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“Il commosso addio alle scene di Eduardo a Taormina”, in “la Repubblica/Palermo”, domenica, 22 settembre 2024

“Il commosso addio alle scene di Eduardo a Taormina”, in “la Repubblica/Palermo”, domenica, 22 settembre 2024

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Tipologia:  Articolo

Testata:  la Repubblica / Palermo

Data/e:  domenica 22 settembre 2024

Autore:  Umberto Cantone

Articolo: 

Per tutta una vita si era imposto la regola di non tendere mai al pubblico tutt’e due le mani invece che una sola, convinto che la seconda sarebbe stata rifiutata “sdegnosamente”.

Ma da quando, in età avanzata, la morte aveva cominciato a corteggiarlo, Eduardo aveva abbandonato la propria caratteriale ritrosia lasciando trasparire pubblicamente ogni emozione, anche la più privata.

E la sera del 15 settembre 1984 al Teatro Greco di Taormina quell’emozione tracimò.

Chi, come il sottoscritto, stava allora pressato tra quattromila anime su quegli spalti, condividendo l’umidità con quel gigante esilissimo in doppiopetto blu sul palco, ebbe subito la sensazione di assistere a un evento — poi archiviato come l’ultima apparizione pubblica del maestro di tutti — col cuore in gola.

Prima di Eduardo, il carosello cerimoniale della “Festa del Teatro 1984”, occasione annuale per la distribuzione del Biglietto d’Oro AGIS (i migliori incassi della stagione), aveva sciorinato la paludata esibizione dei big in auge (ricordo Alberto Lionello, Proietti, Albertazzi con Anna Proclemer), tutti egualmente assecondati dal gran cerimoniere doc Lello Bersani, che garantiva il glamour casereccio della serata a uso e consumo della diretta Rai.

Quando Eduardo entrò in scena — prosciugato e oscillante come può esserlo un 84enne segnato da recenti interventi cardiaci, da una ostinata bronchite e dalla cateratta — prese subito la parola dopo aver ritirato il premio alla carriera per il quale era stato convocato. Tutti gli fecero largo sul palco, Bersani compreso.

Gli applausi che lo accolsero, prima turbati e poi elettrizzati, interruppero a più riprese il suo discorso. Un discorso rimasto celebre, culminato in quel paradigma filosofico sul “gelo” del fare teatro, che quella sera, però, rischiò seriamente di saltare.

Una volta arrivato al San Domenico Palace, in compagnia del figlio Luca e della fotografa Paola Ermenegildo, Eduardo aveva manifestato bruscamente l’intenzione di voler tornare a Roma.

La sua improvvisa agitazione dipendeva dal fatto che la foto di Luisella, della sua Luisella, non si trovava più in valigia.

Proprio non se lo perdonava, di aver dimenticato a casa il ritratto prezioso dell’amatissima figlia, morta a 10 anni nel gennaio 1960 per un banale incidente sulla neve, a Terminillo.

Una ferita rimasta aperta, quella. Luca, che aveva raccolto gli ultimi respiri della sorellina, non ne riuscì mai a parlare. La notizia della tragedia fulminò Eduardo al Teatro Quirino di Roma, durante una replica della sua nuova commedia “Sabato, domenica e lunedì”.

Quella sera nei camerini, al “No!” prolungato e straziato di Pupella Maggio seguì l’attonita prosternazione di tutta la compagnia. Eduardo era affranto. In una sua recente testimonianza, Beppe Menegatti ha rievocato un episodio avvenuto durante i funerali della bambina, al Cimitero del Verano. Prima che procedesse tra la folla la piccola bara bianca scortata dal fratello Peppino, da una grande auto sopraggiunta scese Antonio De Curtis, accompagnato da Franca Faldini.

Totò andò incontro al suo vecchio amico (con cui aveva condiviso gli esordi stentatissimi) tendendogli la mano commosso: “Edua’!”. E l’altro, accogliendo quel saluto: “Antonio!”. Non servì dirsi nient’altro.

Per Eduardo, che tornò in palcoscenico il giorno dopo, quel lutto rimase indelebile.

Raccontò Andrea Camilleri di avere accennato davanti a lui, a quel tempo, la preoccupazione per la febbre alta della propria figlia, dimenticando la disgrazia di qualche mese prima. “Io l’ho persa, una figlia”, fu la risposta prima del pianto. Un pianto a cui lo scrittore siciliano dovette assistere mortificato.

Fortunatamente, quella sera del 1984 a Taormina, la foto di Luisella fu ritrovata. Da quel maledetto giorno in poi, del resto, aveva campeggiato sul tavolo di ogni suo camerino.

Chissà se fu quell’iniziale apprensione a generare la sottolineatura testamentaria dell’ultimo discorso. Eduardo parlò del proprio essere sfuggente (“un po’ orso”) come di una necessità (“se non lo fossi stato non avrei potuto scrivere cinquantacinque commedie”), disse di essere venuto per guardare in faccia i suoi colleghi in modo da rendersi conto di quanto il teatro italiano fosse ancora vivo e vegeto.

Ma poi tirò fuori quello che più gli premeva, la confessione sui troppi sacrifici fatti: “I figli sono cresciuti, e io non me ne sono accorto. Meno male che mio figlio è cresciuto bene”. A Luca, che era in platea, si asciugò la saliva.

“Senza mio figlio, forse, me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa. Io devo a lui il resto della mia vita”. Un riconoscimento identitario, fatto con voce rotta, che sembrò a tutti una investitura da erede. Ma non era la prima volta che Eduardo esibiva il proprio orgoglio di padre. A Montanelli, nel corso di un’intervista del ‘59 — ossia quando versava in serie difficoltà per il suo progetto di ricostruzione del Teatro San Ferdinando a cui lo Stato negò allora ogni contributo — aveva indicato Luca e Luisella che giocavano nel salone della loro villetta sulla via Appia: “Vedi quelli? A te sembrano solo la mia famiglia. Non è così, quelli sono un popolo! E io il San Ferdinando non lo vendo, vero Luisella?”.

E così, insieme al pubblico del Teatro Greco, Eduardo tese entrambe le mani a quel popolo che gli era rimasto: il figlio Luca pieno di talento “cresciuto nel gelo delle mie abitudini teatrali”.

La lezione sul “gelo” che Eduardo impartì quella sera, la ripeté alla sodale Pupella, una volta sceso in platea dopo la manifestazione. Prima le spiegò perché aveva fatto finta di non riconoscerla, respingendo i suoi saluti (“Mi ricordi troppe cose”), poi le disse di aver chiuso col teatro ma che lei faceva male a smettere. “Continua, ma fermati in tempo… Perché il teatro è maligno”.

Come aveva predetto alla fine del suo discorso, il cuore di Eduardo si fermò, “continuando a battere”, alle 23 del 31 ottobre, a un mese e mezzo dall’evento di Taormina. E la foto di Luisella finì tra le sue braccia nella bara.

 

 

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