani, prima di abbandonare Corinto, Medea s’immerge nei riflessi del sole dopo averlo invocato. Con sé ha condotto i corpi dei figli ormai privi di vita. Ancora una volta, il sogno si sovrappone alla realtà: il sole sta ormai incendiando la città. Resosi conto dell’orrendo delitto, Giasone implora Medea di lasciargli seppellire i propri figli. Medea è sprezzante con lui: «Torna piuttosto a seppellire la tua sposa!». Giasone continua la sua implorazione, ma la sentenza di Medea è definitiva: «Niente è più possibile, ormai».

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