I premi e la “Carmen”: quando Peter Brook stregò la Sicilia, in “la Repubblica-Palermo”, 5 luglio 2022
Tipologia:  Articolo
Testata:  la Repubblica/ Palermo
Data/e:  5 luglio 2022
Autore:  Umberto Cantone
Articolo: 
PETER BROOK
Ogni volta che gli chiedevano di abbandonarsi ai ricordi, gli unici fili del tempo che amava tessere erano quelli che gli consentivano di spiegare il mistero della propria vocazione di teatrante.
E così quando, in occasione del premio Europa conferitogli a Taormina nel maggio 1989, chiesero a Peter Brook quale fosse la propria madeleine scenica, la risposta fu il palcoscenico del primo spettacolo visto da bambino dove ebbe la sensazione che non accadesse proprio un bel niente, nonostante la presenza di “tante figurette sparse qua e là”.
Una delusione che lo rattristò fino alle lacrime insegnandogli una volta per tutte che il teatro ha bisogno di qualcuno che faccia sempre accadere qualcosa sulla scena.Una lezione che il più influente tra i grandi innovatori del nostro Novecento teatrale vivificò fino a renderla esemplare, spettacolo dopo spettacolo, per tutta la sua lunga e fruttuosa carriera.
Per noi spettatori palermitani di quella generazione di rivolgimenti (non solo) estetici, il suo teatro fu sempre una esperienza spartiacque. Come la Tragédie de Carmen allestita nel 1981 nel suo mitico teatro Les Bouffes du Nord e arrivata (dopo una breve tournée italiana organizzata da Andres Neumann) al Teatro Biondo, per volontà dell’allora direttore Pietro Carriglio, dal 29 ottobre al 1°novembre 1986.
A quei tempi era una cosa mai vista un palcoscenico fatto di sabbia e terra, prolungato fino a invadere quasi tutta la platea, con una gradinata al posto delle poltrone rosse, per un teatro d’opera senza orchestra in buca, privo di ogni macchineria, con un cast ridotto all’osso composto da tre attori e da cantanti espressivi come attori, tutti in grado di “essere” più che di recitare.
Un autentico, limpidissimo miracolo scenico di eloquente essenzialità e rigore che diede luogo al primo e unico incontro tra Palermo e Brook, arrivato in città per la messa a punto dell’allestimento e per ritirare il premio Mondello, allora presieduto da Francesco Lentini, dalle mani dei giurati Renato Tomasino e Natale Tedesco (“Per la costante giovinezza e la vitalità del suo impegno”, così recitava la motivazione).
In quella occasione, Brook si dispose ad assistere alla proiezione di un montaggio video sulla sua attività di regista e a rispondere alle domande del folto pubblico che riempiva la sala grande del Biondo. Lo stesso teatro ospitò, nella sua ultima stagione carrigliana del 2013, una di quelle perle che la fase estrema dell’incessante carriera di Brook, allora 84enne, ci ha regalato, “Warum Warum”, omaggio alla radicalità filosofica dei primi grandi innovatori della scena moderna (Artaud, Craig, Mejerchol’d) risolta nella performance trasparente dell’attrice Miriam Goldschmidt, con il contrappunto ieratico e concreto delle musiche di Francesco Agnello.
L’ultimo teatro di Brook era fatto di niente, la persistente evocazione di un vuoto che alludeva alla necessaria ricerca di un nuovo inizio. Inevitabile fu il suo incrocio con Beckett, concretizzatosi nello straordinario Giorni felici, in tappa palermitana nel 2003 al Teatro Garibaldi diretto da Matteo Bavera. Immersa in un montarozzo di stracci, la stessa Goldschmidt, sottilmente possente e disperatamente volitiva, faceva di Winnie una campionessa leonina di straziata resistenza all’inevitabile caos dell’apocalisse qui e ora. E così riusciva a commuovere, più di tante altre Winnie.
Stessa sensazione di turbamento e spaesamento provocò un Maurice Bénichou prosciugato fino allo spasimo nell’iconico monologo del Grande Inquisitore, paradigma dostoevskiano presentato nuovamente al Garibaldi, nel 2005, insieme a La mort de Krishna, frammento distillato di quel Mahābhārata che fu per Brook una esperienza di metamorfosi e rinascita del suo essere teatrante.
Racconta Bavera che fu lo stesso Brook a sottolineargli l’ideale gemellaggio tra il suo Les Bouffes du Nord e il palermitano teatro di via Castrofilippo, per il valore aggiunto che entrambe le strutture conferivano alle cicatrici della propria fatiscenza. Durante le prove del 2005, però, l’assistente storica del maestro, Marie-Hélène Estienne, si lamentò insistentemente per l’eccessivo trambusto all’esterno del Garibaldi che disturbava l’intensità sommessa della recitazione.
Bavera dovette rivolgersi ad alcuni addetti del Comune, minacciando di non andare in scena se fosse stato disatteso l’invito, invocato dalla compagnia, di fermare il traffico esterno al teatro. A provvedere, però, non furono i vigili urbani, bensì un paio di picciotti ‘ntisi, chiamati dagli stessi addetti a imporre “d’autorità”, almeno per un paio d’ore, la quiete necessaria allo svolgimento dello spettacolo. Anche questo è stato Peter Brook a Palermo.